lunedì 30 giugno 2008

domande e risposte sulla casa in Liguria

Recentemente mi è capitato di rispondere a un'intervista strutturata di un'importante istituto di credito, per la verità un pò generica, sulle politiche abitative in Liguria. L'intervista, unita ad altre, costituirà il punto di partenza di un convegno il prossimo ottobre.
1) D: quanti alloggi sociali vengono costruiti annualmente nella vostra regione?
R: In termini assoluti, negli ultimi quattro anni sono stati programmati circa 2.700 alloggi, tra ERP e canone moderato, pari a 675 alloggi all’anno. In parte, però, questi alloggi sono già nel sistema dell’edilizia residenziale sociale: si tratta, infatti, di interventi di recupero del patrimonio pubblico che era sfitto perché inagibile.
Quel che più rileva, forse, è valutare l’impegno finanziario pubblico attuale rispetto a quello risalente al periodo dell’intervento statale nel settore della casa (il cosiddetto “periodo Gescal”). Nel ventennio 78/98, alla realizzazione o recupero di alloggi vennero investiti circa 44 milioni di euro all’anno; oggi, le risorse regionali non sono superiori a 1/3.
Infine, merita comprendere l’impatto delle nuove realizzazioni di edilizia sociale rispetto alla produzione immobiliare complessiva: se alla fine del ’98 i nuovi alloggi cofinanziati dalla mano pubblica rappresentavano tra il 4,5% e il 5% della produzione complessiva, negli anni duemila tale quota scende al di sotto del punto percentuale.

2) D: quale soglia di reddito non si deve superare per avere accesso agli alloggi sociali?
R: In primo luogo, in Regione Liguria la “prova di mezzi” per valutare l’accesso o la decadenza dal sistema dell’Edilizia Residenziale Sociale è fondato sull’indicatore di situazione economica (ISEE) invece che sul reddito. Premesso ciò, per l’ERP la soglia massima di accesso è determinata in 14.000 € (che diventano 17.000 € per i single) mentre per il canone moderato la soglia massima è fissata in 28.000 €.

3) D: quante sono le richieste?
R: Le richieste accertate sono, per tutta la Liguria, di 8.765 alloggi per l’ERP, a cui va però aggiunta anche la domanda implicita che arriva annualmente dalla gestione del FSA. Quest’ultima, pari a 11.293 domande nel 2007, presenta un certo grado di sovrapposizione con le graduatorie ERP, basti pensare che circa il 35% dei nuclei familiari assistiti hanno ISEE inferiore a 6.000 €.
Da una nostra stima possiamo quindi identificare la domanda aggregata pregressa di ERS pari a circa 16.900 alloggi. E in questo dato non viene considerata la domanda potenziale, cioè quella al momento inespressa, che soprattutto per il canone moderato è suscettibile di far innalzare, anche sensibilmente, tale cifra.

4) D: quali sono i Vostri programmi e le Vostre priorità?
R: L’azione di governo non è mai facile condensarla in poche parole. Se devo indicare la sfida più importante, però, dico senz’altro rendere operativa la disciplina dello standard aggiuntivo riferito alla dotazione di ERS.
Una recente indagine del CRESME ha evidenziato che la differenza tra costi di produzione edilizia e ricavi nel settore residenziale è suscettibile di oscillare tra un minimo di 1.236 €/mq di SLP a un massimo di 2.581 €/mq di SLP. In quella ricerca, ipotizzando un recupero pubblico del plusvalore dell’ordine del 50%, si arrivava a stimare un ammontare di risorse di cui disporre, a livello nazionale, pari a circa 15/20 miliardi di euro all’anno. Da tradurre in alloggi sociali nelle diverse gradazioni di offerta abitativa e nell’adeguamento dei servizi pubblici in città per rendere più competitive e attrattive i poli urbani.

