martedì 20 dicembre 2011

risposte test

Le risposte del test erano queste:
1 - B
2 - B
3 - C
4 - A
5 - B
6 - A
7 - C
8 - A
9 - B
10 - C
11 - C
12 - B
13 - B
14 - B
15 - C
16 - B
17 - A
18 - B
19 - C
20 - C
21 - A
22 - B
23 - B
24 - B
25 - A
26 - A
27 - C
28 - C
29 - B
30 - B
31 - C
32 - A
33 - B
34 - C
35 - B
36 - C
37 - B
38 - A
39 - A
40 - B

test per agenti immobiliari

Il testo delle domande per il corso destinato agli agenti immobiliari è qui (da copiare e incollare):  https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3YWU4OTlmMzEtYjJjZS00YTU2LThlOTMtNTUzY2Y1OTRhNmE0

domenica 11 dicembre 2011

un testo "giuridico" a cui ispirarsi

In una slide preparata per illustrare la possibile evoluzione della casa agli studenti, a proposito del SoBon di Munich o della dotazione territoriale italiana e ligure, compare un passo tratto dal Levitico 25:23 "Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini”. Non è la voce di un padre del comunismo, mi spiace.

Da Erri De Luca "E disse" la spiegazione a proposito del comandamento "Non rubare(...) però potrai entrare nel campo del tuo vicino e mangiare del frutto del tuo seminato. Non porterai con te cesto Né gerla per riempire e trasportare, perché quello è rubare, sottrarre roba altrui. Ma sul suo campo ti potrai sfamare e ti ricorderai di ringraziare il suo lavoro, il suo bene e la legge che ti permette l'ingresso. E quando è stagione di raccolto il proprietario lascerà una decima parte del campo a beneficio degli sforniti. E ancora: quando i mietitori saranno passati con la falce, non potranno passare una seconda volta a completare. Qual che resta spetta al diritto di racimolare".

Curioso che la soglia della dotazione territoriale per l'edilizia sociale sia proprio il 10%.

martedì 6 dicembre 2011

affitto, giovani e crescita

Sempre con gli studenti di cui ho già postato qualcosa (qui), insieme a Mauro abbiamo anche ragionato su come le nostre città potrebbero agevolare l'avvio del percorso lavorativo dei giovani. Tema quanto mai attuale, anche visto ciò che, finalmente, è stato messo a fuoco nel Decreto "Salva Italia". Sugli strumenti ci si può anche dividere... ma sull'obiettivo proprio no.

E allora veniamo a un vecchio e caro tema di questo blogghetto: la maggiore offerta di alloggi in affitto a canoni più o meno calmierati (qui, e poi qui, e ancora qui, quo, qua). Tema che erroneamente viene interpretato solo come politica sociale ma che, viceversa, è suscettibile di svolgere un buon ruolo a supporto della crescita. O, comunque, della riduzione della disoccupazione (o della sottooccupazione). 

Questa volta, però, faccio parlare Richard Florida. Magari a un insigne studioso si darà più retta. "Un recente studio condotto da Grace Wong, economista alla Wharton School of Business, dimostra che, controllando il livello reddituale e demografico, chi vive in una casa di proprietà non è più felice di chi paga l’affitto, né presenta un minor grado di stress o un maggiore quoziente di autostima."
Ma soprattutto è importante il successivo passaggio. "Un mercato degli affitti più esteso e sano, che offra maggiori possibilità di scelta, renderebbe l’opzione della locazione più allettante agli occhi di un gran numero di cittadini, e l’economia nel suo insieme più flessibile e reattiva. In una fase successiva, occorre incoraggiare la crescita nelle città e regioni meglio attrezzate per reggere la concorrenza nei decenni a venire: le grandi megaregioni che già fanno da traino all’economia, e i più piccoli centri di innovazione, in grado di attrarre talenti, situati all’interno dei loro confini. Penso a luoghi come la Silicon Valley, Boulder, Austin e il «triangolo della ricerca» nella Carolina del nord."
Basta sostituire il nome agli stati con qualche regione italiana o europea e il discorso non cambia di molto.

In altri termini, solo con città in grado di offrire un po' di alloggi in affitto a prezzi accettabili ognuno avrebbe l'opportunità di cercare il lavoro che più è confacente alle proprie aspirazioni e alla propria indole. O, se si preferisce, ai propri skills. E questo, magari, comporta anche lo spostamento dal luogo di nascita. Che, onestamente, non è la peggiore cosa del mondo.
Non sarà certo l'unica opzione per una politica pro-crescita, ci mancherebbe altro, però affitti bassi e in discreta quantità sono il necessario supporto affinché ognuno, o meglio, i più volenterosi, possano andare a cercarsi il proprio destino. Che, detto sinceramente, non mi sembra una prospettiva di policy così irrilevante.

Le politiche urbanistiche ci hanno già messo a disposizione strumenti per far sì che l'offerta in affitto non debba essere più così.


