lunedì 28 gennaio 2008

co-housing per le giovani coppie e gli studenti

In materia di progetto della residenza, quelle ad alto grado di flessibilità mi sembrano le più intertessanti e le più seminali: sono in sintonia con le modalità abitative contemporanee, sempre più mutevoli in archi temporali ristretti, e riescono a dare risposta alle rinnovate pratiche sociali di solidarietà e compartecipazione, già ampiamente diffuse in altri paesi europei.

Il progetto della residenza della contemporaneità mi sembra debba essere improntato a:
a) l’adattabilità spaziale;
b) la flessibilità tecnologica;
c) la coabitazione (co-housing), ossia alla possibilità di condividere alcuni spazi dello proprio alloggio con quello in stretta adiacenza o con altri alloggi situati sullo stesso piano o comunque nell'ambito dello stesso organismo edilizio.

Le comunità di cohousing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, automobili in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini) con benefici dal punto di vista sia sociale sia ambientale.
La dimensione media dell’insediamento è, in linea generale, di 20-40 unità abitative, destinate sia a famiglie sia a single.
La scelta di vivere come una “comunità di vicinato” si traduce nella realizzazione di una sorta di “villaggio”’ dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
Le motivazioni che portano alla coresidenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni di socialità non più praticate, di aiuto reciproco e di buon vicinato.
La scala intermedia tra l’alloggio e l’unità insediativa viene individuata in una dimensione intermedia, denominata cluster (gruppo, aggregazione, ndr), consistente nell’unione di 7-8 alloggi. Ciascun cluster viene gestito autonomamente dai nuclei familiari che vi appartengono per quanto riguarda la manutenzione ordinaria e la preparazione dei pasti, aspetto questo che si risolve normalmente nell’organizzazione di cene comuni tra gli abitanti del cluster con frequenza variabile (in media 3-4 volte a settimana).



Progettare la possibilità di coabitazione di alcuni spazi di un alloggio (spazio per cucinare o per pranzare insieme, spazio lavanderia, spazio per palestra, spazi aperti, ecc.) significa prevedere un certo grado di flessibilità distributiva e tecnologica dell’abitazione.
Ogni unità abitativa è quindi chiamata a risultare idonea ad accogliere diversi tipi di utenza (approntando piccoli cambiamenti interni) e, al contempo, dovrà anche rispondere al variare delle esigenze della medesima utenza nel tempo (nascita di un figlio, presenza di un anziano all’interno del nucleo familiare; ecc.).

A rendere possibili tali gradi di adattabilità degli spazi abitativi saranno soprattutto le particolari scelte tecnologiche, orientate a privilegiare i materiali leggeri e le modalità costruttive facilmente assemblabili e disassemblabili (tecniche reversibili), in modo da favorire la manutenibilità dei
diversi elementi tecnici del sistema edificio nell’arco della sua vita utile e la sostituzione, il riutilizzo degli elementi tecnici o anche il riciclo dei materiali a fine vita.
Le soluzioni costruttive messe a punto dovranno pertanto essere riconducibili al tema della reversibilità costruttiva (possibilità di smontare e rimontare le parti del sistema tecnologico).

una cartolina da diano marina

Mi sto cimentando con una porzione di territorio (il riutilizzo dell'ex caserma Camandone) significativa per il futuro del luogo in cui abito.

Il golfo dianese è la più grande piattaforma turistica della provincia di Imperia (più grande di Sanremo) che con più di 13 mila posti letto tra alberghi, parchi per vacanze e residence rappresenta una delle più importanti realtà turistiche regionali. A questi occorre aggiungere le circa 26 mila stanze che secondo i dati censuari sono destinate a seconda casa.

