sabato 14 gennaio 2012

valori estetici per il progetto (del paesaggio)

Il post di Roby che mi ha già dato modo di ragionare sulle modalità di trattare il paesaggio dell'olivicoltura tradizionale suggerisce molto di più. A partire dal necessario aggiornamento del concetto di Paesaggio. Lo era già al momento della Conferenza nazionale: e il Ministro dell'epoca era la Melandri. Lo è ancor oggi, dato che Roby lamenta ancora la forte presenza dello "spirito contemplativo" in chi si occupa (o si dovrebbe occupare) del paesaggio contemporaneo.
Pur volendo accettare -a soli scopi speculativi, perché già qui dico che non sono molto in accordo- che il paesaggio vada interpretato quale "bellezza naturale", mi sembra che anche da questo ristretto punto di vista qualcosa vada aggiornato. E sì, perché quella concezione del paesaggio trova il suo sottostante nella disciplina pittorica del genere paesaggistico che si va consolidando quale soggetto autonomo nel '600. 

E oggi siamo ancora lì? Il modello di cultura presenta nel giudizio critico che si dà oggi del paesaggio in senso estetico è ancora quello? E dato che Roby nel suo post inserisce quale apparto iconografico l'uliveto di Van Gogh, provo a seguirlo... andando un po' oltre.

Quali possono essere oggi i valori estetici, da affiancare a quelli consolidati che sono ormai diventati degli stereotipi, che possono esserci utili per guardare meglio alcuni pezzi della città contemporanea? Segnatamente quella diffusa, caratterizzata dall'ibridazione tra caratteri urbani e agricoli, dalla giustapposizione di materiali urbani diversi, dall'incongruo dovuto alla mescolanza di un po' di tutto. Cioè tutte quelle parti urbane, e sono proprio tante, che senza qualche modello rinnovato con cui guardare, ci possono apparire soltanto da rifiutare integralmente. E da questo atteggiamento nostalgico e di recriminazione ne consegue l'impossibilità produrre atteggiamenti progettuali idonei a guidare quella vasta parte della città contemporanea verso assetti più maturi. 

A me sembra che qualcosa da dire lo possano avere quei valori figurativi che hanno fatto dell'iconoclastia e della violenza figurativa il terreno di innovazione rispetto ai valori sedimentati dalla cultura preindustriale. Mi riferisco a Schwitters o Rauschemberg. Ma anche a Burri o Prampolini. E non vado oltre perché in materia sono ancor più dilettante che nel resto.





In sintesi: si può pensare a un progetto del paesaggio contemporaneo (anche in funzione della sua conservazione) non con la sua imbalsamazione. Anche perché il paesaggio ridotto a oggetto di contemplazione, e che quindi prescinde dalle forze economico-politiche che lo percorrono, si espone alla debolezza dei soli strumenti vincolistici.

giovedì 12 gennaio 2012

della conservazione del paesaggio olivicolo

Roby (qui), a partire da un’intervista a Pietro Porcinai, riporta questo passaggio"La terra modificata dall'uomo con il lavoro dei campi deve essere tutelata come bellezza naturale." che diventa il pretesto per rimanene un po' incredulo di fronte alla cultura sottostante alla tutela delle Bellezze Naturali che, ancor oggi, si fonda largamente sullo spirito contemplativo.


Prima riflessione. Roby ha ragione: il paesaggio non è qualcosa di immutabile, è il frutto dell’economia di ogni epoca. Anzi si può dire che la “tradizione” altro non è se non un’innovazione che ha avuto successo nel passato. E, per il paesaggio ligure dello spazio rurale e/o perturbano, la sfida è quella della salvaguardia del paesaggio dell'olivicoltura tradizionale. Perché fino a oggi, invece che coltivare olivi, era più conveniente “coltivare case”.

Seconda riflessione. Cosa vuol dire quindi conservare quel paesaggio? Si può davvero pensare che degli imprenditori (perché gli agricoltori, alla fin fine, sono proprio quella roba lì) diventino niente più che custodi mal remunerati di qualcosa che non ha più nessuna ragione microeconomica di esistere?

Terza riflessione. Rispetto a questa funzione di “guardiania” del paesaggio, la PAC prevede quella sorta di indennizzo che possono essere considerati gli “Aiuti allo sviluppo”, cioè quella parte considerevole degli aiuti destinata a finanziare la produzione di public goods, ovvero di quei beni che secondo la teoria economica non vengono remunerati adeguatamente dal mercato ma dai quali la collettività trarrebbero comunque un beneficio: oltre   alla tutela del paesaggio rurale, anche la salvaguardia ambientale, la lotta ai cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità, la sopravvivenza della piccola impresa agricola.

Quarta riflessione. Anche la strada degli aiuti allo sviluppo per la produzione di quel public good che è la conservazione del paesaggio olivicolo tradizionale, vista la dimensione (in ettari) del problema, rischia di avere dei costi insostenibili… per i contribuenti che provvedono a finanziare la PAC.

