sabato 3 dicembre 2011

dalla casa all'abitare

Di recente mi sono trovato a parlare di casa e dell'abitare agli studenti di un Istituto Superiore, nell'ambito di un progetto formativo del mio Ordine provinciale (qui). 

È stata l'occasione per ragionare sulle ricadute che la flessibilità, in primo luogo lavorativa, ha sulle pratiche abitative e sugli assetti spaziali.  Le più importanti fasi della vita di ciascun individuo, cioè il momento in cui si entra nel mondo del lavoro, il momento in cui si mette su famiglia e si acquista per la prima volta la prima casa, il momento della vecchiaia allorché inizia a venire meno l’autonomia individuale, pongono problemi abitativi molto diversi. Ma rispetto a questa variabilità, è del tutto evidente la frizione tra un sistema economico che richiama sempre più capacità di adattamento rispetto al mutare delle condizioni e un’offerta abitativa che, viceversa, è rigida.
Il mercato immobiliare non ha declinato un'offerta adeguata tale da internalizzare quel processo in atto di scomposizione/composizione dell'alloggio: domanda di autonomia dei figli, presenza del lavoro in casa, ospitalità di anziani non autosufficienti, badanti, momentanee possibilità di affittare qualche stanza per integrare il reddito familiare.
La casa è un investimento; le esigenze spaziali stanno sullo sfondo.

Il confronto con i giovani studenti ha invece messo in evidenza la fecondità dell'idea del loft del Nemausus di Jean Nouvel oppure la crescita organizzata nel tempo dei progetti di Elemental (Alejandro Aravena) in Chile o del bellissimo intervento di Laura Weber ad Almere. Allo stesso modo, le pratiche di cohousing ci hanno insegnato come rispetto a tale modello ci siano delle possibilità applicative intermedie utili per risolvere un pò di problemi della terza età (ma non solo di quella). Ne avevo già parlato qui a proposito della Y house di Steven Holl.


Non so quanto sia stato utile l'esperienza per gli studenti: sicuramente lo è stata per me. E' ancora più chiaro il deficit di cultura progettuale nostra, la lontananza dalla ricerca sociale, l'incapacità di pensare in modo diffuso modelli adeguati di edilizia residenziale. Il progetto dell'abitare è astratto perché lontano dalle pratiche abitative reali, si è rintanato nel formalismo sia architettonico sia procedurale.


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