Ma possa, invece, essere così.



sabato 3 dicembre 2011

dalla casa all'abitare

Di recente mi sono trovato a parlare di casa e dell'abitare agli studenti di un Istituto Superiore, nell'ambito di un progetto formativo del mio Ordine provinciale (qui). 

È stata l'occasione per ragionare sulle ricadute che la flessibilità, in primo luogo lavorativa, ha sulle pratiche abitative e sugli assetti spaziali.  Le più importanti fasi della vita di ciascun individuo, cioè il momento in cui si entra nel mondo del lavoro, il momento in cui si mette su famiglia e si acquista per la prima volta la prima casa, il momento della vecchiaia allorché inizia a venire meno l’autonomia individuale, pongono problemi abitativi molto diversi. Ma rispetto a questa variabilità, è del tutto evidente la frizione tra un sistema economico che richiama sempre più capacità di adattamento rispetto al mutare delle condizioni e un’offerta abitativa che, viceversa, è rigida.
Il mercato immobiliare non ha declinato un'offerta adeguata tale da internalizzare quel processo in atto di scomposizione/composizione dell'alloggio: domanda di autonomia dei figli, presenza del lavoro in casa, ospitalità di anziani non autosufficienti, badanti, momentanee possibilità di affittare qualche stanza per integrare il reddito familiare.
La casa è un investimento; le esigenze spaziali stanno sullo sfondo.

Il confronto con i giovani studenti ha invece messo in evidenza la fecondità dell'idea del loft del Nemausus di Jean Nouvel oppure la crescita organizzata nel tempo dei progetti di Elemental (Alejandro Aravena) in Chile o del bellissimo intervento di Laura Weber ad Almere. Allo stesso modo, le pratiche di cohousing ci hanno insegnato come rispetto a tale modello ci siano delle possibilità applicative intermedie utili per risolvere un pò di problemi della terza età (ma non solo di quella). Ne avevo già parlato qui a proposito della Y house di Steven Holl.


Non so quanto sia stato utile l'esperienza per gli studenti: sicuramente lo è stata per me. E' ancora più chiaro il deficit di cultura progettuale nostra, la lontananza dalla ricerca sociale, l'incapacità di pensare in modo diffuso modelli adeguati di edilizia residenziale. Il progetto dell'abitare è astratto perché lontano dalle pratiche abitative reali, si è rintanato nel formalismo sia architettonico sia procedurale.


giovedì 24 novembre 2011

materiale didattico lezione casa

Il materiale didattico riferito alla lezione sulla trasformazione della casa come un servizio (dalla casa all'abitare) per l'Istituto Scolastico Fermi di Ventimiglia è disponibile al seguente link: https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3MDkxZDRjNGEtNDJjYS00ODMwLWI1ZTQtZmJlMjhhNzM3NWYw (da copiare e incollare)

mercoledì 16 novembre 2011

materiale presentazione via Pineo

Le slides della presentazione di via Pineo alla Facoltà di Architettura dell'Università di Genova sono disponibili a questo indirizzo: https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3YzIxMWZkZGUtZDRlNC00OGFiLWFlYTEtMDA4YmQ3YmRlYzBj (da copiare e incollare)

martedì 15 novembre 2011

materiale didattico lezione FER

Il materiale didattico riferito alla lezione sullo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili per l'Istituto Scolastico Fermi di Ventimiglia è disponibile al seguente link: https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3NTJlNzkzNzctZmY2My00NGY2LWE4MGMtNGRjNGM1ZDc2M2Nl (da copiare e incollare)

martedì 8 novembre 2011

Bamboccioni vs. piena occupazione

Notizia preoccupante su Phastidio riferita all'aumento dei giovani che tendono sempre più a vivere in famiglia negli USA. "La quota di giovani di età compresa tra 25 e 34 anni che convivono con i genitori è salita quest’anno al 14,2 per cento. Era il 10,6 per cento nel 2000." 


A casa con mamma e papà


Tradizionalmente, la possibilità di cambiare casa (soprattutto in affitto) a basso costo era un importante carattere che contribuiva alla costruzione di un sistema economico che poteva aspirare alla piena occupazione. Evidentemente, l'Italia fa scuola.

il "famoso" lotto minimo in zona agricola

La lettura quotidiana de La Valle del Siele mi offre qualche buon dato sintetico sulla dimensione media delle aziende agricole in Europa (qui il dato originario). Questa la classifica:
1) Repubblica Ceca, con una media di 152 ettari;
2) Regno Unito (79 ettari);
3) Danimarca (65 ettari);
4) Lussemburgo (59 ettari)
5) Germania (56 ettari)
6) Francia (53 ettari). 

Solo 7,9 ettari di media per le aziende agricole italiane: un dato che vede una forte frammentazione, con aziende relativamente piccole ma numerose sul territorio.