Ma i problemi non mancano, a cominciare dalla pressione di questo turismo balneare sugli equilibri ambientali: il complesso di questa potenzialità di offerta ricettiva determina nella stagione estiva, peraltro sempre più corta, almeno 37/40 mila utenti giornalieri che vanno tutti a scaricarsi sui circa 10 ha di arenile costiero, con una densità di circa 2,70 mq/turista.
Anche sotto il profilo economico, il frazionamento delle iniziative imprenditoriali che vedono largamente prevalere la conduzione familiare, con una media di poco superore alle 40 camere per albergo, mostra evidenti segni di cedimento. Dalla difficile trasmissione dell'eredità imprenditoriale alla difficoltà di raggiungere importanti economie di scala nella gestione delle strutture. E, in ultima analisi, una grande paura dei nuovi competitori. Che, dopo la botta spagnola, prendono le sembianze di greci, turchi, egiziani, croati e tunisini.
Ci sono stati alcuni tentativi di realizzare piccole catene di alberghi, attraverso accorpamenti che fanno capo a un’unica struttura familiare di diverse strutture ricettive un tempo indipendenti. Tentativi molto difficili in una situazione che vede disaccoppiata la conduzione della struttura e la proprietà dell’immobile.
Negli anni del boom immobiliare, il numero degli alberghi è diminuito. E non può essere che così. Nel comprensorio dianese gli alberghi a quattro stelle sono meno del 5%, quasi il 70% sono invece a tre stelle. Spesso senza aria condizionata, senza piscina, senza adeguati spazi di parcheggio, senza accessibilità per i disabili, con un sito internet approssimativo. Ma, soprattutto, senza un’adeguata offerta di attività per il fuori albergo che possa giustificare la scelta del Golfo dianese quale luogo in cui tornare a fare le proprie vacanze.

Le associazioni di categoria, spesso, continuano a difendere un modello dell'aumento dei prezzi invece di porsi il problema di come far continuare ad arrivare i clienti anche nel medio-lungo periodo.
Il grande capitale nella provincia di Imperia è arrivato, gli innovatori dall'alto e i nuovi imprenditori è anche arrivato: ci sono molti porti turistici in costruzione o appena terminati e ci sono anche i nuovi impianti golfistici, esistenti o solo in programma. Il nodo vero, però, è cosa mettere in mezzo tra gli innovatori dall'alto e i bagnini o gli alberghi a conduzioni familiare rimasti lì a presidiare la spiaggia e la costa. C'è bisogno di un grande progetto per ridisegnare e riprogettare il golfo dianese.
E questo grande progetto non può prescindere da un utilizzo strategico dell’ex caserma Camandone, con i suoi 137.000 mq di terreno e i circa 200 mila mc di edilizia ormai dal 1999 non più utilizzata.

Il destino della valorizzazione di quest’area ex militare non è certo quella di fare concorrenza alle numerose iniziative immobiliari che caratterizzano l’ex mandamento dianese.
L’utilizzo possibile è invece quello di rifunzionalizzare questa grande area dismessa in modo tale da determinare precise e verificate sinergie con le attività che già operano nella filiera turistica, a cominciare dalle strutture ricettive e alle esigenze di una clientela che si va sempre più connotando: terza età e turismo familiare.
Di conseguenza, l’ipotesi di valorizzazione per la Camandone traguarda una dotazione di servizi e infrastrutture orientate alla “cura della persona” (siano turistiche o sociosanitarie) di livello territoriale tali da innescare un processo di qualificazione della funzione turistica di tutto il comprensorio, finalizzato in primo luogo ad aumentare la dotazione del fuori albergo di tutte le altre strutture che già operano e a destagionalizzare i flussi turistici.

La tenuta del Golfo dianese è condizione strategica almeno per l’economia provinciale. Guai se venisse ritenuto solo un luogo "di pianisti e ballerine". Tra cameriere, baristi, bagnini e altri figuranti in questa grande fabbrica della contemporaneità, sono più di 2.339 i posti di lavoro della filiera turistica (su un totale di 3.397 addetti). Che meritano capacità di governo che vadano oltre il rilascio del permesso di costruire.

domenica 27 gennaio 2008

la forma non segue la funzione

Sembra proprio confermata la tesi dell'autonomia della forma rispetto alla funzione oppure, per dirla alla Rafael Moneo, della "solitudine degli edifici".

Ecco, infatti, due straordinarie librerie che resistono alla grande distribuzione e alla pratica degli acquisti on line. Ma, soprattutto, due librerie che riusano due edifici che nascono per tutt'altro.

La Boekhandel Selexyz Dominicanen a Maastricht degli architetti Merkx+Girod riusa una chiesa dominicana.





