Vado a cercare altre risorse in rete relative alla critica dell'intervento di Renzo Piano a Sesto San Giovanni (aree ex Falck) e mi imbatto in Marco Romano.
Anche in questo caso, come in Consonni, emerge la difficoltà di Piano nel disegnare un pezzo di città coerente con la tradizione occidentale. O, forse e meglio, coerente con i principi del disegno urbano. Laddove con principi intendo un modo coerente e funzionale di disegnare città in rapporto a chi ci abita.
"Il principio adottato è stato di salvaguardare due grandi aree verdi concentrando la maggior parte dell’edificazione lungo la strada preesistente, sotto forma di una serie di grattacieli disposti a piccoli gruppi nelle aree ancora libere. Questa strada è poi attraversata da una croce di edifici più bassi –quattro piani– su una seconda strada davanti alla fronte posteriore dell’esistente stazione ferroviaria, (...).
Questa soluzione è paradossale, perché questi due estese zone verdi non hanno nessun ruolo estetico, perché la dimensione di un giardino pubblico o di qualsiasi altro tema collettivo, in ogni città, è commisurata al suo rango e un grande prato non è un giardino pubblico e nemmeno, per le medesime ragioni, un parco: è e resta uno spazio residuo e non l’esito di una volontà estetica. Ma neppure saranno utili agli abitanti, per i quali è più confacente un giardino ai piedi delle abitazioni, dove eventualmente far giocare i bambini, che non un informe prato.
Il fatto è che questi grandi spazi liberi rispondono a un ecologismo da strapazzo (...) per il quale la misura del benessere è l’estensione dei prati."
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