Visto che il lavoro nei campi è direttamente funzionale alla produzione di un paesaggio, con ogni probabilità anche la sua conservazione dovrebbe passare dal lavoro nei campi. E quindi si dovrebbero riconsiderare tutte quelle discipline o imposizioni volte a ridurre la libertà di fare le scelte colturali alla singola impresa agricola. Meglio di me, argomenta qui o qui l prof. Scaramuzzi (Accademia dei Gorgofili).



Certo, il paesaggio agricolo potrebbe alla fine anche assumere aspetti diverso rispetto alle forme dell’olivicoltura tradizionale… ma almeno ogni singolo campo sarebbe rigoglioso e curato. E, comunque, l’alternativa del “coltivare case” non è certo meno distorcente i caratteri del paesaggio dell’olivicoltura tradizionale.

mercoledì 11 gennaio 2012

materiale didattico corso Amministratori di condominio

Il materiale didattico riferito al corso per amministratori di condominio è disponibile al seguente link (da copiare e incollare): https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3MmE4ZGZiOTMtYzg5OC00Y2VjLWJiN2YtYzBkYmMwNWM0MDgx

lunedì 9 gennaio 2012

le forme dell'energia...e il suo prezzo

Comunicare i rapporti tra l'evoluzione degli scenari energetici e la trasformazione degli spazi domestici e urbani. È questo il tema che il mio Ordine sta portando nelle scuole e, forse, all'attenzione delle associazioni di consumatori. Dopo una prima esperienza è arrivato il momento di correggere un po' il tiro. Che cosa è da mettere in maggior evidenza?

Le forme dell'energia sono soggette a molte spinte, tra le quali quelle direttamente legate all'attualità sono da mettere in maggior evidenza. 
Ogni inizio anno assistiamo alla consueta sventagliata di articoli con tema i rincari. Bene: qual è la dinamica della revisione annuale delle tariffe elettriche e del gas rispetto all'inflazione? E, dato che il prezzo dell'energia aumenta più velocemente di quello del paniere di prodotti sottostante l'indice generale, una maggior efficienza energetica dell'edilizia contribuisce a proteggere dall'inflazione specifica del settore energetico.
L'anno appena passato abbiamo assistito alla crisi del meccanismo di incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili. Bene: il Conto Energia è soltanto un aggravio della bolletta elettrica? Qualche studio recente, seppur  in veste ancora preliminare, sembra dire il contrario. Allorché la domanda di energia è massima, soprattutto in estate quando entrano in scena i condizionatori, anche il prezzo diventa massimo. L'immissione di energia prodotta da fonti rinnovabili, invece, tende a ridurne il prezzo marginale. Di fatto, l'energia da fonti rinnovabili, segnatamente allorché l'insolazione è massima, tende a sostituire la generazione elettrica più obsoleta, cioè quella che ha i costi di produzione più elevati. Da qui l'effetto di calmieramento del prezzo di acquisto.

lunedì 2 gennaio 2012

a scuola verso gli edifici a consumo quasi zero


Cosa vuol dire parlare del rapporto tra energia ed edilizia con i giovani studenti di cui ho già parlato altre volte?

Ha voluto dire fissare l'obiettivo finale: l'autosufficienza energetica di un edificio... e quindi l'approccio passa dal singolo alloggio all'intero organismo edilizio. Ma soprattutto, non ha voluto dire che un "edificio a consumo quasi zero" è un edificio che non consuma energia.

(Casa 100K - Mario Cucinella)

Ha voluto dire definire l'impostazione del percorso progettuale sulla base della stretta interdipendenza tra prestazioni dell'involucro edilizio e impianti. Nel senso che il raggiungimento dell'obiettivo lo si può perseguire non partendo dalla struttura dei consumi energetici attuali e provvedendo a sostituire le fonti energetiche: sarebbe troppo facile. Ma anteponendo la sostituzione delle fonti energetiche a una rigorosa dieta dimagrante, suscettibile di essere ottenuta attraverso il miglioramento delle prestazioni dell'involucro e la conseguente rilevante riduzione del fabbisogno energetico del singolo edificio.

Ha voluto dire, poi, determinare una pluralità di strategie possibili per la produzione di energia, a partire dai guadagni diretti (ad es. serre solari) per arrivare ai diversi modi di sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili (solare termico, solare fotovoltaico, minieolico, biomasse,...). 

(Camille Corot - Mulino a vento a Montmartre - 1845)

Ha, infine, voluto dire che un edificio non sarà più caratterizzato da un unico sistema di generazione ma, rispetto alla vasta gamma di opportunità per lo sfruttamento delle rinnovabili, lo specifico progetto ha il compito di scegliere i sistemi di generazione in funzione della loro convenienza microeconomica. E quindi si assisterà a edifici connotati da più sistemi di generazione, nell'ambito dei quali le fonti energetiche convenzionali avranno una funzione integrativa nel bilancio energetico dell’edificio stesso.