5) D: a quali categorie guardate attualmente con maggiore attenzione (redditi bassi, universitari, immigrati,…)?
R: Tutti i vari segmenti in cui si articola la domanda di casa sono rilevanti: Genova è una città ove la popolazione universitaria “fuori sede” occupa più di 4.500 alloggi in affitto in libero mercato. Oppure, la popolazione immigrata residente è arrivata a superare le 65 mila unità, circa il 5% della popolazione residente. E gli esempi potrebbero continuare.
Ma le priorità, per una realtà come quella ligure, sono senz’altro gli anziani e le famiglie che hanno una situazione reddituale attorno alla soglia di povertà.
Il 26% della popolazione residente è rappresentata da ultrasessantacinquenni: cioè più di 400.000 abitanti. E’ uno dei tassi di invecchiamento della popolazione più elevati al mondo, un po’ come quello giapponese, basti pensare che la media italiana è pari a circa il 21%. Su un totale di 242 mila famiglie single, la Liguria ne ha ben 146 di anziani. E, da una nostra stima, quasi il 20% vive della sola pensione sociale.
Il secondo tema prioritario è rappresentato dalla grande povertà, cioè quel segmento per il quale anche i 300/400 €/mese tipici del social housing sono troppi. Dicevo prima che tra i nuclei familiari che vivono in affitto e sono sostenuti dal FSA, oltre il 35% hanno ISEE inferiori a 6.000 €. Per queste 4.000 famiglie, la risposta non può certo essere permanere nel libero mercato e attendere l’integrazione al reddito del FSA. Su questo segmento sociale, invece, l’offerta tradizionale di ERP è ancora quanto mai attuale e pertinente.

6) D: a quanto ammontano le risorse disponibili? E quanti alloggi si possono costruire con queste risorse?
R: Le risorse –statali e regionali- già programmate o programmabili per il prossimo quadriennio ammontano a poco meno di 80 milioni di euro.
Rispetto a questa disponibilità, ci attendiamo una produzione di circa 2.000 alloggi appartenenti alle diverse tipologie di offerta sociale: ERP, canone moderato, alloggi in affitto con patto di futura vendita, ecc.

7) D: perché secondo Lei gli investimenti in edilizia residenziale pubblica sono stati, di fatto, interrotti da anni?
R: Il disimpegno da parte dello Stato dal settore della casa non ha sicuramente un’unica spiegazione. Un po’ impressionisticamente, direi che il processo di arretramento della mano pubblica ha evidenziato tutti i limiti dell’autoregolazione del mercato immobiliare. Dal punto di vista urbanistico, ad esempio, gli enti locali hanno rinunciato a disciplinare gli usi del suolo in modo tale da rendere almeno possibile l’attivazione di interventi di social housing a costi ragionevoli, soprattutto considerando l’esiguità strutturale dei flussi di cassa connessa a questo tipo di alloggi.

8) D: secondo Lei gli investitori privati possono essere dei soggetti adatti per realizzare interventi di questo tipo?
R: Gli investitori privati, o comunque appartenenti alla galassia del privato sociale, sono sicuramente un target delle politiche abitative. E’ evidente che in una fase di contenimento della finanza pubblica, le risorse necessarie ad attivare interventi di social housing devono essere reperite anche altrove. E’ altrettanto certo, però, che l’offerta di ERP –purtroppo non un semplice retaggio del passato ma un pezzo di welfare ancora drammaticamente necessario- non è pensabile sia realizzata dal privato. A meno di non dare reale operatività al cosiddetto standard urbanistico legato alla dotazione territoriale: e su questo aspetto, si dovrà misurare la capacità della Pubblica Amministrazione di esercitare la “vecchia” funzione regolativa in materia urbanistica (negli ultimi lustri, per la verità, un po’ appannata).

9) D: cosa vi aspettate dallo Stato? E dai privati?
R: Dallo Stato, se devo esprimere un’unica priorità, direi la definizione anche in campo abitativo dei cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni, a cui poi uniformare l’attività di programmazione regionale. Ma quando dico livelli essenziali, intendo interpretare il tema allo stesso modo in cui lo può intendere il Ministero dell’Economia: il tema della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni va affrontato unitamente a quello delle risorse finanziarie necessarie a garantirli. L’individuazione dei livelli essenziali da parte dello Stato non può infatti prescindere dalla assunzione di responsabilità sul loro finanziamento.
Il forte e ineludibile legame tra determinazione delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali da garantire in tutto il territorio nazionale e risorse economiche necessarie a finanziarle, con la necessità che vengano garantite a tutti coloro che rientrano nel target del bisogno/prestazione, fa sì che si debba necessariamente pensare ad un sistema di definizione dei livelli graduale e progressivo, accompagnato da una costante azione di monitoraggio e verifica dell’impatto sull’intero sistema sociale, sia in termini finanziari sia organizzativi.
Dai privati mi attendo un maggior atteggiamento cooperativo rispetto alle finalità pubbliche che, spesso, in materia di trasformazioni urbanistiche non è dato.

