giovedì 12 aprile 2007

Anziani proprietari e poveri: rendere liquida la ricchezza immobilizzata

Secondo il recente Rapporto curato da ANCAb-Cresme, uno dei fenomeni destinati ad assumere grande evidenza nello scenario abitativo italiano è costituito dal forte incremento della popolazione anziana, per effetto dell’accelerazione del processo di invecchiamento strutturale della popolazione.
Con riferimento alla fascia più esposta e bisognosa di aiuto, quella degli anziani soli non in coabitazione, nel prossimo decennio si stima un incremento del 18%, pari 560 mila unità, 330 mila delle quali con età superiore agli 84 anni.

Nell’ultima indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia si calcola che, in media, ciascuna famiglia italiana dispone di immobili per 122mila euro; di altre attività reali (come beni durevoli, aziende e oggetti di valore) per circa 20mila euro; di attività finanziarie per circa 25mila euro. Per gli anziani le quote di ricchezza immobiliare sono ancora più elevate e oltre il 70% è proprietario dell’abitazione di residenza. Spesso ciò accade in famiglie che hanno problemi di liquidità, costrette a un basso livello dei consumi. Gli anglosassoni riassumono questa situazione con il termine di house-rich, cash-poor.
E’ utile un confronto in Europa: rispetto al totale delle risorse a disposizione (risparmi in attività finanziare, ma anche valore di abitazione principale, altri immobili, aziende di famiglia eccetera), troviamo che la famiglia media del Sud e Centro Europa dispone di risorse anche in misura superiore rispetto a quella dei paesi nordici. Se guardiamo invece alla quota di ricchezza finanziaria (risparmi in banca, ma anche investiti in fondi comuni o in obbligazioni) sul totale, troviamo un dato mediano di quasi il 30% nei paesi nordici, del 25% nei paesi mitteleuropei, ma inferiore al 5% nei paesi mediterranei.
E forse non è un caso, se nei paesi mediterranei il 20% dice di avere grandi difficoltà, contro il 4% dei paesi nordici e il 6% dei restanti paesi. E un altro 43% di famiglie mediterranee evidenzia di avere qualche difficoltà ad arrivare a fine mese, a fronte di un 18% negli altri paesi nel loro complesso.

In un quadro di progressiva riduzione del livello medio di copertura pensionistica (almeno del 15-20% rispetto ai livelli attuali), gli anziani si trovano di fronte al problema di dover integrare il proprio reddito, non solo per i bisogni di cura e assistenza che si intensificano con l’età ma anche per mantenere in efficienza la propria casa oppure far fronte alle spese condominiali.
Nel Regno Unito, ad esempio, i fondi generati attraverso schemi di equity release sono utilizzati per il 50% come integrazione dei redditi da pensione, per il 20% circa per ristrutturazioni dell’immobile e per un altro 20% per coprire spese sanitarie/assistenziali.

Anche in Italia, dalla fine del 2005 è stato introdotto il prestito vitalizio ipotecario (altrimenti detto reverse mortgage). La sua diffusione, per quel che ne posso sapere, è stata molto limitata. E le ragioni sono tante.
La prima di tipo culturale. Molti desiderano lasciare un’eredità ai figli: l’indagine SHARE indica che in Italia oltre metà degli anziani ritiene che lascerà in eredità più di 50.000 euro.

Altre ragioni, però, sono di natura esclusivamente finanziaria.
La prima si riferisce alla sola possibilità prevista di concessione del prestito in unica soluzione con la capitalizzazione annua composta degli interessi (il cosiddetto anatocismo, in questo caso consentito) e il rimborso integrale in unica soluzione al decesso. A queste condizioni, il debito aumenta in modo esponenziale sino ad assumere un’onerosità elevatissima: ad esempio, al tasso del 7% il debito raddoppia in 7 anni; contraendo un prestito a 65 anni e considerando la speranza di vita media di un uomo, e un tasso del 7%, gli eredi dovrebbero restituire all’istituto finanziario un ammontare pari a 3,35 volte il capitale preso in prestito.
Sui prestiti grava poi il costo della stipula del contratto, dell’assicurazione sulla casa, di liquidazione dell’immobile: nel caso di piccoli importi, questi costi fissi possono aggirarsi intorno al 20% del prestito.