El Ateneo a Buenos Aires, invece, ha riutilizzato gli spazi di un vecchio teatro.


In tutti e due i casi, il riuso è assolutamente rispettoso degli spazi. E forse è proprio questo che rende i due interventi assolutamente eccezionali.

sabato 26 gennaio 2008

la multilevel governance è un paradigma necessario

Oggi dovevo ragionare su come generalizzare alcune esperienze di governance regionale in materia di governo del territorio. Ne sono venuti fuori questi appunti.

1) Quale contesto di riferimento
a) La verticalizzazione del network istituzionale: la felice autosufficienza di cui poteva godere un comune fino a non molti anni fa è definitivamente tramontata. Governare già ieri, e comunque certamente oggi, è un esercizio di multilevel governance, in cui sono coinvolti attori che si collocano a diverse scale territoriali.
L’integrazione che va perseguita è, quindi, anche verticale e non solo orizzontale.
Al contempo, il raggiungimento di un dignitoso livello di efficacia nei processi decisionali richiede in via pregiudiziale che siano soddisfatte alcune condizioni essenziali, la più importante delle quali è (forse) avere buoni strumenti di governance. In particolare, l’esperienza della Legge Obiettivo ha mostrato come il raccordo tra i soggetti istituzionalmente competenti, sia a livello di amministrazione centrale dello Stato, sia a livello territoriale (regioni ed enti locali) costituisca il problema principale, lo snodo essenziale per il buon esito di qualsiasi programma di infrastrutturazione.

b) La seconda tendenza, difficilmente reversibile, riguarda il fatto che la rappresentanza della società e dei cittadini passa oggi attraverso soggetti nuovi. La moltiplicazione delle identità individuali, la trasformazione della stratificazione sociale e la caduta delle ideologie hanno depotenziato i partiti politici che non possono più essere i luoghi privilegiati di raccolta e articolazione della domanda e di elaborazione delle politiche. Oggi, i partiti politici, sono degli strumenti per selezionare il personale politico che deve esercitare la delega rappresentativa.
Inoltre, la complessità e l’incertezza dei problemi che stanno di fronte alle società sviluppate rendono velleitari i tentativi di ricreare una società civile fatta di circoli culturali generalisti. La partecipazione popolare diretta si attiva per la soluzione di problemi localizzati ma è del tutto incapace di affrontare questioni di scala maggiore.
Pur nella loro enorme differenziazione –si va da gigantesche fondazioni bancarie ad associazioni di volontariato dalla fragile organizzazione– si tratta di aver a che fare con soggetti accomunati da logiche di azione che si basano su un mix di professionalità e attenzione ai valori che li rende difficilmente riducibili ai paradigmi rassicuranti della concertazione, pensati per includere nel processo di policy making i tradizionali soggetti portatori di interessi (le associazioni imprenditoriali, i sindacati, gli ordini professionali, ecc.) che pure continuano a costituire una parte rilevante delle reti decisionali.

2) I rischi del non riconoscere la multilevel governance quale opzione di governo a livello regionale
Il fuoco del ragionamento è sul public policy making innovativo (la governance dell’innovazione), vale a dire le modalità attraverso le quali vengono decise e attuate le più significative innovazioni, di processo o di prodotto, sul versante dei servizi, delle infrastrutture, delle politiche pubbliche in una determinata area territoriale.
Dal punto di vista del governo dell’innovazione a livello territoriale, applicare la multilevel governance serve al governo regionale per evitare almeno tre criticità fondamentali:
1) il rischio di una stasi della progettualità;
2) la difficoltà di recuperare un rapporto con il centro (Roma o Bruxelles);
3) la caduta della già scarsa cooperazione orizzontale tra istituzioni a livello subprovinciale in materia di governo del territorio.
La prima è forse la più importante e la più pericolosa: se non vi sono progetti di innovazione da realizzare e la politica è tutta giocata sul tamponamento delle emergenze, non si è in grado di affrontare le questioni di sviluppo di un territorio.
La seconda criticità prende le mosse dall’indubbia constatazione che ogni singolo comune non può riuscire autonomamente a sviluppare una propria dimensione nazionale che stia alla base dei suoi rapporti con lo Stato e l’Unione Europea.
La terza criticità è più vicina a casa: la cooperazione tra i comuni di uno stesso ambito territoriale non è mai stata straordinaria. E continua a non esserlo, soprattutto in riferimento ai temi del governo del territorio.