10) D: secondo Lei il trasferimento delle competenze in materia di social housing alle Regioni è un fatto positivo o negativo? E perché?
R: E’ positivo se il processo di regionalizzazione venisse completato. In altri termini, se oltre alle competenze si procedesse all’alimentazione costante del settore come per altri servizi pubblici. Ve alle competenze non si abbini anche il trasferimento delle risorse finanziarie adeguate, si dà origine soltanto a un sistema incompiuto che, di conseguenza, presenta delle evidenti debolezze e incertezze.
Sui perché della regionalizzazione sono piene le pagine di libri e giornali: mi limito solo a rilevare come gli anni passati, se hanno visto dell’innovazione sul fronte delle politiche abitative, queste innovazioni sono state il prodotto dell’applicazione di alcune realtà regionali e comunali.

11) D: nei progetti ERP e di SH sono previsti adeguamenti dei servizi pubblici (ad es. trasporti), della viabilità,…?
R: In linea generale, attualmente i programmi per la casa non vanno oltre la dimensione dell’alloggio o, al più, della contestuale realizzazione o adeguamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie. E’ un po’ il limite della programmazione integrata in ambito urbano in Italia, ove la componente di gestione dei servizi è stata sempre messa in secondo piano.
Viceversa, se penso a molti target delle politiche abitative –come ad esempio gli anziani- siamo in presenza di una forte domanda di residenzialità, tale da esperimere non solo spazi adeguati (cioè l’alloggio), quanto anche servizi e convivialità, lotta alla solitudine e piccola e grande assistenza sanitaria e sociale.
Il sistema dell’offerta di servizi e di facility per gli anziani, soprattutto in tema di salute e assistenza, già oggi non è in grado di rispondere a una domanda che domani, in assenza di politiche mirate di intervento, potrebbe portare a situazioni di deficit cronico e conseguente disagio per la collettività. Devono cambiare i modi di fare assistenza e, in generale, il complesso sistema di servizi legati alla residenzialità. Si tratta di definire nuove politiche, nuovi modelli di intervento che finora hanno privilegiato l’aspetto assistenziale gravando pesantemente sulla spesa pubblica. Si tratta di ridefinire i sistemi di assistenza e di residenzialità, con una distribuzione razionale ed equilibrata dei contributi pubblici e un ruolo attivo dei privati.

giovedì 12 giugno 2008

ERS e urbanistica: una simulazione a La Spezia

Nel seguito una simulazione di larga massima del dimensionamento della domanda di ERS, e della conseguente possibile risposta in termini urbanistici, utilizzando come "caso campione" il Comune della Spezia.

Sulla scorta del Censimento Istat 2001, il patrimonio immobiliare residenziale nel Comune è così composto:
- abitazioni totali: 44.740
- abitazioni occupate: 40.424
- abitazioni non occupate: 4.316
Se ne evince, quindi, un tasso di inoccupazione pari al 9,64% del stock edilizio complessivo. Dato elevato ma non sopra la media regionale ligure. Per fare un semplice paragone, in Lombardia la quota di stock non occupato è pari al 6,30% del totale.

In primo luogo è bene rilevare che tra le abitazioni non occupate non ci sono soltante le case sfitte o in vendita, quanto anche le case vacanze ovvero le residenze temporanee dei cosiddetti city users.
E' però importante rilevare come una quota di stock edilizio debba necessariamente essere non occupato in modo da garantire il buon funzionamento del mercato edilizio. In altri termini, se per assurdo ci fosse identità tra il numero delle famiglie e il numero degli alloggi disponibili, una famiglia non potrebbe cambiare casa.
Tale quota è denominata stock frizionale, la cui dimensione standard per il PQR 2001-2004 era assunta nel 7% dello stock edilizio totale.
Alla luce delle suddette argomentazioni, lo stock inutilizzato della Spezia non è da valutare come rilevante e, soprattutto, non è da considerare come totalmente erodibile. Anzi.

Vediamo adesso di dimensionare, in linea di prima approssimazione, la domanda di residenza primaria del Comune della Spezia.

FABB REAL (ERP): circa 1.200 alloggi (da graduatoria esistente, detratti gli alloggi programmati e in corso di realizzazione)
FABB POT (ERP): 0
FABB (ERP): 1.400 alloggi

FABB REAL (CM): 912 - (0,80 x 438) = 562 alloggi
FABB POT (CM): 1,60 x 11.107 x 0,063 = 1.120 alloggi
FABB (CM): (0,60 x 562) + (0,40 x 1.120) = 785 alloggi

tasso di incremento decennale del numero delle famiglie: 7,3%
FABB NEW (ERP): 1.200 x 0,073 = 88 alloggi
FABB NEW (CM): 785 X 0,073 = 57 alloggi
FABB TOT (ERP): 1.200 + 88 = 1.288 alloggi
FABB TOT (CM): 785 + 57 = 842 alloggi
FABB RES 1°: 1.288 + 842 = 2.130 alloggi

