martedì 10 aprile 2007

Governo del territorio ed ERS: ma questo è riformismo?

Le migliori elaborazioni oggi in circolazione hanno capito che tra le Dotazioni Territoriali -quelle che una volta chiamavamo Standard urbanistici- nella situazione odierna, fanno parte anche le "abitazioni sociali"; proprio come le scuole, i giardini, gli ospedali e i parcheggi.
Si è superato per le abitazioni sociali la concezione che è stata fino ad oggi soltanto solidaristica, trasformandosi in una esigenza da soddisfare per il buon funzionamento della città.
E questa nuova concezione ha spinto l’Istituto Nazionale di Urbanistica a chiedere anche per le abitazioni sociali -quali nuove Dotazioni Territoriali- aree gratuite in compensazione perequativa, come per le scuole, i giardini, gli ospedali e i parcheggi; senza che ciò costi un euro in più agli operatori immobiliari e ai proprietari dei suoli. E neanche al Comune.

L’INU ha recentemente proposto il proprio modello (che si autodefinisce riformista) per rispondere alla nuova domanda di edilizia residenziale sociale (ERS). E la proposta parte dal contesto emiliano ove sembra che la riformata legge regionale 20/2000 vada proprio nel senso auspicato dall’INU.

Il modello si fonda sull’applicazione di principi perequativi ed è volto a mettere a disposizione delle Amministrazioni Comunali nuove porzioni di aree ove localizzare gli interventi di ERS.
Vi è molta attenzione a non incidere sui diritti edificatori attribuiti ai proprietari dei suoli.
Le aree sono cedute gratuitamente dal soggetto attuatore che procede alla trasformazione urbanistica. E i suoi impegni finiscono qui, dato che l’edificabilità riferita all’ERS è di proprietà pubblica ed è da considerare aggiuntiva rispetto alla potenzialità edificatoria attribuita ai privati.
In definitiva, il modello proposto dall’INU è rivolto unicamente a determinare le condizioni il più favorevoli possibili (cioè acquisire aree edificabili a costo zero) per realizzare successivamente le nuove dotazioni territoriali di ERS. La soluzione adottata, infatti, si trova immediatamente davanti il problema di come finanziare la realizzazione dei nuovi alloggi. E di fronte ai limiti della finanza locale, la soluzione individuata è quella di cedere concorsualmente una parte dei diritti edificatori pubblici destinati all’ERS ai soggetti privati interessati a questo peculiare settore del mercato abitativo, in cambio della realizzazione della restante parte degli alloggi pubblici edificabili.
Le applicazioni sperimentali del modello proposto danno questi risultati: su 120 alloggi realizzati (di cui 20 sono prodotti dai diritti edificatori attribuiti al Comune), 5 alloggi saranno di proprietà pubblica e altri 15 saranno destinati alla locazione a termine in regime di ERS per 10 anni e successivamente venduti a prezzi convenzionati.

Il modello INU rinuncia, fin da subito, a porsi l’obiettivo di socializzare quota parte del plusvalore generato dalla trasformazione urbanistica indotta dalle scelte pianificatorie.
Evidentemente gli urbanisti fanno fatica a capire il nesso che esiste fra il vertiginoso aumento del costo degli espropri pagato dalla comunità e l'enorme incremento della rendita urbana sul costo delle abitazioni pagato dai costruttori e alla fine dai cittadini acquirenti. Se si fanno un po’ di confronti con il resto dell'Europa risulta, ad esempio, che in Francia l'area rappresenta mediamente il 14% del prezzo di una abitazione mentre in Italia l'incidenza dell'area sulla casa è più che doppia, perché arriva mediamente sopra il 30%.
La soluzione dell’INU consente di ottenere le aree ma non gli alloggi e, al contempo, di fatto non riduce l’incidenza dell’area sui prezzi immobiliari.

