venerdì 5 dicembre 2008

lo strumento del bando è una difesa dall'assunzione di responsabilità

Sulla base di un analogo studio commissionato dalla Regione Lombardia, qualche anno fa mi sono trovato a ragionare sulla forma migliore per promuovere progettualità pubblica. Ne venne fuori l'esperienza del Programma Regionale per il Social housing e degli Accordi di Programma Quadro Locali per la Casa.
Adesso, il problema si pone nelle stesse forme di allora. Non so se quello di seguito riportato sia una buona strada. Certo è che in termini di apprendimento, le organizzazione pubbliche sono un pò di "coccio".

Il periodo compreso tra la seconda metà degli anni novanta e i primi anni duemila ha rappresentato una stagione di sperimentazione intensa e dinamica per le politiche urbane e territoriali. Sono stati avviati numerosi programmi integrati di riqualificazione urbana e di sviluppo locale, soprattutto sotto l’impulso del Governo centrale, segnatamente della Dicoter.
L’impiego di formule competitive, di logiche concorsuali e di bandi quali dispositivi per l’allocazione di risorse e di finanziamenti e quali leve nella produzione di politiche pubbliche si è ampiamente diffuso.
Alla scala urbana le amministrazioni locali hanno avuto accesso a una quota consistente di risorse, sono state indotte a misurarsi con regole e procedure inedite, hanno inaugurato e (forse) consolidato relazioni con interlocutori istituzionali comunitari e nazionali, hanno progettato e avviato trasformazioni rilevanti del tessuto fisico della città, sollecitato azioni di rigenerazione sociale e valorizzazione economica.
Rilevante è stata l’influenza europea che ha coinciso con la composita filiera di programmi e iniziative che hanno finanziano interventi su materie diverse: lotta all’esclusione sociale, lavoro, sviluppo locale, riqualificazione urbana. Rilevante è l’esperienza di Urban.
Nella prospettiva di una maggior efficacia dell’azione pubblica in un quadro di riduzione delle risorse e di evoluzione del ruolo del soggetto pubblico si è cercato di interpretare il richiamo al coinvolgimento nel disegno e nell’attuazione delle politiche di una pluralità di istituzioni e attori -pubblici e privati- e alla necessità di coinvolgere le società locali e i cittadini nelle scelte che li riguardano (è soprattutto il caso dei Contratti di Quartiere).
Ancora, in linea con il principio di sussidiarietà verticale, gli approcci integrati e partecipati hanno assegnato progressiva centralità al livello locale (in senso stretto), che ha teso inevitabilmente a diventare la scala privilegiata della progettazione e dell’implementazione di un ampio insieme di misure e interventi.
Tuttavia, a distanza di alcuni anni dall’avvio e dalla sperimentazione di questi strumenti, l’impressione è che la tensione verso l’innovazione sia oggi meno evidente. Nella fase attuale, a distanza di qualche anno dalla sperimentazione di questi strumenti in relazione al tema delle politiche della casa e della città è possibile riconoscere sia elementi di successo che, ed è quello che qui interessa, motivi di criticità.

Il ricorso a procedure di bando che mettono in competizione, per l’accesso alle risorse pubbliche, le amministrazioni pubbliche locali intenzionate ad avviare progetti, pur con qualche variazione sul tema, si è articolato lungo:
- una prima fase di definizione/costruzione/stesura
- un momento di presentazione/lancio
- un tempo di stesura dei progetti entro una scadenza prefissata
- una fase di valutazione/selezione
- la comunicazione dei progetti ammessi
- l’attuazione dei programmi.
E’ entro questa prospettiva che l’insieme articolato di politiche e i programmi variamente promossi dall’Unione europea e dal governo nazionale e dal livello regionale hanno:
a) assunto uno spiccato orientamento alla forma “progetto”
b) messo a punto dispositivi di allocazione delle risorse che sono centrati su una logica di competizione aperta tra i destinatari dei finanziamenti
c) indotto l’adozione di modelli d’azione e competenze orientate al risultato.
A partire da questi temi sembra ormai matura una riflessione attorno alle questioni e ai nodi problematici che l’uso estensivo del dispositivo del bando pone.
Tra gli assunti di partenza, il riconoscimento che i dispositivi non generano (solo) quello che vogliono produrre: ovvero che c’è uno spazio d’azione molto ampio in cui le pratiche producono un’ampia gamma di effetti diretti e indiretti. In questo senso, è un’ipotesi di partenza che il potenziale e le aspettative attribuito al dispositivo dei bandi stesso abbia più a che fare con la possibilità di innescare delle dinamiche che non con la direzione delle dinamiche stesse.
Le prime valutazioni sulle pratiche, consentono di mettere in evidenza una serie di criticità e di rischi, effetti perversi e derive che la formula concorsuale può implicare, soprattutto laddove la produzione di politiche si configura attraverso una sommatoria di bandi.