L'offerta insediativa residenziale del nuovo PUC del Comune della Spezia è pari a circa 12.500 nuove stanze, di cui solo 3.600 prodotte da trasformazioni urbanistiche riferite a distretti di trasformazione.
In termini di nuovi alloggi, possiamo assumere che il nuovo PUC possa essere caratterizzato dalla produzione nel decennio di circa 5.000 nuovi alloggi (media di 2,5 stanze ad alloggio), per complessivi 325.000 mq, di cui 227.500 mq suscettibili di essere realizzati negli ambiti di riqualificazione.
L'applicazione della dotazione territoriale è suscettibile di vedere la concreta produzione di nuovi alloggi di ERP soltanto per le trasformazioni urbanistiche dei distretti di trasformazione: anche con un'aliquota del 20% della SLP prodotta, quale dotazione territoriale ERP, non è lecito attendersi più di 300 nuovi alloggi.
Per quanto attiene la produzione edilizia degli ambiti di riqualificazione, è lecito attendersi il largo ricorso alla monetizzazione che, per ragioni di semplicità, possiamo assumere in:
- 1.000 euro/mq nel caso di interventi al di sotto dei 2.000 mq di SLP e superiori, ad esempio, a 250 mq;
- alloggi di CM, con dotazione territoriale pari al 20%, con contestuale versamento di 200 euro/mq, per gli interventi al di sopra i 2.000 mq di SLP.
Consideriamo che solo il 25% degli interventi abbiano dimensione superiore a 2.000 mq di SLP: in questo caso, la somma delle trasformazioni urbanistiche è suscettibile di produrre 175 alloggi a canone moderato, oltre a un gettito aggiuntivo pari a 2,2 milioni di euro.
Il numero degli interventi che hanno dimensione inferiore a 250 mq di SLP sono invece il 20% del totale degli ambiti di riqualificazione.
Potrebbero essere invece suscettibili di monetizzazione totale i rimanenti 55% dei 227.500 mq realizzati: cioè 25.025 mq x 1.000 euro/mq = 25 milioni di euro.

In sintesi, a PUC totalmente attuato, l'applicazione della dotazione territoriale è suscettibile di produrre:
a) 300 alloggi di ERP;
b) 175 alloggi di canone moderato;
c) un gettito aggiuntivo di 27,2 milioni di euro, pari a circa 2,7 milioni di euro all'anno.

Il caso della Spezia mi sembra un esempio ove la dotazione territoriale ERP pur essendo necessaria a colmare il deficit di offerta di residenza primaria, non può essere l'unica strategia da implementare nel medio periodo.
La domanda di residenza primaria (2.130 alloggi) potrà essere soddisfatta totalmente soltanto attraverso la realizzazione o il recupero dallo stock non occupato di 1.655 alloggi con investimenti pubblici.
Il recupero di alloggi dallo stock inoccupato, da locare a canone moderato, non può andare oltre il 2,5% dello stock edilizio spezzino: 1.118 alloggi.
Ipotizzando un contributo di almeno 15.000 euro/alloggio, significa un investimento pari a 16,7 milioni di euro.
I rimanenti 537 alloggi, anche in questo caso a canone moderato, dato che l'ERP ha costi di investimento troppo elevati, sono suscettibili di richiedere altri 18,8 milioni di euro (contributo pari a circa 35.000 euro/alloggio).
Il sistema spezzino, quindi, raggiunge una condizione di equilibrio con l'immissione di ulteriori 7,8 milioni di euro di finanziamenti pubblici.




I problemi giuridici di una dotazione territoriale (perequativa) a priori

Sotto il profilo della metodologia perequativa suscettibile di essere utilizzata, dal livello regionale, per attribuire e allocare sui diversi territori comunali la dotazione territoriale di ERP (o di ERS), si può distinguere tra:
- una perequazione a priori, quando la misura di diritti edificatori è determinata attraverso la classificazione del territorio secondo lo stato di fatto e di diritto anteriori al piano, estranea al concetto di conformazione dei beni attraverso la valutazione tipica del procedimento pianificatorio perseguendo il diverso scopo della mera distribuzione dei valori;
- una perequazione a posteriori, quando la quantità globale prevista dallo SUG, pubblica e privata, è ripartita tra tutti i terreni interessati dalla trasformazione.