Dalle parti liguri, invece, la dimensione minima urbanistica di 1 ha negli strumenti urbanistici generali è una specie di miraggio. Evidentemente si coltivano fragole.

lunedì 7 novembre 2011

materiale didattico corso Agenti immobiliari

Il materiale didattico è scaricabile utilizzando questo link: https://docs.google.com/open?id=0B79jE8SCdbV3Njk1YmY5NjgtOGI0ZS00ZWQ0LWE1MDAtNDk4NjgwNzdmZTg2

venerdì 24 giugno 2011

intervista sul colore

Con la signora che sta nella stanza accanto, ci siamo trovati a rispondere ad alcune domande relative alla psicologia del colore per una rivistina che si occupa di salute e benessere.

Oltre all’attenzione alla funzionalità, nel progetto è fondamentale l’approfondimento del rapporto tra lo spazio e la psicologia, e l’uso del colore è fattore essenziale del benessere. La tesi dello studio è che l’utilizzo consapevole del colore può contribuire alla riduzione della cosiddetta Sick Building Syndrome, migliorare il comfort ambientale e determinare altresì contenuti emozionali positivi.

Esiste un rischio inquinamento imputabile al colore dei nostri ambienti?
Certo! Gli ambienti indoor e gli spazi aperti in cui viviamo o lavoriamo sono caratterizzati da agenti inquinanti che attengono la qualità della luce e dell’aria, l’igiene, l’assenza di rumore. Un aspetto su cui però non si presta adeguata attenzione è il pericolo dell’inquinamento cromatico: una gran quantità di arredi, apparecchi tecnologici, accessori, finiture, lampade dei più disparati colori e materiali -a volte scelti in assenza di un programma o di un progetto adeguato o frutto di economici interventi di recupero- invece di rappresentare immagini di spazi dinamici, armonici ed efficienti determinano solo malesseri.
Sono noti i disagi provocati da ambienti monocromatici. L’eccessivo utilizzo del poco impegnativo “tutto bianco”, finisce per provocare sensazioni di disorientamento e di claustrofobia. L’eccessivo utilizzo del colore bianco, infatti, aumenta anche i rischi di abbagliamento, di restringimento della pupilla, oltre a rendere più difficile la messa a fuoco, a rendere difficoltosa la concentrazione.

Com’è considerato il colore nella produzione edilizia attuale?
Luce e colore sono fattori determinanti dell’ergonomia visiva e fonti della maggiore carica emotiva che lo spazio può offrire. Nella produzione edilizia corrente, invece, il colore è per lo più preso in considerazione riduttivamente, al massimo per le sue possibilità e valenze estetico-decorative; non fa quasi mai parte dello start-up progettuale come elemento fondamentale, viene identificato come quel superficiale elemento di rivestimento con cui nascondere o rendere visibili e plausibili, o maggiormente appetibili, superfici anonime: l'uso del colore ha così progressivamente perso quel vocabolario di significati e conoscenza che lo hanno reso simbolico protagonista nella storia dell’arte e del costruire.
La ricerca del “giusto” colore è, infatti, un antidoto alla grigia quotidianità, condiziona l’umore, ci trasmette serenità, disponibilità ai rapporti interpersonali e ci predispone all’ottimismo.
Un consapevole uso del binomio luce-colore, può, da un lato, superare il dualismo tra l’esterno e l’interno e, dall'altro, incrementare le risposte fisiologiche e psicologiche ai diversi stimoli prodotti all'interno dell’ambiente che dovrà rispondere a vari stimoli, da quello della socializzazione di gruppo fino a quello individuale.

Nei vostri progetti, quali sono gli effetti del colore più considerati?
Nei progetti curati dal nostro studio tendiamo a considerare con particolare attenzione gli effetti psicologici. Questi ultimi attengono a una serie di cambiamenti nel modo di sentire, interpretare, valutare e agire che gli esseri umani mettono in atto rispetto agli stimoli procurati dal colore: dall’espressione di sé alla relazione con gli altri; l’attrattività in relazione agli aumentati bisogni di sicurezza; le sinestesie percettive che, attraverso il colore, sostituiscono la visione con gli altri sensi.
Ad esempio, alcuni tipici riflessi del colore sulla psicologia del fruitore, costituiscono i risvolti operativi di un consapevole progetto: i colori schiariti inducono rilassatezza (luminosità), i colori molto saturi eccitazione (saturazione), i colori scuri robustezza, ma succede anche che i colori di un ambiente modificano la percezione di quello successivo.

Quindi il colore non solo una funzione estetica.
Assolutamente no. Ogni spazio architettonico non ha un colore ma ha il “suo colore”, cioè il colore più adatto per lo scopo specifico di quel determinato spazio. Se opportunamente studiato e scelto nella giusta tonalità, saturazione e luminosità, il colore diventa un potente strumento a disposizione dei progettisti, al fine di ottenere l’umanizzazione degli ambienti costruiti, modificare le proporzioni e la percezione degli spazi, determinare aspettative, differenziare situazioni di attenzione. L’utilizzo del colore deve sempre esprimere e coordinare tutto questo.
Scegliere colori appropriati per le nostre abitazioni e gli ambienti di lavoro non si configura quindi come una scelta decorativa ma soprattutto come un’azione terapeutica. Solo successivamente l’uso del colore avrà anche una funzione puramente estetica.