La logica dell’emergenza.
Il ritmo imposto dalle scadenze e il ricorso ripetuto al bando riproducono in modo sistematico una situazione di urgenza e di emergenza. Ciò solleva una serie di interrogativi che restano aperti:
- quali sono i margini reali che i bandi offrono per lo sviluppo di qualità e di nuova progettualità? Spesso il successo dei progetti di alcune amministrazioni è legato più che alla capacità di improvvisare, o comunque di rispondere entro tempi molto brevi alle domande espresse dai bandi, alla disponibilità di giacimenti progettuali pregressi, di volta in volta piegati ai vincoli che è necessario rispettare;
- quali gli spazi effettivi per tessere e costruire integrazione orizzontale? La qualità, l’efficacia, la solidità e l’innovazione di processi e progetti attivati via bando sono strettamente correlate alla definizione di forme di partenariato tra soggetti che, a vario titolo, possono attivamente contribuire a una migliore traduzione delle politiche della casa, in una fase in cui non può più essere il solo soggetto pubblico a occuparsene.

La dimensione simbolica.
In alcuni casi, una serie di elementi lasciano intravedere una natura per lo più simbolica e quasi rituale del ricorso al bando. Vincere e avere accesso alle risorse pubbliche rese disponibili da un ministero o da una amministrazione regionale costituisce un risultato ad alta visibilità pubblica e di merito per un governo locale. Scegliere e candidare un quartiere o un altro, per la realizzazione di nuove quote di edilizia pubblica o per la riqualificazione di quella esistente, ma degradata, diventa un gesto a forte impatto comunicativo rispetto a un’opinione pubblica sempre più sensibile ai temi dell’insicurezza, dell’incertezza e dell’assenza di politiche sociali rilevanti. Ma se la logica prevalente è questa, alcuni requisiti di sistema quali la coerenza degli interventi alla scala urbana, la capacità di intercettare davvero le situazioni più critiche, potrebbero scivolare in secondo piano, con qualche rischio per il futuro.

Difficoltà a integrare.
Bisogna tuttavia mettere in conto due limiti che possono ridurre le potenzialità trasformative dello strumento progetto, che attengono alla temporalità e all’estensione. Il primo limite consiste nel carattere intrinsecamente contingente e a termine dei progetti, che se da un lato incoraggia la sperimentazione e l’orientamento all’innovazione, dall’altro rischia di non consentire le condizioni per lavorare sui tempi lungi necessari ai processi di integrazione. Per riprendere la dicotomia di Jim March (1991), il progetto valorizza l’exploration ma non incoraggia l’exploitation delle innovazioni che essa è suscettibile di produrre.