Una recente proposta di Legautonomie e Associazione Anziani e Abitazione mira a introdurre anche in Italia lo strumento della rendita ipotecaria vitalizia.
La modifica più rilevante proposta è quella di prevedere non solo l’erogazione di un prestito con capitalizzazione annua restituibile in unica soluzione, ma anche introdurre un prestito rateale che determinerebbe un debito futuro circa dimezzato rispetto all’ipotesi del reverse mortgage in quanto gli interessi decorrerebbero dall’erogazione effettiva delle rate.
E’ determinate, inoltre, ottenere un livello agevolato dei tassi di interesse applicati, in modo da renderli il più possibili prossimi a quello dei titoli del debito pubblico di lungo periodo: con un tasso di interesse al 4%, una rendita vitalizia mensile decorrente a 70 anni di età pari a 100 euro mensili genera un debito al decesso di 30 mila euro circa, al 7% genererebbe un debito di 45 mila euro circa.

Molti sono poi i punti da chiarire e perfezionare che, ove positivamente risolti, sono in grado di ridurre le barriere allo sviluppo degli strumenti di liquidabilità dei beni immobiliari:
a) i tassi di interesse da applicare sul capitale che possono variare in modo significativo se potrà essere applicata l’imposta sostitutiva agevolata dello 0,25% (quella riservata ai mutui prima casa) in luogo del 2%, abbassando così i costi del finanziamento;
b) occorre dare certezze sugli incrementi di valore che l’alloggio subirà nel tempo e che dovranno essere riconosciuti al momento della scadenza totalmente in favore del privato contraente;
c) dovrà essere previsto il coinvolgimento dei futuri eredi nella definizione dell’accordo per evitare una conflittualità tra chi ricorre al prestito e i familiari;
d) dovrà essere effettuata da un soggetto terzo la valutazione dell’immobile e condivisi i costi degli accertamenti, per evitare che la somma concessa venga decurtata di eccessivi oneri;
e) dovrà essere previsto il patrocinio di organismi accreditati per l’assistenza all’anziano in tutte le fasi dell’accordo.
Non sono poi chiare le ragioni dell’esclusione degli istituti previdenziali tra quelli prestatori, dato che essi sono già presenti nel mercato del mutuo casa e che il provvedimento in esame, in un quadro più generale, finisce per avere un carattere anche previdenziale.

Rispetto a questa proposta, infine, occorre aggiungere il ruolo delle istituzioni.
Questi strumenti si rivolgono a una fascia di popolazione, gli over sessantacinque, che presumibilmente hanno meno familiarità con i meccanismi finanziari e quindi da tutelare maggiormente.
Le amministrazioni locali potrebbero promuovere apposite convenzioni con grandi istituti di credito al fine di costruire proposte di rendita ipotecaria vitalizia, a tassi adeguati, con forme di informazione trasparenti, delle quali lo stesso ente locale potrebbe farsi promotore al fine di informare e tutelare una fascia di utenza particolarmente debole.
Le amministrazioni regionali (ma anche statali) potrebbero intervenire per sostenere con opportune incentivazioni una politica di tassi agevolati al fine di garantire un processo di aumento delle disponibilità finanziarie degli anziani che devono mantenere una casa, ovviamente determinando rigide condizioni di accesso all’incentivazioni (finalità, caratteristiche di reddito e dell’abitazione, del nucleo familiare etc….).
Da parte dello Stato, occorrerà invece avere una normativa secondaria che, rendendo ad esempio più brevi e certi i tempi in caso di esecuzione ipotecaria, concorra a ridurre ulteriormente i costi.

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