Qual è stata l’esperienza in cui il rapporto tra spazio e colore è più intensa?
Nell’ambito della nostra ricerca progettuale, molto significativa è stata l’esperienza con i bambini e con i ragazzi, sia nel caso di case ove ci sono figli, sia nel caso di scuole o di giardini specificatamente dedicati ai minori.
Le scuole o i giardini sono stati un luogo privilegiato della nostra ricerca di ergonomia del colore: è assai evidente la funzione formativa e quanto peso abbia la sensazione di benessere dei ragazzi sul loro rendimento e, alla lunga, sull'investimento intellettuale di cui questi spazi sono oggetto.
Ad esempio, nelle zone di ricreazione, negli atrii di ingresso, nei corridoi abbiamo impiegato i colori più saturi ed estroversi. Per le aule e i laboratori, invece, abbiamo scelto colori che favoriscono la concentrazione, ad esempio, il giallo per la parete posteriore alla cattedra.



Un consiglio prima di chiudere.
Prima di affidarvi a un architetto per la scelta dei colori, fate attenzione ai vostri gusti. E poi domandate di che colore intende “colorare” la vostra casa… se ve ne propone qualcuno prima di chiedervi quale atmosfera vi piacerebbe abitare… vedete voi se affidargli la vostra “salute”.

giovedì 9 giugno 2011

partnership pubblico-privato e giudici

Sempre a proposito del rapporto tra crisi e professione di cui parlavo ieri, sull'ultimo numero della rivista Inarcassa (che, per la verità, al massimo sfoglio) c'è un contributo di Emanuele Nicosia intitolato "Gli scenari della professione di architetto". 
Alla fine del pezzo, a partire da una ricerca Cresme-CNA, sono indicati i driver del cambiamento per la sostenibilità della professione. Si citano l'innovazione tecnologica, la gestione (e non più solo la fase costruttiva), la sostenibilità ambientale e quella sociale. Tutto condivisibile. Poi c'è anche la costruzione della partnership pubblico-privato, "l'unica strada per il futuro vista la forte riduzione di risorse pubbliche di questi ultimi anni... (al fine di) coniugare interessi privati e pubblici per moltiplicare le potenzialità di investimento". Anche in questo caso, sarebbe tutto condivisibile. Però ci vorrebbe un diverso Paese, cioè un Paese ove allorché lo sviluppo della sussidiarietà orizzontale non finisca, quasi inevitabilmente, sul tavolo di qualche giudice. E su questo deficit culturale, le rappresentanze di categoria qualche azione potrebbero anche metterla in cantiere. Altrimenti prevale il clima giustizialista di Rep., il Fatto quotidiano e similari. E la partnership pubblico-privato, al più, va bene per scrivere articoli. 

mercoledì 8 giugno 2011

la rappresentanza e la crisi

Lunedì prossimo a Imperia si discute dello stato della professione di architetto a partire dalle iniziative del CNAPPC e di Inarcassa per superare il momento di crisi. Che dire. Personalmemte poco o niente, perché sarò ad ascoltare. Però spero di non sentire ancora una volta che la soluzione sia una legge per l'architettura che, tra le altre cose, promuova i concorsi.

Non ho risposte preconfezionate. Però mi piacerebbe che qualcuno iniziasse a cavalcare altri temi. Ad esempio, quello della costante sottovalutazione della spesa in conto capitale. Ogni tanto, soprattutto su Il Sole 24, si leggono notizie di bandi bloccati (come questa). Oppure di utilizzi distorti di fondi pubblici che, e non è casuale, finiscono sempre per andare a finanziare la spesa di parte corrente (come questa sul FAS oppure questa sul TFR).
Non sto a sindacare se le infrastrutture che oggi sono bloccate per mancanza di fondi siano così determinanti. Forse è anche vero che gli stessi fondi potrebbero essere destinati ad altri e più proficui utilizzi. Dico semplicemente che considerare la spesa in conto capitale quale voce di spesa "voluttuaria" e comprimibile, una vera e propria variabile residuale nel quadro delle erogazioni pubbliche -oltre a dare un danno a chi sugli investimenti pubblici in infrastrutture si guadagna da vivere- non porterà molto lontano l'intero paese.

La spesa per investimenti contribuisce alla crescita della produttività totale dei fattori, e quindi, alla crescita di lungo periodo. Pensare di farne a meno condanna il paese al declino. Dato che oggi, di crescita, un pò tutti parlano, potrebbero anche parlarne gli architetti.

lunedì 30 maggio 2011

metodo vs. stile

Per preparare una guidina da portarci in viaggio in Finlandia, mi è capitato di approfondire l'opera di uno studio che non conoscevo: JKMM architetcts. Le opere che visiteremo sono la biblioteca di Turku e una chiesa a Viikki, un quartiere di Helsinki.
A parte il valore dei singoli episodi, la cosa più rilevante che mi sono detto è: "questi sono edifici diversi l'uno dall'altro". Bella scoperta, si potrebbe dire. Ma non è mica così scontato. Anzi. 

