lunedì 30 giugno 2008

domande e risposte sulla casa in Liguria

Recentemente mi è capitato di rispondere a un'intervista strutturata di un'importante istituto di credito, per la verità un pò generica, sulle politiche abitative in Liguria. L'intervista, unita ad altre, costituirà il punto di partenza di un convegno il prossimo ottobre.
1) D: quanti alloggi sociali vengono costruiti annualmente nella vostra regione?
R: In termini assoluti, negli ultimi quattro anni sono stati programmati circa 2.700 alloggi, tra ERP e canone moderato, pari a 675 alloggi all’anno. In parte, però, questi alloggi sono già nel sistema dell’edilizia residenziale sociale: si tratta, infatti, di interventi di recupero del patrimonio pubblico che era sfitto perché inagibile.
Quel che più rileva, forse, è valutare l’impegno finanziario pubblico attuale rispetto a quello risalente al periodo dell’intervento statale nel settore della casa (il cosiddetto “periodo Gescal”). Nel ventennio 78/98, alla realizzazione o recupero di alloggi vennero investiti circa 44 milioni di euro all’anno; oggi, le risorse regionali non sono superiori a 1/3.
Infine, merita comprendere l’impatto delle nuove realizzazioni di edilizia sociale rispetto alla produzione immobiliare complessiva: se alla fine del ’98 i nuovi alloggi cofinanziati dalla mano pubblica rappresentavano tra il 4,5% e il 5% della produzione complessiva, negli anni duemila tale quota scende al di sotto del punto percentuale.

2) D: quale soglia di reddito non si deve superare per avere accesso agli alloggi sociali?
R: In primo luogo, in Regione Liguria la “prova di mezzi” per valutare l’accesso o la decadenza dal sistema dell’Edilizia Residenziale Sociale è fondato sull’indicatore di situazione economica (ISEE) invece che sul reddito. Premesso ciò, per l’ERP la soglia massima di accesso è determinata in 14.000 € (che diventano 17.000 € per i single) mentre per il canone moderato la soglia massima è fissata in 28.000 €.

3) D: quante sono le richieste?
R: Le richieste accertate sono, per tutta la Liguria, di 8.765 alloggi per l’ERP, a cui va però aggiunta anche la domanda implicita che arriva annualmente dalla gestione del FSA. Quest’ultima, pari a 11.293 domande nel 2007, presenta un certo grado di sovrapposizione con le graduatorie ERP, basti pensare che circa il 35% dei nuclei familiari assistiti hanno ISEE inferiore a 6.000 €.
Da una nostra stima possiamo quindi identificare la domanda aggregata pregressa di ERS pari a circa 16.900 alloggi. E in questo dato non viene considerata la domanda potenziale, cioè quella al momento inespressa, che soprattutto per il canone moderato è suscettibile di far innalzare, anche sensibilmente, tale cifra.

4) D: quali sono i Vostri programmi e le Vostre priorità?
R: L’azione di governo non è mai facile condensarla in poche parole. Se devo indicare la sfida più importante, però, dico senz’altro rendere operativa la disciplina dello standard aggiuntivo riferito alla dotazione di ERS.
Una recente indagine del CRESME ha evidenziato che la differenza tra costi di produzione edilizia e ricavi nel settore residenziale è suscettibile di oscillare tra un minimo di 1.236 €/mq di SLP a un massimo di 2.581 €/mq di SLP. In quella ricerca, ipotizzando un recupero pubblico del plusvalore dell’ordine del 50%, si arrivava a stimare un ammontare di risorse di cui disporre, a livello nazionale, pari a circa 15/20 miliardi di euro all’anno. Da tradurre in alloggi sociali nelle diverse gradazioni di offerta abitativa e nell’adeguamento dei servizi pubblici in città per rendere più competitive e attrattive i poli urbani.

5) D: a quali categorie guardate attualmente con maggiore attenzione (redditi bassi, universitari, immigrati,…)?
R: Tutti i vari segmenti in cui si articola la domanda di casa sono rilevanti: Genova è una città ove la popolazione universitaria “fuori sede” occupa più di 4.500 alloggi in affitto in libero mercato. Oppure, la popolazione immigrata residente è arrivata a superare le 65 mila unità, circa il 5% della popolazione residente. E gli esempi potrebbero continuare.
Ma le priorità, per una realtà come quella ligure, sono senz’altro gli anziani e le famiglie che hanno una situazione reddituale attorno alla soglia di povertà.
Il 26% della popolazione residente è rappresentata da ultrasessantacinquenni: cioè più di 400.000 abitanti. E’ uno dei tassi di invecchiamento della popolazione più elevati al mondo, un po’ come quello giapponese, basti pensare che la media italiana è pari a circa il 21%. Su un totale di 242 mila famiglie single, la Liguria ne ha ben 146 di anziani. E, da una nostra stima, quasi il 20% vive della sola pensione sociale.
Il secondo tema prioritario è rappresentato dalla grande povertà, cioè quel segmento per il quale anche i 300/400 €/mese tipici del social housing sono troppi. Dicevo prima che tra i nuclei familiari che vivono in affitto e sono sostenuti dal FSA, oltre il 35% hanno ISEE inferiori a 6.000 €. Per queste 4.000 famiglie, la risposta non può certo essere permanere nel libero mercato e attendere l’integrazione al reddito del FSA. Su questo segmento sociale, invece, l’offerta tradizionale di ERP è ancora quanto mai attuale e pertinente.