Gli esiti del meccanismo "bando" nei programmi regionali.
La ricerca condotta sui programmi regionali permette di rilevare alcune differenze tra le formulazioni possibili dei bandi. Esistono cioè, all’interno delle esperienze considerate diversi tipi di bando. La variabile di maggiore interesse è costituita dalla tempistica del bando, dal ritmo che impone ai soggetti che intendono parteciparvi, dal grado maggiore o minore di re-iterazione delle proposte. Da questo deriva un secondo elemento utile a interpretare le implicazioni dello strumento bando rispetto alla maggiore o minore opportunità di interazione e/o negoziazione tra i soggetti coinvolti (chi emette il bando e chi concorre al bando).
Potrebbe essere definito bando “una tantum” ovvero del tipo “a lancio e chiusura”. Si tratta spesso di esperienze pilota, di risorse rese disponibili in un’unica occasione. È il caso dei contratti di quartiere. Sebbene l’esperienza sia stata replicata una seconda volta, i contratti di quartiere possono considerarsi un buon esempio di questo tipo di bandi. La domanda posta è complessa, ha l’ambizione di coniugare requisiti di carattere diverso in una logica di integrazione, scommette su dimensioni di carattere sperimentale: l’appello al carattere partecipato dei progetti, il partenariato tra soggetti e risorse miste, pubblico-private, la proposta di progetti capaci di intervenire in modo congiunto su criticità fisiche, sociali ed economiche dell’area obiettivo. Si tratta in sostanza di bandi che invitano all’innovazione. È prevista una dead line, successivamente non ci sono deroghe, né proroghe. Il margine di interazione tra banditore e partecipante può essere maggiore o minore a seconda dei casi, ma si gioca in genere nella fase di elaborazione del progetto, prima della data di scadenza del bando. Per incentivare il più possibile la sperimentazione di quei principi che si ritengono innovativi, il bando prevede un sistema articolato di attribuzione di punteggi per la valutazione. Si potrebbe dire che, fino ad ora, in Italia, questo tipo di bando è quello che ha sollecitato forme più interessanti e più dinamiche di competizione.
Questo tipo di bando è più centrato sulla definizione di requisiti di ingresso e sulla capacità di attivazione dei destinatari in situazioni di contingenza e in corrispondenza di maglie sufficientemente strette e comunque definite dalla Regione. In progressione, l’apertura più o meno esplicita del bando e della formula concorsuale a interazioni e a processi di negoziazione apre ad una progettualità che si muove piuttosto lungo le traiettorie di una valutazione più discrezionale ovvero a una verifica più sensibile agli elementi di prospettiva e di contesto delle proposte.
In questo senso, il programma Contratti di Quartiere II ha costituito un elemento di discontinuità significativo. Mentre nella formulazione dei Contratti di Quartiere I (al pari dell’esperienza dei Pru), la promozione, la valutazione e la regia dell’attuazione dei programmi erano interamente affidati al Ministero e dunque la relazione tra amministrazioni in gara e il soggetto erogatore era una relazione che si giocava “a distanza”, la seconda generazione di Contratti di Quartiere ha visto una forte riduzione delle distanze e una maggior intensità di interazioni. Tra gli esiti della gestione diretta del programma da parte di Regione vi è indubbiamente una assunzione di responsabilità e di attenzione maggiore da parte del soggetto erogatore rispetto alle formulazioni dei contenuti (che sono stati spesso oggetto di verifiche e di aggiustamenti in corso di elaborazione delle proposte).
La seconda generazione dei contratti ha visto una maggiore partecipazione delle amministrazioni regionali che hanno svolto e svolgono un ruolo rilevante sia nella definizione dei bandi, che presentano infatti differenze sensibili da un contesto regionale all’altro, sia nella valutazione dei progetti. La prima fase di selezione avviene a cura delle amministrazioni regionali che, in alcuni casi propongono e definiscono congiuntamente alle amministrazioni comunali in gara modifiche e riformulazioni dei programmi candidati ai finanziamenti. La seconda fase di selezione vede invece la partecipazione del livello di governo centrale. Questo modello di governance che coinvolge tre livelli di governo, ma in cui di fatto svolgono un ruolo determinante le amministrazioni comunali e quelle regionali, configura forme di sussidiarietà in parte diverse da quelle sperimentate nel corso della prima generazione di Contratti di quartiere. L’ipotesi è che l’autonomia locale nelle esperienze più recenti sia indebolita in relazione al ruolo di mediazione tra realtà locali ed ente erogatore che la regione ha progressivamente assunto. L’esito potrebbe consistere in un meccanismo di selezione meno concorsuale e più negoziato e un controllo del processo molto più vicino alle tradizionali logiche di spesa.
Il tema dell’integrazione è trattato diversamente rispetto al programma Urban. Anzitutto la dimensione di investimento più rilevante riguarda gli interventi sul patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica. È questo infatti l’obiettivo prioritario dei contratti di quartiere. La combinazione di azioni di natura diversa, capaci di agire oltre che sulla dimensione fisica, su quella sociale ed economica dei contesti di intervento, è intesa più come creazione di condizioni per l’integrazione futura di politiche che come costruzione preliminare di politiche già intrecciate.

