La preferenza dei mutuatari italiani per il tasso variabile è determinata, come viene notato da La Voce, anche da anomalie di costo.
Anche dalla Banca d’Italia viene segnalata una specifica anomalia italiana: "il differenziale fra il costo dei mutui a tasso fisso e quelli a tasso variabile è stato nel 2006 di 80 punti base, a fronte dei 30 registrati, in media, nell'area dell'euro".
L’anomalia ha origini diverse. Un fattore è senz’altro nella differenza "genetica" dei mutui-casa italiani a tasso fisso. In molti paesi esteri si paga sì a tasso fisso, ma i tassi di riferimento sono quelli di medio termine perché dopo pochi anni il tasso può essere rinegoziato o trasformato in variabile.
In Italia, invece, esiste un marcato utilizzo dei tassi a lungo termine, perché storicamente i mutui non sono rinegoziabili, se non dietro pagamento di una proibitiva penale.
Finora, quindi, il mutuatario era, di fatto, vincolato alle condizioni di tasso iniziali. Con i decreti Bersani e il recente accordo tra Abi e consumatori, che hanno ridotto le penali anche sul tasso fisso, la situazione del mutuatario italiano può diventare più flessibile.
E, quindi, è augurabile che anche tale differenza tra fisso e variabile possa diminuire. Anche a vantaggio di chi si indebita: le famiglie ma anche le imprese che realizzano per poi concedere in locazione.
sabato 23 giugno 2007
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