Le migliori energie intellettuali sono da anni impegnate a teorizzare il superamento del modello del governo del territorio attraverso “atti autoritativi” in modo da giungere a un rinnovato assetto impostato maggiormente sulle pratiche negoziali.
In questo senso vanno anche le più recenti proposte di legislazione in materia di governo del territorio.
Ogni tanto è però bene guardare un po’ di numeri legati alle pratiche.
Martedì 3 aprile, nel convegno dell’INU a Milano sulla “Politica della casa nelle aree metropolitane” il prof. Roberto Camagni ha citato alcuni dati riferiti al caso milanese dei Programmi Integrati di Intervento, cioè l’esperienza di punta dell’utilizzo delle partiche negoziali in Italia.
Rispetto al valore dei prodotti immobiliari originati dalle trasformazioni urbanistiche, si comprende che:
a) l’incidenza delle prestazioni urbanizzative dovute per legge è pari al 9,3%
b) l’incidenza dei cosiddetti standard qualitativi è pari a solo l’1,4%, il che porta a un misero 10,7% il contributo dato dai plusvalori della trasformazione della città privata alla costruzione della città pubblica
c) l’incidenza dell’area (cioè quanto pesa la rendita fondiaria) è pari a circa il 26%
d) il margine di profitto del developer, sulla base dei piani finanziari forniti dagli operatori stessi, si assesta su di un risicato 9,3%.
Si viene poi a sapere come molti piani finanziari che, è bene non dimenticarlo, sono la base del negoziato tra pubblico e privato, si fondano su ipotesi un po’ stravaganti. Una per tutte: il prezzo di mercato di un box auto a Milano è stabilito in 30.000 €. Credo che con questa somma, a Milano non si acquisti neppure la basculante del box.
Sempre secondo Camagni, correggendo i valori per renderli un po’ più rispondenti alla realtà del mercato immobiliare, l’incidenza del profitto raggiunge il 41%.
Come in tutte le cose, qualche raffronto aiuta a capire un po’ di più.
Il modello Monaco di Baviera ci dice che l’incidenza delle prestazioni urbanizzative rispetto al valore totale dei prodotti immobiliari realizzati si colloca tra il 32% e il 37%. Di questo, circa il 18% è dedicato alla produzione di edilizia residenziale sociale.
E’ certo che negoziare non è un’attività che si improvvisa. E’ altrettanto evidente che, per chi è capace, il negoziato rappresenta una notevole opportunità per finanziare la costruzione della città pubblica. Ci sono però degli elementi che occorre rimuovere, altrimenti la pratica negoziale rischia di tradursi in un vantaggio per il privato.
1) Esiste un’asimmetria informativa tra privato e pubblico sulle condizioni di costo e di profittabilità nella produzione immobiliare.
2) I grandi operatori immobiliari agiscono spesso in forma di oligopolio, limitando la concorrenza reciproca sui singoli occasioni.
3) Nel settore pubblico sono assai scarse le professionalità necessaria a gestire un processo negoziale ad armi pari.
4) I piccoli comuni tendono spesso a essere in concorrenza tra loro per accaparrarsi gli investitori che, invece, hanno l’opportunità di agire su un ampio scacchiere territoriale e possono andarsi a scegliere la realtà locale che offre le condizioni insediative migliori.
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