L’ipotesi di attribuire in modo generalizzato e in sede di programmazione regionale un unico parametro quantitativo in forza del quale viene determinata la quantità di edificazione da riservare all’ERP sembra riconducibile al modello di perequazione a priori.
Quest’ultimo, configurerebbe un meccanismo applicativo generalizzato -esteso a una parte rilevante delle aree di espansione o di trasformazione- attraverso il riconoscimento di un unico parametro di edificabilità convenzionale da riservare all’ERP, normalmente basso e uniforme (ad es. il 10% della SLP di ogni trasformazione urbanistica) per categorie di aree del territorio comunale sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente, attribuito con criteri preventivi rispetto alle scelte del piano e non correlati al peso insediativo definito dallo stesso.
In questo caso, quindi, il meccanismo perequativo consente di individuare una sostanziale riduzione dell’edificabilità privata che sarà successivamente dovuta alle scelte pianificatorie: una parte del diritto ad edificare è infatti gratuitamente riservata al comune, l’altra resta di appannaggio dell’utilizzatore privato.
Questo sistema genera una una sorta di edificabilità pubblica priva di area, acquistata dall’ente pubblico al di fuori dei meccanismi tipici e consente l’acquisizione al patrimonio di immobili per la collettività in misura non parametrata all’effettivo fabbisogno di edilizia sociale ma che, semplicemente, deriva dalla conversione del parametro di edificabilità convenzionale.
Si può dire anzi che il riconoscimento a priori di capacità edificatorie convenzionali da destinare all’ERP si converte in quantità di edificazione sensibilmente inferiori oppure superiori, a seconda dell’entità effettiva del fabbisogno di edilizia sociale, a quelle stimate complessivamente occorrenti per realizzare gli obiettivi di solidarietà abitativa dello SUG.

Questo modello, che è quello ad esempio previsto dalla recente legge Basilicata e da quella della Calabria per quanto attiene l’utilizzo della perequazione per l’attribuzione dei diritti edificatori, solleva alcune problematiche di carattere generale che meritano un approfondimento.
La più importante delle quali riguarda il fatto che tale sistema di attribuire un diritto edificatorio meramente convenzionale alle aree, attraverso una riduzione della potenzialità edificatoria privata, è sostanzialmente estraneo al concetto di conformazione dei beni attraverso il procedimento pianificatorio, poiché persegue lo scopo aprioristico della mera distribuzione dei valori.
Si pongono allora due questioni:
a) la prima, che riguarda il tema della legalità dei poteri dell’amministrazione, è quella se sia ammissibile l’applicazione di un metodo del genere, o non sia necessaria una definizione normativa dei poteri della PA che definisca aprioristicamente valori convenzionali di edificabilità dei suoli;
b) la seconda, riferendosi alle due leggi regionali prima citate ma anche a un atto generale di programmazione regionale come quello delineato, riguarda l’esistenza di un problema di riserva di legge ai sensi dell’articolo 42 secondo comma della Costituzione, il quale prevede che essa determini i modi di acquisto e godimento della proprietà. In altri termini, introdurre un modello perequativo generalizzato e a priori implica l’esistenza di un problema di competenza statale esclusiva ai sensi dell’art. 117.2, lett. l) Cost. in materia di ordinamento civile, che da molti è stato letto alla stregua del vecchio limite del diritto privato.
In sostanza, il modello di attribuzione della dotazione territoriale a priori sembra incidere direttamente sullo statuto proprietario, in particolare sul regime giuridico della proprietà fondiaria.
Attenendosi alla prima impressione, parrebbe quindi necessario l’intervento di una disciplina statale ad hoc per dare legittimazione al sistema perequativo di attribuzione della dotazione territoriale di ERP, specie se portato all’eccesso come nel modello aprioristico. Né, d’altronde, abbiamo in materia il conforto della giurisprudenza mai espressasi sul problema.

mercoledì 11 giugno 2008

leverage e rischi

In qualità di obbligazionista di Lehman Bros. sono interessato direttamente a quello che combinano nella maison di investimento.
Ieri, apprendo che è in corso il piano di riduzione del leverage della banca è riuscito. Bene. Solo che il tentativo riuscito negli ultimi mesi ha consentito di ridurre il leverage lordo di Lehman a 25 volte il patrimonio e quello netto a 12,5 volte.
Un livello che risulterebbe proibitivo per una qualsiasi banca tradizionale ma, evidentemente e fino a prova contraria, di quasi tutta tranquillità per una delle superstiti quattro grandi Investment Banks statunitensi. La quinta, nel frattempo, è praticamente andata in default.
Ho capito un pò di più dove si trovano i rischi sistemici del sistema finanziario mondiale e, anche, delle mie obbligazioni.