I meccanismi di produzione dell'architettura, spesso, portano a privilegiare lo stile della firma, cioè del progettista, rispetto ai temi del luogo, del programma e dell'appropriatezza della soluzione individuata. Ne leggevo qui, a proposito del concorso per il Culturforum di Den Haag (qui la rassegna dei vari partecipanti). Effettivamente, mi sembra molto comune produrre lo stesso edificio per posti diversi. Anche per nazioni o continenti diversi. Un pò alla Calatrava, tanto per spiegarmi meglio.

JKMM, invece, mi sembrano molto meno interessati a "marchiare" e rendere riconoscibili le proprie opere attraverso l'applicazione del proprio bagaglio stilistico. Ciò che prevale dalla lettura dei loro interventi è il metodo progettuale, l'artigianalità del fare architettura che li porta a definire soluzioni specifiche per problemi particolari. Probabilmente stando vicino alla propria committenza. Ma con la committenza che si globalizza, come avranno risolto il problema?


giovedì 14 aprile 2011

le riforme e il mondo capovolto

La cosa più interessante dell'incontro di presentazione della nuova lr 4/11 che va a modificare il Piano Casa ligure, una volta tanto, è stata la relazione introduttiva. Cioè quella che poco entra nel merito ma che, invece, ha il ruolo di dare i "segnali". E, puntualmente, il segnalo è arrivato: "Questa sarà la legislatura delle riforme". Curioso, poi, il fatto che a pronunciare queste parole non fosse un politico ma la figura apicale dell'organigramma regionale per quel che attiene il settore del Governo del Territorio.

E allora vediamo perché questa sarà la legislatura delle riforme. Perché è stato appena modificata la legge sul Piano Casa. E poi perché saranno introdotte delle modifiche alla lr 16/08... che in pochi anni ha già subito qualche modifica marginale e un paio di proroghe sulla sua entrata in vigore. E, non ultimo, sarà addirittura modificata la lr 36/97 per semplificare il doppio procedimento di approvazione del progetto preliminare del PUC e di quello definitivo. 

Accidenti che riforme... Pensandoci un pò, basta solo trovare l'accordo sul significato dei termini. E allora tutto può sembrare più chiaro... Cioè il mondo è capovolto.

Cosa sarebbe una legge di revisione degli oneri concessori che, ad esempio, trasformi un pò la quota "costo di costruzione" in "contributo per la riqualificazione della città"? Oppure, che introduca una qualche forma di perequazione territoriale in grado di riequilibrare onori e oneri finanziari del modello insediativo ligure? È semplice: sarebbe una correzione marginale dell'ordinamento esistente.
E cosa sarebbe un qualche provvedimento volto a incentivare il consolidamento delle unioni di Comuni, al fine di affrontare la dimensione degli Strumenti Urbanistici Generali rispetto all'odierno meccanismo di funzionamento del mercato immobiliare? È semplice: sarebbe una correzione marginale dell'ordinamento esistente.
E, infine, cosa sarebbe una leggina sul consumo di suolo che affronti, se è così necessario ad avviso di qualche influente organo di stampa, il problemino della diffusione insediativa in Liguria (forse dovrei dire "la cementificazione del territorio"). È semplice: sarebbe una correzione marginale dell'ordinamento esistente.

mercoledì 13 aprile 2011

la creatività non è semplice pensiero

In occasione del Salone del Mobile c'è qualche riflessioni sul Made in Italy e sulla creatività in generale. In particolare, a proposito della rivalutazione del lavoro artigianale, mi è piaciuto questo ragionamento proposto da Italia Futura (qui).
"Sparsi in tutta Milano, si moltiplicano gli eventi che vedono protagonisti della scena gli artigiani che concorrono alla produzione dell’offerta del sistema casa. Il tema non è nuovo, ma finalmente riceve la dovuta attenzione. Per anni abbiamo considerato la manifattura un problema risolto. Il ricorso massiccio alla delocalizzazione della produzione nelle economie emergenti ha fatto pensare ai più che un paese avanzato come l’Italia dovesse concentrarsi su poche attività della filiera produttiva, principalmente la progettazione e la comunicazione, nella convinzione che il pensiero creativo potesse essere separato dalla sua traduzione in fatto concreto. In molti hanno creduto che la creatività fosse solo pensare, immaginare e disegnare (al computer). Oggi stiamo scoprendo che la creatività è una cosa più complicata di un semplice pensiero. E’ il risultato di una serie di passaggi che prevedono il confronto fisico con la materia prima e con le tecniche della manifattura. Capiamo l’importanza di un’intelligenza del fare e che questa intelligenza è complementare a quella di chi immagina e comunica." I grassetti non sono miei.

giovedì 7 aprile 2011

legge sulla riqualificazione energetica: perché il Piano Casa non serve

Nel precedente post cercavo di rilevare l'interesse della proposta di legge sotto il profilo microeconomico. Aggiungo ancora qualche considerazione sempre partendo da chi abita e utilizza gli edifici: le famiglie.

