lunedì 14 dicembre 2009

spazio, involucro, luce

Leggo una riflessione di David Chipperfield sullo spazio e sul metodo di progett che merita di essere appuntata per la chiarezza e la sintesi.

«Costruire lo spazio è il motivo primo, la prima responsabilità, il primo problema. Lo spazio genera la forma e la pianta. La pianta non è l’entità generatrice del progetto, ma è piuttosto il diagramma di un’idea spaziale. […] Tale tema organizzativo dell’organismo non può essere disgiunto dalla modellazione della luce naturale. [...] Quando ci siamo protetti dal mondo esterno, costruendo un involucro e uno spazio intorno a noi che ridefinisce il nostro orizzonte, possiamo, per gradi e con crescente sicurezza, iniziare a erodere la solidità del nostro rifugio. Nel mio operare sono interessato a questa semplice equazione architettonica: la creazione di un involucro, dunque di un luogo, tramite la definizione di limiti da un lato, dall’altro l’erosione del luogo, la sua liberazione verso una condizione di naturalità. [...] La luce naturale è, evidentemente, fondamento di tale processo. Il nostro lavoro riguarda i metodi per comprendere e controllare la qualità della luce. E’ nostra intenzione trattare la luce come un materiale, renderla parte della concezione, elemento generatore piuttosto che gradevole conseguenza»



mercoledì 9 dicembre 2009

la cornice all'imprevedibile movimento della vita quotidiana

Sul numero monografico di Abitare dedicato a Renzo Piano, Stefano Boeri intervistando Piano ne sintetizza il pensiero progettuale come meglio non avevo mai visto fare.
"... c'è un gesto compositivo ricorrente anche in opere molto lontane nel tempo: qualcosa che ha a che vedere con un principio di sollevamento del terreno. Un gesto tettonico, anche di una certa semplicità, che genera aeroporti, musei, luoghi pubblici. (...) Molti dei tuoi progetti si presentano in ultima analisi come architetture nate da un gesto di distacco antigravitazionale della superficie di copertura da quella di calpestio. Il vuoto che resta, lo spessore tra le due superfici, liberato da griglie troppo fitte di pilastri, ospita i luoghi dell'abitare. (...) E' l'idea dell'architettura come arte per sollevare immense superfici di suolo, sotto le quali lasciare fluire l'imprevedibile movimento della vita quotidiana (...)".
E' proprio questa tensione verso una sorta di espressionismo sociale che mi ha sempre interessato, da Mies Van der Rohe in avanti.