L'abitazione è spesso percepita come un investimento, piuttosto che come un bene di consumo.
Tale situazione è dovuta a una serie di fattori culturali e macroeconomici risalenti agli scorsi decenni:
a) l'Italia è un Paese di antica tradizione rurale, nel quale il possesso della terra e della proprietà immobiliare ha sempre significato potere e sicurezza. In un simile ambiente culturale si può quindi individuare il primo elemento che ha portato ad un elevato numero di proprietari immobiliari;
b) ragioni macroeconomiche, quali un elevato tasso di inflazione durante i passati decenni, hanno spinto i risparmiatori verso investimenti reali che offrissero un sicuro riparo dall'erosione monetaria, primi fra tutti i beni immobili, iniziando dall'abitazione. E per capire che cosa è la storia italiana (non la preistoria), basta andare indietro fino ad esempio al 1982, in cui l’inflazione era al 16%.
Nei decenni passati l'investimento immobiliare, sia nell'abitazione principale sia in seconde case o in altri immobili da locare, considerata l'elevata inflazione e le poche alternative di investimento in quanto la borsa e i fondi comuni non erano ancora sviluppati, rappresentava indubbiamente una scelta ottimale.
Inoltre, e soprattutto, l'investimento immobiliare è sempre stato percepito privo di rischio per la continua dinamica di crescita dei prezzi degli immobili. Fino a metà degli anni novanta, l'elevata inflazione ha favorito l'incremento nel valore nominale delle abitazioni, rendendole di fatto un ottimo investimento.
Oggi, i punti di vista tra politiche pubbliche a sostegno della proprietà della casa e politiche pubbliche a supporto della diffusione della locazione, rischiano di trasformarsi in una disputa ideologica.
Un intervento di Lorenzo Bellicini (Cresme) fatto a Firenze ieri, ha mostrato un’interessante correlazione tra proprietà del proprio alloggio e una storia fatta di tassi d’inflazione elevati. Paesi come l’Italia, il Portogallo, la Grecia e la Spagna stanno a dimostrare questa correlazione: ad alti tassi di diffusione della proprietà (con la Spagna che registra quasi il 91% di famiglie che abitano la casa che hanno acquistato) corrisponde un dopoguerra fatto di tassi di inflazione elevati e lungamente a doppia cifra. Chi, invece, ha avuto un andamento dell’inflazione più moderato, vede oggi una minore diffusione della proprietà a vantaggio di una superiore presenza dell’abitazione in affitto.
Negli ultimi anni alcuni elementi sono mutati. Quello che, però, è cambiato di più è proprio il tasso di inflazione: soprattutto con l'unificazione monetaria, l’inflazione nei Paesi che hanno adottato l’Euro si è fortemente e strutturalmente ridotta.
La necessità di investire in beni reali come rifugio dall'erosione monetaria è quindi scomparsa, per cui il rendimento dell'immobile deve essere giudicato prevalentemente per la parte corrente e non in funzione di aspettative di rivalutazione futura.
E, forse, anche da qui passa il perché una politica pubblica nel settore abitativo possa, oltre che debba, interessarsi soprattutto ad ampliare il comparto dell’affitto.
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