Queste le quattro chiavi di lettura del progetto del Museo Kiasma di Stevel Holl a Helsinki e, con buona probabilità, di molte opere dello stesso Holl.
1) Forte interesse fenomenologico, perché il progetto si basa su esperienze dirette, fisiche e psicologiche a un tempo: percorrere, scoprire i flussi, sentire la luce e i materiali dell'architettura.
2) Richiamo al grande tema della metaforizzazione. Spesso nei progetti vi è un richiamo ad altro rispetto all'architettura: uno spartito musicale, una spirale che avvolge funzioni diverse, delle icone che si stagliano nel cielo.
3) Consapevolezza sul ruolo concertato che spazi aperti ed edifici giocano l'uno con l'altro per caratterizzare l'insieme del progetto.
4) Convinzione che il progetto -al pari di Louis Kahn- si debba fondare su un'idea forza.
1) Forte interesse fenomenologico, perché il progetto si basa su esperienze dirette, fisiche e psicologiche a un tempo: percorrere, scoprire i flussi, sentire la luce e i materiali dell'architettura.
2) Richiamo al grande tema della metaforizzazione. Spesso nei progetti vi è un richiamo ad altro rispetto all'architettura: uno spartito musicale, una spirale che avvolge funzioni diverse, delle icone che si stagliano nel cielo.
3) Consapevolezza sul ruolo concertato che spazi aperti ed edifici giocano l'uno con l'altro per caratterizzare l'insieme del progetto.
4) Convinzione che il progetto -al pari di Louis Kahn- si debba fondare su un'idea forza.
Ma il museo di Helsinki è diventato anche il paradigma dell'architettura come narrazione. Così scrive Antonino Saggio:
"Una delle critiche spesso rivolte alle ricerche della nuova architettura è quella di aderire a modelli "pubblicitari e comunicativi" che implicitamente toglierebbero "verità" alla fabbrica edilizia e alla costruzione. (...)
I messaggi dell'epoca industriale erano dichiarativi, assertivi, certi. Pensiamo alla pubblicità. Quella della società industriale cercava di dimostrare la bontà del prodotto attraverso le sue caratteristiche, quella della società dell'informazione invece trasmette "una narrazione" una storia del prodotto, dando assolutamente per scontato che il prodotto funzioni. (...)
Lo stesso processo avviene per l'architettura: alla rappresentazione di logiche assolutamente oggettive (separazione di struttura e riempimento, coerenza tra funzione interna e forma esterna, divisione in zone congrue ai diverse usi) si sostituisce una narrazione. Un edificio non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli, storie. Possiamo puntare i piedi e appellarci a una diversa eticità, a una diversa moralità? Forse, ancora una volta, centrale è solo il "come". Il momento comunicativo, certo, può essere quello dei grandi hotel disneyani con cigni, sette nani e cappelli da cow-boy, ma può anche non essere un'applicazione posticcia di forme e contenuti simbolici a un'architettura scatolare ad essa estranea. Può essere una narrazione che pervade l'essenza stessa dell'edificio e che si connatura intimamente nelle sue fibre."
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