domenica 8 giugno 2008

fondamenti etici della fiscalità urbanistica

Una nota di Fausto Curti riferita alla fiscalità urbanistica è utile a precisrae i fondamenti etici del prelievo urbanistico, la cui legittimazione è essenzialmente ascrivibile a tre distinte ragioni:
a) l’eguagliamento delle rendite fondiarie tra i diversi proprietari assoggettati dal piano a differenti destinazioni e intensità d’uso del suolo, nonché l’acquisizione al pubblico di una quota dei proventi ritratti dal privato a seguito dell’edificazione. Qui il principio fondante è che le rendite urbane assolute (dovute ai vantaggi di agglomerazione prodotti dall’attività collettiva) non possano essere incamerate per intero dai proprietari fondiari;
b) il parziale recupero dei costi pubblici sostenuti per le spese di infrastrutturazione, dotazione di servizi e riqualificazione ambientale. In questo caso, invece, è sotteso il principio del beneficio, secondo il quale chi gode dei maggiori differenziali di rendita prodotti da un investimento pubblico è tenuto a sopportarne i costi in proporzione;
c) la mitigazione degli impatti generati dagli interventi privati sulla comunità locale, o il risarcimento dei danni privati provocati da scelte pubbliche. Qui, infine, il principio ispiratore è la responsabilità sociale delle azioni intraprese e la conseguente imputazione dei costi delle esternalità indotte.

nuove dotazioni territoriali e vincoli costituzionali

In questo periodo mi trovo a occuparmi spesso di nuove dotazioni territoriali, segnatamente relative all'edilizia residenziale sociale, e conseguentemente di fiscalità urbanistica.
Un approfondimento dei vincoli costituzionali nell'impostare l'autonoma attività normativa regionale è di una qualche utilità.

La disposizione più significativa per la problematica in esame è quella contenuta nell’art. 119 Cost., come sostituito dalla legge costituzionale n. 3/2001 in sede di modifica del Titolo V della Costituzione.
Assai schematicamente, la disposizione intende garantire che al decentramento amministrativo faccia seguito il riconoscimento di una corrispondente autonomia finanziaria e impositiva e, allo stesso tempo, un adeguato trasferimento di risorse dal potere centrale, a copertura (almeno parziale) di oneri che un tempo erano sostenuti interamente dallo Stato e ora gravano sui singoli enti territoriali.
Dal combinato disposto degli artt. 117 e 119 Cost. sembrerebbe quindi desumersi che lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in materia di tributi erariali, mentre le Regioni possono disciplinare autonomamente i cosiddetti "tributi propri", così da configurare due sistemi separati, uno statale e l’altro regionale appunto.
La Corte costituzionale (sentenze n. 296-297/2003, 37/2004, n. 241/2004) ha precisato, tuttavia, che le Regioni dovranno attendere l’emanazione di leggi-quadro statali anche per legiferare sulla fiscalità locale.
In materia di fiscalità urbanistica, la legge quadro per il governo del territorio è ancora là da venire e, al momento, il quadro legislativo per l'azione regionale può essere sommariamente determinato dal DM 1444/68, come integrato dall'ultima Legge Finanziaria per quanto attiene l'ERS, e dal DPR 380/01 e s.m.i. in relazione alla disciplina degli oneri.

strategie per la sicurezza in pillole

1) si ottiene sicurezza attraverso la vitalità dei luoghi in quanto la frequentazione degli spazi pubblici produce sorveglianza spontanea;
2) si influisce sulla percezione di sicurezza e sulla sicurezza effettiva, rafforzando l’identificazione con i luoghi e il senso di appartenenza da parte degli abitanti, perché questi rispettano, controllano e difendono i luoghi che sentono propri;
3) la chiarezza nell’organizzazione degli spazi e la visibilità dei luoghi incidono fortemente sulla sicurezza e sulla percezione di sicurezza;
4) per migliorare la sicurezza bisogna evitare gli spazi “morti” (senza vitalità), nascosti o indefiniti, perché gli atti di vandalismo e di criminalità tendono a concentrarsi in questi luoghi;
5) per migliorare la sicurezza, è necessario sostenere i meccanismi di sorveglianza spontanea anche attraverso la sorveglianza organizzata, realizzata dagli organismi preposti a questo scopo;
6) la videosorveglianza va usata solo nei casi in cui altre forme di sorveglianza spontanea o organizzata non sono possibili;
7) la sicurezza ambientale si ottiene anche organizzando servizi di accoglienza per le popolazioni marginali (che tendono a concentrarsi in certi luoghi pubblici quali ad esempio le stazioni);
8) le situazioni e sistemazioni temporanee (cantieri, recinzioni, deviazioni) creano non solo disagio, ma anche luoghi potenzialmente pericolosi. Bisogna quindi progettare e curare anche in termini di sicurezza le sistemazioni temporanee durante i cantieri.