Il provvedimento proposto è una sorta di rivisitazione del Piano Casa. Questo è indubbio. Solo che rispetto alla lr 49/09 cambia un pò il target di riferimento. Se per il Piano Casa sono i piccoli (o medio-piccoli) edifici e gli edifici incongrui, nella proposta di legge sono i condomini. 
Edifici così sono caratterizzati da una proprietà frammentata economicamente, culturalmente e anagraficamente (quindi con possibilità finanziarie e aspettative di vita assai diverse), per la quale ogni intervento che necessita accordi su spese che hanno tempi di ammortamento di una decina d’anni risulta pressoché impossibile. 
Le strade percorribili per incentivare la riqualificazione in chiave energetica degli immobili sono tradizionalmente tre:
·         incentivazione/detassazione delle ESCO (Energy Service Company) e delle relative attività di contracting, ovvero la promozione di società private che si offrono di risanare gli edifici a loro totale o parziale spesa in cambio dei vantaggi economici per un certo numero di anni derivati dalla conquistata efficienza energetica dell’edificio;
·        estensione della possibilità da parte delle ESCO di produrre Titoli di Efficienza Energetica (detti “Certificati Bianchi”) da vendere alle società erogatrici di energia che sono obbligate a conseguirli;
·         incentivi fiscali. L’Italia con la Finanziaria 2007 ha ideato un ottimo congegno fiscale (sgravi IRPEF del 55%) che è però azzoppato dalla sostanziale assenza di un metodo di calcolo comune e rigoroso e dall’assenza di controlli da parte di enti certificatori realmente terzi.

Questi strumenti hanno conseguito fino a oggi risultati modesti. Il principale difetto è che tali strumenti non possono essere per tutti. Ad esempio, per un pensionato che deve spendere qualche migliaia di euro per la sua quota di cappotto termico con un tempo d’ammortamento di 8 anni è sempre troppo. E non ci sono concessioni di sgravi IRPEF o similari che possono far cambiare valutazione. 

Il problema rimane quello di trovare incentivi economici mirati. E questi incentivi, in un quadro di risorse pubbliche decrescenti, possono essere trovate sul piano urbanistico. Cioè partendo dal livello di governo locale. In questo senso, la strada della premialità urbanistica ci pare l'unica che possa dare qualche frutto.
Per i condomini, però, è improponibile pensare alla premialità urbanistica di cui all'articolo 6 della nuova lr 49/09. La demolizione e ricostruzione, infatti, può andare bene per gli edifici inutilizzati, non certo per quelli abitati o comunque in buona efficienza. 
Per questi ultimi, la premialità volumetrica deve prevedere la permanenza delle famiglie nei propri alloggi. La strada è quella di scindere (almeno giuridicamente) i lavori di riqualificazione energetica da quelli che attengono il credito volumetrico. 

La soluzione possibile, individuata dal disegno di legge, è quella di prevedere la possibilità che l’edificio che viene risanato maturi un credito di cubatura da realizzare attraverso sopraelevazione (quando tecnicamente possibile) e/o da realizzare in altre aree edificabili individuate dal Comune mediante trasferimento di diritti edificatori.
Il tutto con specifiche garanzie pubbliche: da parte del Comune, che rilascia il titolo abilitativo; da parte della Regione Liguria, mediante la verifica dei calcoli energetici e un controllo su tutto il processo (progetto, cantiere, edificio finito). Senza il rispetto del quale (quindi in assenza di corrispondenza tra progetto e prodotto realizzato) non sussistono le condizioni per maturare nessun credito volumetrico.

legge sulla riqualificazione energetica: perché il Piano Casa non serve

Nel precedente post cercavo di rilevare l'interesse della proposta di legge sotto il profilo microeconomico. Aggiungo ancora qualche considerazione sempre partendo da chi abita e utilizza gli edifici: le famiglie.

Il provvedimento proposto è una sorta di rivisitazione del Piano Casa. Questo è indubbio. Solo che rispetto alla lr 49/09 cambia un pò il target di riferimento. Se per il Piano Casa sono i piccoli (o medio-piccoli) edifici e gli edifici incongrui, nella proposta di legge sono i condomini. 
Edifici così sono caratterizzati da una proprietà frammentata economicamente, culturalmente e anagraficamente (quindi con possibilità finanziarie e aspettative di vita assai diverse), per la quale ogni intervento che necessita accordi su spese che hanno tempi di ammortamento di una decina d’anni risulta pressoché impossibile. 
Le strade percorribili per incentivare la riqualificazione in chiave energetica degli immobili sono tradizionalmente tre:
·         incentivazione/detassazione delle ESCO (Energy Service Company) e delle relative attività di contracting, ovvero la promozione di società private che si offrono di risanare gli edifici a loro totale o parziale spesa in cambio dei vantaggi economici per un certo numero di anni derivati dalla conquistata efficienza energetica dell’edificio;
·        estensione della possibilità da parte delle ESCO di produrre Titoli di Efficienza Energetica (detti “Certificati Bianchi”) da vendere alle società erogatrici di energia che sono obbligate a conseguirli;
·         incentivi fiscali. L’Italia con la Finanziaria 2007 ha ideato un ottimo congegno fiscale (sgravi IRPEF del 55%) che è però azzoppato dalla sostanziale assenza di un metodo di calcolo comune e rigoroso e dall’assenza di controlli da parte di enti certificatori realmente terzi.