3) Lo specifico approccio regionale alla multilevel governance
La mutilevel governance adoperata prescinde da un disegno istituzionale formalizzato ma, viceversa, è un approccio che si fonda sulle cose. Vediamo perché.
La capacità di progettualità non è figlia di uno specifico disegno istituzionale e, tanto meno, di un assetto sociale ed economico. Essere in grado di produrre progettualità con un’orizzonte di medio-lungo periodo è funzione sia dell’esistenza di investimenti dedicati sia della presenza di soggetti investiti del problema.
L’esistenza degli investimenti dipende, in buona parte, dalla capacità della Regione di svolgere la funzione di accompagnamento del locale verso i luoghi ove essenzialmente si distribuiscono le risorse: Stato o Unione Europea.
La progettualità o, meglio, per parafrasare Einstein, l’innovazione è composta al 90% di sudore. L’assenza di specifici think tanks in ambito provinciale o ancor più locale viene supplita dall’attivazione di veicoli societari ad hoc, con mission specifica, che hanno il compito di evitare la caduta della progettualità. Anche perchè il rapporto con lo Stato e con l'Unione Europea, nel medio periodo, è inevitabilmente legato alla capacità di proporre programmi e progetti da finanziare e non tanto alla pressione politica basata su qualche misura di fabbisogno o di sottodotazione.

Anche in rapporto alla cooperazione orizzontale tra i comuni e le altre istituzioni dell’area, il ricorso all’architettura istituzionale, sul tipo conferenza d’area, sembra poco produttiva.
Le aree di riferimento dei servizi pubblici sono talmente differenti tra loro che la ricerca di accordi e collaborazioni non può che frammentarsi in una pluralità di momenti organizzativi o processuali separati per differenti ambiti di policy e/o per differenti sub-aree.
I processi decisionali nel settore degli appalti pubblici o delle opere strategiche in un sistema come il nostro richiedono metodologie nuove di governo della “complessità”. Un approccio soltanto giuridico non è sufficiente. Non ci può essere una conferenza d’area fissa che affronta tutti i temi in agenda: un marchingegno istituzionale di questo tipo, al più, non serve a niente. Oltre a essere una buona perdita di tempo.
Non bastano quindi meccanismi giuridici, pur perfezionati, ma occorrono metodologie di governo della complessità che, sin dalla fase di programmazione, attraverso moduli organizzativi ad hoc, procedure e sistemi informativi consentano la partecipazione e la collaborazione effettiva di tutti i soggetti competenti e che nel contempo garantiscano decisioni rapide e possibilmente non controverse (almeno per quanto riguarda la competenza ad adottarle).
Occorre dunque un bilanciamento. L’introduzione di meccanismi di accelerazione di decisioni unitarie deve essere equilibrata dalla previsione di idonei strumenti di garanzia della effettività della partecipazione delle regioni e degli enti locali, oltre che del coinvolgimento degli altri attori istituzionali e sociali.

ancora oggi le scuole sono bianche

Ieri ragionavo sul rapporto (necessario) tra edilizia scolastica ed emozioni, via colore.

Puntualmente oggi vedo che al Ponzano Children della famiglia Benetton progettato da Alberto Campo Baeza viene assegnato un premio. Complimenti. E' tutto bianco.

venerdì 25 gennaio 2008

quando le scuole erano bianche

Quando si è parlato di sperimentazione in riferimento alla scuola si è sempre fatto riferimento alla seconda lingua straniera, alle tre ore in più,... A mio avviso non c'è bisogno di più materie o di più compiti da fare a casa. C'è, invece, da mettere in uno stesso luogo le diverse facce della vita di una bambino o di un adolescente.

Gli spazi di una scuola impongono differenti usi: la scuola non può chiudere per essere riaperta alla mattina successiva ma deve sempre avere una funzione sociale; non deve essere solo il luogo dell'insegnamento e dei voti ma deve essere anche qualcosa di più gioioso.

