venerdì 7 marzo 2008

archistar e identità delle città

Leggo qui, con un pò di ritardo, la Preghiera di Camillo Langone pubblicata da Il Foglio di mercoledì 5 marzo 2008 che riflette sui rapporti (perversi) del ricorso che varie città italiane fanno delle archistar rispetto alla tutela e valorizzazione delle identità delle città stesse.

Dio che accechi chi vuoi perdere, perché proprio i sindaci italiani? Non potresti abbagliare i sindaci del Burkina Faso, dove tanto non andrò mai?
Il City Brands Index 2008 ha decretato che la città più riconoscibile del mondo è Sydney. Anno dopo anno le città italiane declinano verso l’irriconoscibilità, tiene soltanto Roma (grazie a San Pietro e al Colosseo, nonostante Richard Meier).
Ovvio, non c’è un nostro sindaco che abbia aperto gli occhi sul concetto di “site specific”.
A Milano chiamano Libeskind per costruire un grattacielo che la renda simile a Busan, Corea del Sud.
A Reggio Emilia vann fieri di Calatrava col suo ponte seriale che fa tanto Argentina e Wisconsin.
A Salerno il nuovo tribunale di Chipperfield mette i brividi, siccome formato dagli stessi parallelepipedi che l’architetto inglese ha piazzato ad Anchorage, Alaska.
Con grande spesa le città italiane si camuffano, cercano di sfuggire all’identificazione, come fa chi ha commesso un crimine, chi vuole farsi dimenticare.

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