Questi strumenti hanno conseguito fino a oggi risultati modesti. Il principale difetto è che tali strumenti non possono essere per tutti. Ad esempio, per un pensionato che deve spendere qualche migliaia di euro per la sua quota di cappotto termico con un tempo d’ammortamento di 8 anni è sempre troppo. E non ci sono concessioni di sgravi IRPEF o similari che possono far cambiare valutazione. 

Il problema rimane quello di trovare incentivi economici mirati. E questi incentivi, in un quadro di risorse pubbliche decrescenti, possono essere trovate sul piano urbanistico. Cioè partendo dal livello di governo locale. In questo senso, la strada della premialità urbanistica ci pare l'unica che possa dare qualche frutto.
Per i condomini, però, è improponibile pensare alla premialità urbanistica di cui all'articolo 6 della nuova lr 49/09. La demolizione e ricostruzione, infatti, può andare bene per gli edifici inutilizzati, non certo per quelli abitati o comunque in buona efficienza. 
Per questi ultimi, la premialità volumetrica deve prevedere la permanenza delle famiglie nei propri alloggi. La strada è quella di scindere (almeno giuridicamente) i lavori di riqualificazione energetica da quelli che attengono il credito volumetrico. 

La soluzione possibile, individuata dal disegno di legge, è quella di prevedere la possibilità che l’edificio che viene risanato maturi un credito di cubatura da realizzare attraverso sopraelevazione (quando tecnicamente possibile) e/o da realizzare in altre aree edificabili individuate dal Comune mediante trasferimento di diritti edificatori.
Il tutto con specifiche garanzie pubbliche: da parte del Comune, che rilascia il titolo abilitativo; da parte della Regione Liguria, mediante la verifica dei calcoli energetici e un controllo su tutto il processo (progetto, cantiere, edificio finito). Senza il rispetto del quale (quindi in assenza di corrispondenza tra progetto e prodotto realizzato) non sussistono le condizioni per maturare nessun credito volumetrico.

martedì 5 aprile 2011

legge sulla riqualificazione energetica: il punto di vista delle famiglie

Finalmente è stato varata la proposta di legge regionale riferita alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Mi sembra un buon modo per reagire al degrado progressivo delle istituzioni.
A parte questi aspetti, per andare ancora sulle questioni sollevate dalla proposta, può essere utile valutare il provvedimento sotto il profilo microeconomico, cioè mettendosi dalla parte delle famiglie. 
L'articolo 2, comma 1, lett. b) enuclea quale obiettivo specifico della legge la sensibile riduzione de "i tempi di ammortamento dell’investimento necessario alla riqualificazione energetica suscettibile di gravare sulla proprietà immobiliare". Cosa significa tutto ciò e perché?

Guardando un pò gli ultimi dati disponibili dell'ISTAT sui consumi delle famiglie italiane, le spese per il combustibile e per l'energia connesse alle abitazioni (cioè trasporti esclusi) ammontano a 130,36 euro/mese (pari a 1.564,32 euro all'anno) su un totale di spesa di 2.484,64 euro/mese. In altri termini, le spese per fornire energia alle nostre case incide per il 5,25% sul bilancio familiare. Poco? Per la salute, tanto per fare un esempio, spendiamo di meno: 95,60 euro al mese. E per alimenti e bevande meno di quattro volte tanto: 475,19 euro/mese.
Il dato medio sul complesso delle famiglie italiane, però, non dice tutto. Dato che il consumo per l'energia domestica è un consumo abbastanza incomprimibile (nel senso che una casa non si può non riscaldare) e la cui variazione varia al più in funzione della dimensione di ogni singolo alloggio, è interessante verificare come impattano i consumi energetici sui nuclei familiari più deboli. Prendiamo, ad esempio, il nucleo monopersonale composto da un ultrasessantacinquenne che abita nel Nord Ovest italiano. A fronte di una spesa annuale di 1.313,04 euro, la sua incidenza sul totale dei consumi sale al 6,99%. E dato che, sempre secondo l'ISTAT, i nuclei che hanno un reddito annuale netto (cioè depurato dalle imposte) inferiore a 12.000 euro sono almeno il 10% delle famiglie che risiedono in Liguria, quella stessa spesa per l'energia domestica arriva a incidere più del 10,9% sul totale dei consumi. In altri termini, se quella famiglia deve anche pagare un affitto oppure un mutuo, solo il mantenimento della casa è suscettibile di assorbire poco meno della metà del reddito disponibile. Cioè quella famiglia è oltre la soglia della povertà.
Per comprendere ancor meglio cosa significhi ridurre sensibilmente una spesa di 1.313,04 euro all'anno, basti ricordare che la Regione Liguria è arrivata a erogare fino all'anno scorso circa 1.100 euro/anno quale integrazione al reddito delle famiglie che vivono in affitto. Mi sto infatti riferendo alle prestazioni sociali garantite dal Fondo Sociale di sostegno agli Affitti... che è costato alle finanze pubbliche più di 10 milioni di euro all'anno.