Vediamo di vedere la questione sotto il profilo finanziario.
Nell’ipotesi di un soggetto proprietario degli immobili interessato alla loro trasformazione, il beneficio privato è determinato dalla differenza tra il valore di mercato dei beni immobili che le scelte pubbliche consentono di realizzare, i costi necessari alla realizzazione di questi ultimi e il valore dell’area prima della trasformazione indotta dal nuovo strumento urbanistico.
Il perimetro entro cui pubblico e privato si possono muovere nell’ambito del negoziato è quello del plusvalore determinato dalle scelte di modifica della situazione urbanistica preesistente.
Con il lessico dell’economia classica, i contenuti dell’accordo tra pubblico e privato riguardano la variazione di rendita determinata dalle scelte di pianificazione, e l’attività negoziale della Pubblica Amministrazione è il percorso attraverso cui il soggetto pubblico recupera parte della rendita determinata dalle scelte di piano.
L’ipotesi alla base del negoziato è che il proprietario, attraverso il value capture del plusvalore generato, possa e debba concorrere al finanziamento dei beni pubblici rappresentati da opere pubbliche e attrezzature collettive di carattere urbano. Tra cui vi sono senza dubbio gli alloggi sociali.

E, adesso, vediamo la stessa questione da un punto di vista giuridico.
Grazie alle tecniche di pianificazione utilizzate nella stagione dei programmi urbani complessi, la fornitura del servizio casa può essere assicurata attraverso modalità diverse da quelle tradizionali superando lo strumento del piano attuativo di settore –il Peep– che per le modalità di acquisizione delle aree (esproprio), per la difficoltà di garantire le opere di urbanizzazione e per la sua collocazione marginale rispetto alla città non risponde più alle esigenze attuali.
Gli strumenti più avanzati della pianificazione attuativa pongono al centro due elementi: il primo la valorizzazione delle aree attraverso la concessione di diritti edificatori da parte dell’Amministrazione e il secondo che riguarda la realizzazione –e in qualche caso anche la gestione– delle opere di urbaizzazione e dei servizi che il soggetto attuatore si accolla in cambio dei vantaggi derivanti dall’edificabilità delle aree.
Al centro si pone l’accordo negoziale tra le parti che presuppone sempre un vantaggio per gli interessi della collettività.
Se negli “oneri” a carico del privato s’incorpora la prestazione del servizio alla casa “sociale” calcolato in rapporto ai diritti edificatori concessi e alle tipologie degl’interventi edilizi ammessi, si farebbe un grande passo avanti nell’ottenere da parte dell’Amministrazione la disponibilità di alloggi sociali.
Sia chiaro che non si deve intendere la quota di ERS da assicurare come standard urbanistico: cioè finirebbe per determinare la riproposizione di una riserva di aree. La nuova Dotazione Territoriale riferita all’ERS deve, viceversa, essere definita come standard di servizio.
Lo standard di servizio non comporta l’obbligo di una sua preventiva localizzazione sul territorio comunale ma, viceversa, implica il suo calcolo nel caso in cui nelle parti del territorio comunale soggette a trasformazione o ristrutturazione, il piano urbanistico preveda che gli interventi edilizi ammessi devono “inglobare” anche una quota di ERS.
La copertura del fabbisogno abitativo “sociale” sarebbe assicurato dal vantaggio che gli operatori ricavano dalla urbanizzazione delle aree edificabili compensato dal contributo “pubblico” che gli operatori privati non versano all’amministrazione in termini di oneri, realizzando direttamente le opere destinate all’abitazione sociale secondo le quote fissate o concordate con l’amministrazione locale.

Si fa fatica a capire il rispetto assoluto che il modello dell’INU ha per la proprietà fondiaria. Eppure, secondo i dati del II° semestre 2006 rilasciati da Consulente Immobiliare, l’incidenza dell’area sulle nuove costruzioni in Regione Emilia Romagna è la seguente:
a) localizzazioni centrali: 40% (con Bologna al 55%, Piacenza al 45% e Parma, Modena e Rimini al 44%)
b) localizzazioni semicentrali: 31% (con Bologna al 45%, Piacenza al 35%, Rimini e Reggio Emilia al 33%)
c) localizzazioni periferiche: 24% (con Bologna al 33%).
Mi sembrano buoni argomenti per capire chi può finanziare la città pubblica. Anche in una prospettiva riformista.

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