giovedì 22 novembre 2007

rivestimento in mattoni

Recentemente ho affrontato per un piccolo edificio il tema progettuale del rivestimento in mattoni.

Quando è venuta meno la funzione portante del mattone, questo ha finito per riempire le campiture tra gli elementi strutturali ponendosi solo come chiusura e denunciando chiaramente questo suo nuovo modo di essere.
Nei casi meno felici (e ne esistono molti), il mattone ha rivestito e nascosto con totale indifferenza strutture portanti eterogenee.

In tempi più recenti, di fronte alla necessità di contenere le dispersioni energetiche degli edifici, il mattone a vista in ambiti climatici come i nostri si è fatto pelle di finitura, una sorta di curtain wall, una facciata ventilata, appeso e legato a sottostrutture metalliche a loro volta vincolate alle strutture portanti principali dell’edificio. In questo modo si sono annullati tutti i ponti termici e si è ottenuta la migliore efficienza termo-igrometrica dell'involucro edilizio. E' il caso, ad esempio, di Renzo Piano all'IRCAM a Parigi.


Mi sono posto il dilemma sulla correttezza degli approcci progettuali possibili:

a) ricostruire tessiture analoghe alle vecchie murature portanti con falsi muri a due/tre teste, con voltini sottolineati dal disporsi del mattone in verticale (in sostanza dar vita a volumi architettonici massicci e unitari) oppure;

b) denunciare chiaramente questo nuovo ruolo di semplice rivestimento collocando ad esempio il mattone all’interno di telai metallici (cioè dei pannelli precomposti fuori opera con mattoni alleggeriti, armati all’interno, senza più concatenamenti di sorta) e poi montati a secco perfezionando quel sistema che in fondo adottò Mies (qui sotto all'IIT di Chicago).



L'unica strategia spendibile mi pare la seconda che, e non è poco, è anche eticamente la più corretta.

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