E adesso arriviamo al "come fare" per alleviare il bilancio familiare dai costi energetici e per evitare che i costi della riqualificazione gravino sulle finanze delle singole famiglie.
Certo non con gli strumenti normativi tradizionali: l’ICI è diventata irrilevante ora più che mai; i contributi in conto capitale oramai sono fuori dalla portata dei bilanci di qualunque livello di governo; qualunque normativa impositiva è da ritenere impossibile anche solo da pensare perché, di fatto, scaricherebbe l’onere finanziario totalmente sui privati. E allora?
Si è pensato quindi di consentire all’edificio (o meglio, all’insieme dei suoi proprietari) che decide di risanarsi energeticamente, di maturare un “credito” di cubatura -anche in zone urbanisticamente oggi definite sature- che è obbligato a mettere sul mercato. L’introito della vendita dovrebbe poi essere totalmente reinvestito per finanziare il risanamento stesso.
Il premio di cubatura, poi, è differenziato in funzione della riduzione del fabbisogno energetico e, in misura minore, anche del livello del mercato immobiliare dell’edificio suscettibile di essere risanato.
Le simulazioni fatte sono confortanti. Ai valori immobiliari desunti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio, l’operazione è fattibile quasi a costo zero per i proprietari anche nelle zone di minore pregio.

venerdì 25 febbraio 2011

prima si fa il contenitore e poi ci si mette dentro qualcosa

Con il DDLr 114 la Regione Liguria procede all’accorpamento di alcune società controllate sotto il nome di Infrastrutture Liguria. In definitiva di tre distinte società ne fa una sola. Fin qui nulla di male. Anzi.
Poi si va a leggere cosa dovrebbe fare la nuova società. E allora le idee si confondono un po’ di più. Nel dettaglio, la funzione principale sembra sia quella di redazione degli studi di fattibilità e della progettazione necessaria per procedere all’appalto, nonché, qualora previsto nel programma stesso, effettuazione delle ulteriori fasi di progettazione e direzione lavori”. In altri termini, una società pubblica che ha la mission di progettare e fare il direttore dei lavori. Accidenti… questa mancava.

Allora uno si interroga a cosa potrebbe mai servire una società pubblica nel mondo degli appalti. Ad esempio, potrebbe essere di supporto agli altri Enti pubblici nelle procedure di appalto e, ove del caso, potrebbe proprio essere una centrale di committenza a vantaggio di altri Enti che hanno più difficoltà a seguire tutto il lunghissimo e tortuosissimo iter di appalto.
È inutile tutto ciò? Vuoi mettere progettare e fare il direttore dei lavori? Sarà…

Poi leggo dall’ultimo Rapporto Italia dell'EURISPES, segnatamente nel capitolo 9, qual è la capacità di spesa del Mibac, cioè uno dei Ministeri in funzione dei quali i “tagli” alla spesa fanno più male. E quindi capisco che pur essendo vero che negli ultimi anni si è assistito a una riduzione dei fondi stanziati per il settore, le giacenze di risorse nelle contabilità speciali farebbero pen­sare che qui risieda il vero problema nell’amministrazione dei beni culturali. Indubbia­mente, tale situazione è un portato di problemi organizzativi. Il sistema delle contabili­tà speciali fu introdotto proprio per favorire l’operato dei funzionari responsabili degli istituti centrali e periferici. I numeri, però, sembrano proprio dirci che l’obiettivo non è stato realizzato. La maggiore percentuale delle giacenze nelle contabilità speciali è rappresentata da stanziamenti per interventi di tutela e valorizzazione.

Nel periodo che va dal 2002 al 2009, le uscite non fanno registrare grandi differenze: questo potrebbe voler dire che la capacità di spesa non può andare oltre un certo li­vello. Anche se aggiungessimo risorse finanziarie al settore, rimanendo inalterata la struttura del Ministero, è probabile che non si ottenga una maggiore spesa.

Un fattore chiamato in causa per spiegare questo fenomeno è rappresentato dalla diminuzione del personale afferente al Mibac. In realtà, negli anni che vanno dal 2004 al 2009 la diminuzione è stata molto lieve, si è passati infatti da 21.642 addetti a 21.053 unità. Piuttosto il problema potrebbe essere rappresentato dalla distri­buzione territoriale del personale: se la Campania ha il 18,4% del personale, la larghissima maggioranza delle altre regioni non va oltre il 5% e quasi il 50% dell’organico è concentrato in 3 regioni: Lazio, Campania e Toscana.

Vuoi vedere, allora, che Infrastrutture Liguria forse un ruolo potrebbe anche averlo? Non è proprio quello di progettare e fare il direttore dei lavori, però, un passo è stato fatto. Quando poi arriva qualche idea, anche quel contenitore potrebbe avere un senso.