E, a proposito di gioia e di giocattoli, non ho mai visto un giocattolo bianco. Ma quante scuole bianche ho visto.
La scuola dovrebbe essere quella che i pedagogisti chiamano una "casa gioiosa". Sembra assurdo ma l'emozione è emarginata, soprattutto negli spazi dei bambini. L'emozione ha invece un colore. Lo ha capito un bel pò di tempo fa chi si è pensato la Lego (acronimo che in danese significa "giocare bene"): il colore rappresenta la forma emotiva necessaria a far sì che quando un bambino passa davanti a una vetrina si inchiodi lì per vedere, immaginare e sognare.


Richard Rogers nella Minami Yamashiro school di Kyoto, terminata nel 2003, lo ha capito benissimo.


martedì 22 gennaio 2008

ma quali mercati emergenti...

La capitalizzazione delle borse azionarie cinesi ha superato per la prima volta la capitalizzazione della borsa giapponese. E noi continuiamo a chiamarli mercati emergenti.

domenica 20 gennaio 2008

le conseguenze inintenzionali della Storia

Qualche ulteriore effetto inatteso della crisi del settore finanziario imputabile ai prodotti derivati originati dai mutui subprime.

Tiffany & Co., simbolo del lusso americano, ha chiuso la scorsa settimana alla Borsa di New York a 35,80 dollari (aprendo il lunedì successivo al di sotto dei 34 dollari) con un calo dell'11.81%.
Cos'è successo? Sono usciti i dati riferiti alle vendite natalizie: - 8%. E, almeno in parte, tale calo è dovuto al calo dei bonus natalizi nel settore bancario.

quale declino, l'Italia esporta

Notizia non nuovissima (è della fine dell'anno) ma vale lo stesso la pena di appuntarsela. Non si sa mai.

Nei primi nove mesi del 2007, l'export dell'Italia è cresciuto dell'11,5%, la Germania del 10,5%, la Spagna del 3,9%, la Francia del 2,5%, il Regno Unito ha subito invece un declino del 14,4%.
Morale della favola: sarà pur incredibile a dirsi ma l'export italiano vale ora 264 miliardi di euro, il doppio della Spagna, meglio della Gran Bretagna; a due passi dall'export della Francia.

Alla luce di questa evoluzione positiva, dopo anni di declino costante, la quota dell'Italia sale dal 3,4% al 3,6% sul totale del commercio mondiale. E tanto per fare qualche raffronto, la Gran Bretagna è al 3,2% mentre il Canada non va oltre il 3,1%.

sabato 19 gennaio 2008

tutela della libertà: cittadini vs. proprietari

Spesso mi capita di fare riferimento e di ancorare le azioni, gli strumenti e le misure in materia di governo del territorio ad alcune categorie generali che, per semplicità (si fa per dire) potrei riassumere in: tutela della libertà.

Però in materia di governo del territorio è sempre bene precisare un pò i termini della questione.

L'individuazione del protagonista della costruzione della città è l’individuo, la tutela della cui libertà deve essere il preminente, e quasi esclusivo, compito delle istituzioni. Questo individuo è un qualsiasi cittadino e non un cittadino un pò particolare: l'individuo proprietario immobiliare.


Non bisogna dimenticare che non esiste soltanto la libertà di disporre dei propri beni ma anche la libertà del cittadino in quanto tale: in quanto fruitore (non necessariamente proprietario) di un bene pubblico, quale la città indubbiamente è.

In altri termini, allorché si declina il principio della tutela della libertà in materia di governo del territorio, occorre tener ben presente che ci sono diritti comuni, e non solo diritti individuali. E tra questi diritti ci sono anche quelli di poter godere di una città ordinata, funzionale, bella, resa tale indipendentemente dagli interessi materiali di un gruppo molto particolare di cittadini, quali sono appunto i proprietari immobiliari. E, infine, non bisogna dimenticare che questo diritto deve essere attribuito a tutti, quale che sia il patrimonio di cui si dispone.

venerdì 18 gennaio 2008

tempo e PA (a proposito di mutui)

Ieri mi è capitato di dover ragionare sul rapporto, sempre molto difficile, tra il tempo della società (e dell'economia) e tempo della Pubblica Amministrazione.

