Oggi dovevo ragionare su come generalizzare alcune esperienze di governance regionale in materia di governo del territorio. Ne sono venuti fuori questi appunti.
1) Quale contesto di riferimento
a) La verticalizzazione del network istituzionale: la felice autosufficienza di cui poteva godere un comune fino a non molti anni fa è definitivamente tramontata. Governare già ieri, e comunque certamente oggi, è un esercizio di multilevel governance, in cui sono coinvolti attori che si collocano a diverse scale territoriali.
L’integrazione che va perseguita è, quindi, anche verticale e non solo orizzontale.
Al contempo, il raggiungimento di un dignitoso livello di efficacia nei processi decisionali richiede in via pregiudiziale che siano soddisfatte alcune condizioni essenziali, la più importante delle quali è (forse) avere buoni strumenti di governance. In particolare, l’esperienza della Legge Obiettivo ha mostrato come il raccordo tra i soggetti istituzionalmente competenti, sia a livello di amministrazione centrale dello Stato, sia a livello territoriale (regioni ed enti locali) costituisca il problema principale, lo snodo essenziale per il buon esito di qualsiasi programma di infrastrutturazione.
b) La seconda tendenza, difficilmente reversibile, riguarda il fatto che la rappresentanza della società e dei cittadini passa oggi attraverso soggetti nuovi. La moltiplicazione delle identità individuali, la trasformazione della stratificazione sociale e la caduta delle ideologie hanno depotenziato i partiti politici che non possono più essere i luoghi privilegiati di raccolta e articolazione della domanda e di elaborazione delle politiche. Oggi, i partiti politici, sono degli strumenti per selezionare il personale politico che deve esercitare la delega rappresentativa.
Inoltre, la complessità e l’incertezza dei problemi che stanno di fronte alle società sviluppate rendono velleitari i tentativi di ricreare una società civile fatta di circoli culturali generalisti. La partecipazione popolare diretta si attiva per la soluzione di problemi localizzati ma è del tutto incapace di affrontare questioni di scala maggiore.
Pur nella loro enorme differenziazione –si va da gigantesche fondazioni bancarie ad associazioni di volontariato dalla fragile organizzazione– si tratta di aver a che fare con soggetti accomunati da logiche di azione che si basano su un mix di professionalità e attenzione ai valori che li rende difficilmente riducibili ai paradigmi rassicuranti della concertazione, pensati per includere nel processo di policy making i tradizionali soggetti portatori di interessi (le associazioni imprenditoriali, i sindacati, gli ordini professionali, ecc.) che pure continuano a costituire una parte rilevante delle reti decisionali.
2) I rischi del non riconoscere la multilevel governance quale opzione di governo a livello regionale
Il fuoco del ragionamento è sul public policy making innovativo (la governance dell’innovazione), vale a dire le modalità attraverso le quali vengono decise e attuate le più significative innovazioni, di processo o di prodotto, sul versante dei servizi, delle infrastrutture, delle politiche pubbliche in una determinata area territoriale.
Dal punto di vista del governo dell’innovazione a livello territoriale, applicare la multilevel governance serve al governo regionale per evitare almeno tre criticità fondamentali:
1) il rischio di una stasi della progettualità;
2) la difficoltà di recuperare un rapporto con il centro (Roma o Bruxelles);
3) la caduta della già scarsa cooperazione orizzontale tra istituzioni a livello subprovinciale in materia di governo del territorio.
La prima è forse la più importante e la più pericolosa: se non vi sono progetti di innovazione da realizzare e la politica è tutta giocata sul tamponamento delle emergenze, non si è in grado di affrontare le questioni di sviluppo di un territorio.
La seconda criticità prende le mosse dall’indubbia constatazione che ogni singolo comune non può riuscire autonomamente a sviluppare una propria dimensione nazionale che stia alla base dei suoi rapporti con lo Stato e l’Unione Europea.
La terza criticità è più vicina a casa: la cooperazione tra i comuni di uno stesso ambito territoriale non è mai stata straordinaria. E continua a non esserlo, soprattutto in riferimento ai temi del governo del territorio.
3) Lo specifico approccio regionale alla multilevel governance
La mutilevel governance adoperata prescinde da un disegno istituzionale formalizzato ma, viceversa, è un approccio che si fonda sulle cose. Vediamo perché.
La capacità di progettualità non è figlia di uno specifico disegno istituzionale e, tanto meno, di un assetto sociale ed economico. Essere in grado di produrre progettualità con un’orizzonte di medio-lungo periodo è funzione sia dell’esistenza di investimenti dedicati sia della presenza di soggetti investiti del problema.
L’esistenza degli investimenti dipende, in buona parte, dalla capacità della Regione di svolgere la funzione di accompagnamento del locale verso i luoghi ove essenzialmente si distribuiscono le risorse: Stato o Unione Europea.
La progettualità o, meglio, per parafrasare Einstein, l’innovazione è composta al 90% di sudore. L’assenza di specifici think tanks in ambito provinciale o ancor più locale viene supplita dall’attivazione di veicoli societari ad hoc, con mission specifica, che hanno il compito di evitare la caduta della progettualità. Anche perchè il rapporto con lo Stato e con l'Unione Europea, nel medio periodo, è inevitabilmente legato alla capacità di proporre programmi e progetti da finanziare e non tanto alla pressione politica basata su qualche misura di fabbisogno o di sottodotazione.
Anche in rapporto alla cooperazione orizzontale tra i comuni e le altre istituzioni dell’area, il ricorso all’architettura istituzionale, sul tipo conferenza d’area, sembra poco produttiva.
Le aree di riferimento dei servizi pubblici sono talmente differenti tra loro che la ricerca di accordi e collaborazioni non può che frammentarsi in una pluralità di momenti organizzativi o processuali separati per differenti ambiti di policy e/o per differenti sub-aree.
I processi decisionali nel settore degli appalti pubblici o delle opere strategiche in un sistema come il nostro richiedono metodologie nuove di governo della “complessità”. Un approccio soltanto giuridico non è sufficiente. Non ci può essere una conferenza d’area fissa che affronta tutti i temi in agenda: un marchingegno istituzionale di questo tipo, al più, non serve a niente. Oltre a essere una buona perdita di tempo.
Non bastano quindi meccanismi giuridici, pur perfezionati, ma occorrono metodologie di governo della complessità che, sin dalla fase di programmazione, attraverso moduli organizzativi ad hoc, procedure e sistemi informativi consentano la partecipazione e la collaborazione effettiva di tutti i soggetti competenti e che nel contempo garantiscano decisioni rapide e possibilmente non controverse (almeno per quanto riguarda la competenza ad adottarle).
Occorre dunque un bilanciamento. L’introduzione di meccanismi di accelerazione di decisioni unitarie deve essere equilibrata dalla previsione di idonei strumenti di garanzia della effettività della partecipazione delle regioni e degli enti locali, oltre che del coinvolgimento degli altri attori istituzionali e sociali.
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