le scale della sicurezza urbana

Il tema della sicurezza urbana va affrontato a diverse scale dimensionali. A ogni scala corrispondono aspetti diversi di sicurezza e si devono affrontare problemi differenti:
1) alla grande scala, nella fase in cui vengono decise funzioni e attività, si va ad incidere sulla vitalità dei luoghi alle diverse ore del giorno e della settimana e pertanto viene deciso implicitamente il livello di sorveglianza spontanea;

2) alla scala intermedia, allorché vengono definite la struttura degli spazi, le ubicazioni e l’uso dei diversi piani, la struttura del verde, la viabilità e i parcheggi (interrati o di superficie) si va a incidere sulla possibilità ed efficacia di sorveglianza spontanea o semi-strutturata e sulla identificazione con i luoghi da parte dei fruitori;


3) alla scala di dettaglio, allorché si definiscono pertinenze private, spazi semipubblici, recinzioni, percorsi, ingombri, alberature, illuminazione, arredo urbano affacci e ingressi, si va ad incidere sulla visibilità e trasparenza degli spazi, sull’immagine e il comfort dei luoghi (che influiscono sulla sensazione di insicurezza/insicurezza delle persone), sulla propensione al degrado (che ingenera disagio e sensazione di insicurezza).

le domande di sicurezza urbana

Il tema della sicurezza è stato centrale nell'ultima campagna elettorale nazionale e, con ogni probebilità, ha anche contribuito a determinarne l'esito. Per lo meno nelle dimensioni.
E' quindi opportuno riprendere l'approfondimento sul declinazione "urbana" del tema della sicurezza.
Inizo a enucleare le tante domande sociali di “sicurezza urbana” che evidenziano anche i temi e i luoghi ove si pone il problema sicurezza in ambito urbano.


1) rischio effettivo di essere vittime di intimidazioni, aggressioni o altri atti violenti (gratuiti o intenzionati all’ottenimento di un bene)
2) disagio dovuto alla rottura dei codici di comportamento della civile convivenza (vandalismo, graffiti, dormire, sputare, orinare in luogo pubblico, accattonaggio aggressivo )
3) disagio dovuto al degrado dei codici tradizionali di cura del territorio (manutenzione, cura del verde, pulizia, presenza di vigili sulle strade, portieri ecc.)
4) percezione di insicurezza, concetto disgiunto dalla reale insicurezza, legato spesso a fattori ambientali (quali la scarsa illuminazione, la non chiarezza dei percorsi, la non conoscenza dei luoghi ecc.).

18.000.000.000

Settimana con il record del prezzo del petrolio (139 dollari al barile). Si impone la riflessione su come impostare il cambio di paradigma energetico. Ma il tema è proprio di quelli difficili.
Robin West, presidente della PFC Energy: "...l'anno scorso, grazie agli enermi sussidi concessi agli agricoltori, sono stati prodotti 18 miliari di litri di etanolo. Ma è l'equivalente di quello che produce una sola piattaforma petrolifera al largo delle coste dell'Africa occidentale".

domenica 1 giugno 2008

immagini urbane per i "paesaggi minimi"

Qualche tempo fa l'editoriale di hortus si soffermava sui "paesaggi minimi" e sull'architettura dei paesagi minimi.
"Il paesaggio, naturale o artificiale che sia, è dunque il luogo delle nostre fantasie; esso libera il nostro essere e lo fa conoscere a noi stessi. Un "paesaggio minimo", è l'opposto di tutto questo.
Un "paesaggio minimo" è un paesaggio che ha ridotto alla minima essenza i suoi peculiari caratteri fino a giungere ad una soglia estrema: quella del ribaltamento dei propri valori.Il "paesaggio minimo" è un paesaggio senza qualità, un luogo del malessere urbano. E' un prodotto residuale della società industriale/post-industriale che ha generato e genera secondo molteplici aspetti, per necessità o per incuria, forme di squilibrio, di deformazione dello spazio abitativo o del territorio, creando malessere: un malessere generalizzato, pervasivo."