Il tema è legato alla questione dei mutui ipotecari e al rincaro che sta mettendo in difficoltà molte famiglie che si sono indebitate nel periodo in cui i tassi di riferimento della BCE erano al 2%.

La Legge Finanziaria 2008, all'articolo 2 commi da 475 a 480, prevede specifiche misure per intervenire sul punti: a condizione che vengano approvati uno o due decreti interministeriali.

In attesa di tali provvedimenti (che al momento non sono neppure in bozza), resta il dilemma se procedere autonomamente con iniziative locali oppure attendere l'evolversi della situazione nazionale.


Nel seguito qualche considerazione per dire che attendere ha veramente poco senso.

I mutui ipotecari a tasso variabile hanno visto aumentare repentinamente l'importo delle rate non solo perché rispetto a un paio di anni fa la BCE ha aumentato il tasso di riferimento fino a portarlo attualmente al 4,00%. Un'altra ragione, forse la più importante, è data dal fatto che i tassi interbancari sono aumentati anch'essi: addirittura l'euribor a 3 mesi che ieri è stato fissato al 4,51%, poco prima di Natale è arrivato al 4,90%. Tassi interbancari ai quali sono generalmente indicizzati i mutui ipotecari. E la cosa rilevante (e del tutto anomala) è considerare che tale aumento è avvenuto a fronte di tassi di riferimento della BCE che sono rimasti stabili, mentre i rendimenti dei Titoli di Stato sono addirittura calati di qualche punto.
In questo senso, è opportuno considerare che in condizioni normali i tassi interbancari sono praticamente uguali ai tassi di riferimento determinati dalla BCE. Oggi, invece, vi è uno spread dello 0,51% e tale spread è stato anche pari a 90 basis points verso la fine di dicembre.

Questo differenziale è frutto della crisi di sfiducia che ha colpito il sistema bancario, per via delle vicende legate ai mutui subprime negli Stati Uniti e ai prodotti derivati a essi connessi. Le banche con un eccesso di riserve hanno perciò smesso di prestare liquidità alle controparti in una situazione di fabbisogno, facendo di conseguenza impennare i tassi interbancari.
La liquidità quindi è diventata un "merce" estremamente rara e quindi il suo "prezzo" (cioè il tasso Euribor) è aumentato moltissimo (per evidenti ed elementari relazioni di domanda e offerta).

In pratica quindi, la crisi di sfiducia che ha colpito le banche, ha avuto come effetto collaterale quello di far aumentare i tassi ai quali sono normalmente indicizzati i mutui, penalizzando le incolpevoli famiglie con mutui ipotecari a tasso variabile.

Cosa aspettarsi per il futuro? Normalmente queste fasi di crisi di liquidità hanno durata abbastanza breve e tendono a rientrare in meno di un anno. Certamente, quella in corso, è forse una crisi di maggiore entità che coinvolge anche i colossi del sistema creditizio mondiale (è di questa settimana la svalutazione di Citigroup, cioè la più grande banca del mondo, di più di 11 miliardi di dollari). In ogni caso, però, la crisi del credito che impatta così negativamente sui tassi interbancari ha durata temporanea.

Ed è per questo motivo che i provvedimenti che possono essere presi in sede locale hanno carattere di urgenza: se arriva tra 4-6 mesi (come quello statale), la crisi del sistema creditizio potrebbe essere alle spalle e i tassi interbancari sarebbero già tornati ad allinearsi con i tassi di riferimento fissati dalla BCE: rispetto a novembre/dicembre, significa che la rata di un mutuo a tasso variabile potrebbe essere già scesa in funzione di una riduzione del tasso di circa lo 0,90%.

In conclusione, questa mi sembra il tipico caso di un provvedimento che ha senso se fatto in un certo tempo storico; altrimenti, ci troveremmo di fronte l'ennesimo caso della Pubblica Amministrazione che insegue la realtà senza mai afferrarla.

sabato 5 gennaio 2008

i risultati del 55%

Su Il Sole 24 Ore via Edilizia on line un pò di numeri sulle richieste di detrazioni fiscali pari al 55% per il miglioramento energetico dell'edilizia civile.
Sono state 23.909 le richieste per il 55% pervenute all'Enea quasi per beneficiare della detrazione fiscale del 55% sulle spese sostenute: l'impennata è avvenuta dopo l'estate. I MWh risparmiati sono 144.457,82, mentre 30.527,48 sono le tonnellate di Co2 non emessa in conseguenza degli interventi ammessi.

