Sempre a proposito del rapporto tra crisi e professione di cui parlavo ieri, sull'ultimo numero della rivista Inarcassa (che, per la verità, al massimo sfoglio) c'è un contributo di Emanuele Nicosia intitolato "Gli scenari della professione di architetto".
Alla fine del pezzo, a partire da una ricerca Cresme-CNA, sono indicati i driver del cambiamento per la sostenibilità della professione. Si citano l'innovazione tecnologica, la gestione (e non più solo la fase costruttiva), la sostenibilità ambientale e quella sociale. Tutto condivisibile. Poi c'è anche la costruzione della partnership pubblico-privato, "l'unica strada per il futuro vista la forte riduzione di risorse pubbliche di questi ultimi anni... (al fine di) coniugare interessi privati e pubblici per moltiplicare le potenzialità di investimento". Anche in questo caso, sarebbe tutto condivisibile. Però ci vorrebbe un diverso Paese, cioè un Paese ove allorché lo sviluppo della sussidiarietà orizzontale non finisca, quasi inevitabilmente, sul tavolo di qualche giudice. E su questo deficit culturale, le rappresentanze di categoria qualche azione potrebbero anche metterla in cantiere. Altrimenti prevale il clima giustizialista di Rep., il Fatto quotidiano e similari. E la partnership pubblico-privato, al più, va bene per scrivere articoli.
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