6) D: a quanto ammontano le risorse disponibili? E quanti alloggi si possono costruire con queste risorse?
R: Le risorse –statali e regionali- già programmate o programmabili per il prossimo quadriennio ammontano a poco meno di 80 milioni di euro.
Rispetto a questa disponibilità, ci attendiamo una produzione di circa 2.000 alloggi appartenenti alle diverse tipologie di offerta sociale: ERP, canone moderato, alloggi in affitto con patto di futura vendita, ecc.

7) D: perché secondo Lei gli investimenti in edilizia residenziale pubblica sono stati, di fatto, interrotti da anni?
R: Il disimpegno da parte dello Stato dal settore della casa non ha sicuramente un’unica spiegazione. Un po’ impressionisticamente, direi che il processo di arretramento della mano pubblica ha evidenziato tutti i limiti dell’autoregolazione del mercato immobiliare. Dal punto di vista urbanistico, ad esempio, gli enti locali hanno rinunciato a disciplinare gli usi del suolo in modo tale da rendere almeno possibile l’attivazione di interventi di social housing a costi ragionevoli, soprattutto considerando l’esiguità strutturale dei flussi di cassa connessa a questo tipo di alloggi.

8) D: secondo Lei gli investitori privati possono essere dei soggetti adatti per realizzare interventi di questo tipo?
R: Gli investitori privati, o comunque appartenenti alla galassia del privato sociale, sono sicuramente un target delle politiche abitative. E’ evidente che in una fase di contenimento della finanza pubblica, le risorse necessarie ad attivare interventi di social housing devono essere reperite anche altrove. E’ altrettanto certo, però, che l’offerta di ERP –purtroppo non un semplice retaggio del passato ma un pezzo di welfare ancora drammaticamente necessario- non è pensabile sia realizzata dal privato. A meno di non dare reale operatività al cosiddetto standard urbanistico legato alla dotazione territoriale: e su questo aspetto, si dovrà misurare la capacità della Pubblica Amministrazione di esercitare la “vecchia” funzione regolativa in materia urbanistica (negli ultimi lustri, per la verità, un po’ appannata).

9) D: cosa vi aspettate dallo Stato? E dai privati?
R: Dallo Stato, se devo esprimere un’unica priorità, direi la definizione anche in campo abitativo dei cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni, a cui poi uniformare l’attività di programmazione regionale. Ma quando dico livelli essenziali, intendo interpretare il tema allo stesso modo in cui lo può intendere il Ministero dell’Economia: il tema della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni va affrontato unitamente a quello delle risorse finanziarie necessarie a garantirli. L’individuazione dei livelli essenziali da parte dello Stato non può infatti prescindere dalla assunzione di responsabilità sul loro finanziamento.
Il forte e ineludibile legame tra determinazione delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali da garantire in tutto il territorio nazionale e risorse economiche necessarie a finanziarle, con la necessità che vengano garantite a tutti coloro che rientrano nel target del bisogno/prestazione, fa sì che si debba necessariamente pensare ad un sistema di definizione dei livelli graduale e progressivo, accompagnato da una costante azione di monitoraggio e verifica dell’impatto sull’intero sistema sociale, sia in termini finanziari sia organizzativi.
Dai privati mi attendo un maggior atteggiamento cooperativo rispetto alle finalità pubbliche che, spesso, in materia di trasformazioni urbanistiche non è dato.

10) D: secondo Lei il trasferimento delle competenze in materia di social housing alle Regioni è un fatto positivo o negativo? E perché?
R: E’ positivo se il processo di regionalizzazione venisse completato. In altri termini, se oltre alle competenze si procedesse all’alimentazione costante del settore come per altri servizi pubblici. Ve alle competenze non si abbini anche il trasferimento delle risorse finanziarie adeguate, si dà origine soltanto a un sistema incompiuto che, di conseguenza, presenta delle evidenti debolezze e incertezze.
Sui perché della regionalizzazione sono piene le pagine di libri e giornali: mi limito solo a rilevare come gli anni passati, se hanno visto dell’innovazione sul fronte delle politiche abitative, queste innovazioni sono state il prodotto dell’applicazione di alcune realtà regionali e comunali.

11) D: nei progetti ERP e di SH sono previsti adeguamenti dei servizi pubblici (ad es. trasporti), della viabilità,…?
R: In linea generale, attualmente i programmi per la casa non vanno oltre la dimensione dell’alloggio o, al più, della contestuale realizzazione o adeguamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie. E’ un po’ il limite della programmazione integrata in ambito urbano in Italia, ove la componente di gestione dei servizi è stata sempre messa in secondo piano.
Viceversa, se penso a molti target delle politiche abitative –come ad esempio gli anziani- siamo in presenza di una forte domanda di residenzialità, tale da esperimere non solo spazi adeguati (cioè l’alloggio), quanto anche servizi e convivialità, lotta alla solitudine e piccola e grande assistenza sanitaria e sociale.
Il sistema dell’offerta di servizi e di facility per gli anziani, soprattutto in tema di salute e assistenza, già oggi non è in grado di rispondere a una domanda che domani, in assenza di politiche mirate di intervento, potrebbe portare a situazioni di deficit cronico e conseguente disagio per la collettività. Devono cambiare i modi di fare assistenza e, in generale, il complesso sistema di servizi legati alla residenzialità. Si tratta di definire nuove politiche, nuovi modelli di intervento che finora hanno privilegiato l’aspetto assistenziale gravando pesantemente sulla spesa pubblica. Si tratta di ridefinire i sistemi di assistenza e di residenzialità, con una distribuzione razionale ed equilibrata dei contributi pubblici e un ruolo attivo dei privati.

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