(da http://fotodalpassato.blogspot.com/2007/03/la-casa-ecologica.html)

venerdì 4 gennaio 2008

Finanziaria: quasi un Robin Hood in viceversa

Su LaVoce.info si ritorna a parlare delle ridotte capacità redistributive della Legge Finanziaria 2008. E gran parte di questa carenza è dovuta allo sgravio generalizzato dell'ICI.

La cosa più interessante, perchè la carenza di redistribuzione era già stata evidenziata in precedenza, è però questa: "Si noti tuttavia che alla riduzione dell’Ici per i contribuenti con reddito superiore ai 50 mila euro sono destinate risorse in ammontare pari al 50 per cento di quelle destinate al sostegno per le famiglie numerose."

L'ICI ai redditi sopra i 50 mila euro ci costa 80 milioni di euro mentre alla detrazione/sussidio di 1.200 euro in sede IRPEF ai nuclei familiari con più di tre figli a carico sono destinati 140 milioni di euro.

giovedì 3 gennaio 2008

la lezione della Spagna

E' da quando studiavo che la produzione architettonica spagnola mi accompagna ed è diventata un buon punto di riferimento nella pratica progettuale.
E in questi giorni ove l'Italia scopre di essere minacciata dal sorpasso dell'economia spagnola, mi sembra buona per scelta di tempo la decisione di parlare della produzione architettonica in Spagna.
Su architettura di pietra se ne parla, e se ne fa un bilancio, a partire da una mostra.

Non particolarmente nuovo ma ben detto questo passaggio. "Nel 1968, quando sulla Spagna gravava ancora il muro dell’isolamento che divideva la società dal resto d’Europa, Vittorio Gregotti scriveva “In Spagna c’è una specie di silenzio, di spazio immobile, figurativamente antico, estraneo all’ansia trasparente e al movimento dello spazio centroeuropeo da cui nasce l’architettura moderna”.
(...)
Tuttavia è rimasto qualcosa di questa inclinazione al silenzio nel loro metodo progettuale che preferisce scelte elementari e minimali che corrispondono al motto di epoca barocca “il buono, se è breve, è doppiamente buono”, dove l’obiettivo di questa “brevità” ricorda molto da vicino il più moderno e noto “less is more”, ma ci ricorda anche valori quali la durata e la solidità costruttiva, concetti che di fronte all’odierna e imperante ansia per la novità ci appaiono ancora più antichi e necessari."

La produzione che mi interessa di più abbina un forte sapere tecnico, tale da fornire loro un controllo razionale sul processo progettuale, a una ricerca teorica e compositiva, sia sotto il profilo della composizione architettonica in senso stretto sia dal punto di vista del disegno alla scala urbana.
In particolare, la ricerca compositiva è volta a valutare e gestire le influenze esterne e gli stimoli della storia e del luogo, facendoli diventare veri e propri materiali di progetto. In questo modo i rapporti tra nuovo e permanenze tendono ad annullare sia il tempo sia le contingenze. Questa capacità di proiettare l’essenza del passato nel presente ha significato essere, per usare un’espressione di Fernando Tavora, “tradizionalmente moderni”.
Sotto un di foto da Flickr del nuovo Municipio di Murcia di Rafael Moneo.

martedì 1 gennaio 2008

la morosità nell'ERP: un'insostenibile retaggio culturale

La fine dell'anno ha avuto un'ultima sollecitazione sul tema -e sul sottile confine- del rapporto tra diritto all'abitazione e carità compassionevole, tra politiche pubbliche di coesione sociale e assistenzialismo.
Problema di partenza: la morosità degli assegnatari di alloggi ERP. E il conseguente atteggiamento della Pubblica Amministrazione di rinuncia all'applicazione della legge.