Sul tema dei "luoghi-non-luoghi" e sulle strategie da impiegare per il loro recupero si sono impegnati da tempo artisti contemporanei, che hanno visto in questo, un modo per rendere partecipe la ricerca artistica degli aspetti più miseri della vita quotidiana; in quanto l'arte contemporanea non è più "rappresentazione", ma "esperienza".
In ambito architettonico, alcuni si stanno dedicando al tema dei "paesaggi minimi", magari dando a tale questione denominazioni diverse, com'è il caso di Maurice Nio che ama definirli "technical spaces": luoghi culturalmente spenti, privi di qualità ambientali dove s'incrocia la vita quotidiana degli utenti della città, come i sottopassaggi pedonali/veicolari o gli snodi stradali o gli spazi urbani marginalizzati dalla presenza di grosse infrastrutture.
La strategia progettuale degli interventi di riqualificazione di spazi urbani ordinari è riassumibile in "rendere sorprendente il banale, secondo un procedimento surrealista/pop".

Un oggetto urbano che spinge la ricerca di nuove immagini nelle città è il ponte o la passerella pedonale.
The Aquarians è il titolo scelto da Nio per il progetto di 22 ponti realizzati per il centro di Den Bosch. In questo intervento urbano, i ponti sono la struttura essenziale per istituire non solo la circolazione pedonale e veicolare ma soprattutto una trama di passaggi provvista di una forte valenza figurativa/funzionale che fungerà da importante supporto alla ricerca di identità di una nuova espansione urbana.

Analoghe esperienze le ho viste a Chicago, ove Frank Gehry ha realizzato il BP Bridge presso il Millenium Park.



Oppure ad Amsterdam, dove nel quartiere Borneo-Sporenburg, West 8 ha realizzato questo ponte pedonale.

territori del commercio: oltre lo scatolone

L'architettura del centro commerciale, soprattutto dopo l'arrivo del format nuovo che fa capo al factory outlet si allontana dall’idea di scatola con attorno un parcheggio, uno svincolo e intorno l’aperta campagna.
Centri commerciali e outlet hanno ormai perso le caratteristiche di contenitori anonimi e senza identità descritte dal sociologo Marc Augé all’inizio degli anni Novanta, che definì questi spazi “non luoghi”.
L’outlet di Serravalle si propone ad esempio come “un centro storico del tipico borgo ligure”; l’outlet di Barberino del Mugello è progettato come “un borgo rinascimentale”; quello di Castel Romano propone ai suoi visitatori uno shopping “passeggiando fra le vie dell’antca Roma”; il nuovo outlet in costruzione a Noventa di Piave prevede addirittura una “finta Venezia” e l’intero centro nascerà come “villaggio palladiano” con barchesse, palazzi in stile palladiano, veneziano e trevigiano, ampi portici e affreschi alle pareti.
Ma esistono anche delle architettura per il commercio di indubbio interesse: senza andare da Renzo Piano con il suo "Vulcano buono" di Pozzuoli, il Mercat de Santa Caterina a Barcelona non è privo di interesse.

gli utili di Tiffany e la distribuzione dei redditi

Marco Sarli segnala puntualmente che la società del lusso Tiffany, nota per il rinomato negozio sulla Fifth Avenue a pochi passi dal celeberrimo Plaza Hotel, negozio immortalato nel celebre film con Audrey Hepburn, ha registrato nel primo trimestre del 2008 un vero e proprio balzo in avanti degli utili (un +19 per cento condito da buone previsioni per l’intero anno).
Anche da queste notizie si può comprendere il livello raggiunto dalla distribuzione del reddito all over the world, peraltro testimoniata dalla presenza nei soli Stati Uniti d’America di un vero e proprio esercito di milionari e multimilionari, cifrato da recenti e attendibili stime in ben 10 milioni di individui.

è la finanza la vera spiegazione del prezzo del petrolio?

Sempre da Diario della crisi finanziaria si può leggere degli effetti della finanza sulla recente quotazione del petrolio.

Dalle testimonianze di alcuni manager di hedge fund di fronte ai membri del Congresso degli Stati Uniti d’America si è scoperto che, negli ultimi cinque anni, gli investimenti in indici collegati, appunto, alle materie prime più o meno energetiche, sono passati dai 13 ai 260 miliardi di dollari.

Da qui passano buona parte delle spiegazioni della "bolla speculativa" del petrolio. Per Diario della crisi finanziaria, infatti, il prezzo del greggio nel 2008 va a 75 dollari al barile. Oggi è a 135.