L’entità della morosità per canoni di locazione degli alloggi di ERP esistente presso le ARTE liguri ammonta ad € 6.259.193; se si rapporta tale importo al numero complessivo degli alloggi in gestione alle ARTE alla stessa data, si deduce che a livello regionale sussiste una morosità di € 304,18 ad alloggio gestito (dalle ARTE).
L’atteggiamento di accettazione passiva e di inerzia nell’azione di recupero ovvero di attivazione dei provvedimenti di decadenza, che trovano fondamento in un’idea di sussidio di natura contributiva per la situazione di disagio socio economico sottesa alla morosità, oltre al garbo e al coraggio dei dirigenti che disapplicano le norme esistenti, mi sembra testimoni anche una certa confusione tra il momento gestionale e il momento assistenziale.
In realtà, considerato che l'ordinamento già prevede la tutela del disagio socioeconomico per il tramite dell’individuazione di specifici criteri di determinazione dei canoni di locazione per le fasce di utenza economicamente più deboli e di forme di sostegno economico, ai fini della corretta valutazione del fenomeno bisognerebbe verificare quanto esso sia ascrivibile alla idoneità o meno dei mezzi di tutela già approntati in via ordinaria o quanto invece sia ascrivibile a circostanze culturali o ambientali e/o a cause imputabili al gestore.


Inoltre, la morosità, per qualunque ragione essa dipenda, rappresenta senza alcun dubbio un elemento di estrema debolezza per la gestione dell’edilizia residenziale pubblica.
Come la Corte dei Conti rileva, la permanenza di elevati livelli di morosità nella gestione del patrimonio di ERP, in considerazione dell’importanza che le entrate per canoni di locazione rivestono nell’ambito delle fonti di alimentazione della gestione del patrimonio abitativo pubblico da parte delle ARTE, si pone in radicale contrasto con la concreta possibilità di attivare quel circolo gestionale “economico” che è alla base della trasformazione in atto della natura giuridica e del ruolo degli ex-IACP a partire dal lontano 1998, anno di approvazione della legge regionale n°9 che ha trasformato gli ex IACP nelle ARTE.

Sicuramente una strada da percorrere con maggiore decisione, dato che l'indigenza è fenomeno reale e non eliminabile per decreto, è quella del potenziamento del Fondo sociale a vantaggio dell’utenza di ERP.
L’istituzione presso gli enti gestori del patrimonio ERP di un fondo di sostegno economico all’utenza da utilizzarsi per il pagamento di parte del canone di locazione e per il rimborso dei servizi accessori che ha proprio quale obiettivo principale il superamento delle situazioni di morosità pregressa, al fine di favorire l’erogazione di finanziamenti a soggetti meritevoli in effettivo stato di bisogno e con apparente capacità di restituzione.

Certamente molto si può fare in relazione al ruolo e all’attività degli enti gestori che, ai fini della formazione della morosità appare determinante. Sempre sulla base della recente Indagine della Corte dei Conti, viene efficacemente evidenziato che l’entità della morosità è svincolata dall’ammontare del canone applicato all’utenza: i livelli di morosità più elevata sono stati infatti registrati in quelle realtà territoriali (Campania, Molise, Puglia, Sicilia) ove i canoni di locazione sono più bassi.

Infine, mi sembra opportuno notare che la rilevanza delle entrate da canoni –e quindi la criticità della morosità- è l’altra faccia del problema del difficile contenimento dei costi gestionali. Sotto questo profilo, l’Indagine più volte citata ha rilevato, a livello di sistema, la forte incidenza che i costi della fiscalità (generale e locale) esercitano sulla gestione del patrimonio immobiliare di ERP, senza distinzione tra i beni e le attività di marcata finalizzazione sociale e quelli ad essa estranei. La rilevazione eseguita ha addirittura evidenziato che nel 2004 il peso fiscale complessivo sugli Enti gestori corrispondeva al 43,98% dell’accertamento annuo per canoni di locazione di ERP.
A questo proposito è il caso di sottolineare come la gestione locale dell’ICI sia idonea a produrre, tra gli altri, anche l’effetto di recuperare alla gestione dell’ERP le risorse finanziarie derivanti da una minore imposizione fiscale.