Il soggetto regionale in questo senso è alla ricerca di formule organizzative che consentano una maggior presa e aderenza dei programmi e delle forme del finanziamento regionale ai diversi contesti locali (urbani ma anche politici e amministrativi) e va sperimentando un ruolo che si configura come di regia complessiva, laddove la sussidiarietà affida la definizione delle strategie e dei programmi d’azione ai livelli locali e Regione svolge rispetto alle amministrazioni comunali e/o ai soggetti destinatari delle politiche un ruolo che inizialmente è di informazione, attivazione e coinvolgimento e poi di accompagnamento e negoziazione nel disegno di una prospettiva di articolazione dei programmi d’azione. Certamente questo tipo di orientamento rappresenta il superamento di una visione centrata unicamente sulla definizione di requisiti/criteri, sulla indicazione di una scadenza/sbarramento a ridosso della quale operare valutazioni e selezioni che risultano fortemente condizionate da una contingenza composta di specifiche variabili politico amministrative.

Problemi e innovazioni "in potenza".
I programmi regionali considerati, pur presentando una forte centratura sulle amministrazioni locali, sottolineano tuttavia l’opportunità della stipula di accordi, convenzionamenti, concessioni, coinvolgimenti in forme varie di soggetti differenti.
Questo elemento attesta una presa di coscienza della necessità di integrare, valorizzare, intercettare risorse locali il più possibile diffuse per fare fronte alla questione abitativa, che viene definita in primo luogo come annosa questione di deficit di patrimonio edilizio pubblico da mettere a disposizione di una crescente domanda abitativa. La retorica che accompagna i bandi è protesa ad evidenziare la possibilità di una apertura ad una pluralità di soggetti pubblici e privati.
Tuttavia, un’analisi dell’attenzione e delle risposte che i bandi hanno avuto da parte di soggetti diversi dall’ente pubblico locale mette in luce una diffusa difficoltà al coinvolgimento di soggetti terzi; se qualche programma specifico, ad esempio il POR - Programma Nazionale 20 mila abitazioni in affitto, ha visto una consistente partecipazione delle cooperative, tuttavia nella pluralità dei bandi si nota una certa assenza sia del mondo cooperativo, che in maniera ancora più rilevante, dei soggetti privati e imprenditoriali.

Le sperimentazioni suscitate dalla formula dei bandi pubblici promossi intorno al tema abitativo hanno dato vita a nuovi ambiti di sperimentazione che meritano di essere meglio osservati e colti nella loro portata innovativa. Certamente, il trasferimento di competenze alle Regioni nel campo delle politiche abitative e più in generale una nuova centralità degli enti locali ha avviato processi di individuazione di nuovi luoghi entro i quali progettare e sperimentare politiche abitative, dando origine in taluni casi ad una riorganizzazione delle competenze e dei ruoli.
L’introduzione di nuovi strumenti, primo tra i quali l’erogazione di finanziamenti specifici via bandi pubblici, ha attivato risorse progettuali e stimolato nuove capacità progettuali.
D’altra parte, il quadro dei finanziamenti e delle politiche per la casa oggi sembra richiedere un maggior e più vario numero di interlocutori interessati e capaci di impegnarsi nei programmi di edilizia residenziale sociale. Alcuni segnali interessanti si possono rilevare, ma è solo un inizio. Sono emersi nuovi profili di attori a vario titolo impegnati nel campo delle politiche per la casa che hanno saputo intrecciare competenze peculiari con le nuove opportunità offerte dalle politiche (come nel caso della partecipazione, limitata ma significativa, ai bandi di cooperative, imprese, fondazioni) o suggerire percorsi significativi all’ente pubblico a partire da esperienze di lungo periodo maturate in autonomia.
Ancora, i programmi urbani complessi e i Contratti di Quartiere, in particolare, mettono in evidenza la necessità di sviluppare e rafforzare un approccio integrato alle questioni abitative. A fronte di un impianto organizzativo che vede il prevalere su queste materie dei settori strettamente tecnici (Urbanistica e Lavori Pubblici) è auspicato lo sviluppo di competenze e soluzioni organizzative in grado di considerare in misura ampia lo spettro di azioni che – dalla progettazione alla gestione – consentono di dare consistenza a politiche dell’abitare innovative.
In questa direzione, una delle funzioni delle azioni di accompagnamento svolte da Regione Lombardia consiste proprio nel supportare le amministrazioni comunali anche nella costruzione di relazioni e di interazioni e cooperazione tra diversi settori implicati nella costruzione dei programmi.

La percezione ricorrente suscitata dall’osservazione dei progetti presentati in occasione dei bandi è, infatti, la loro occasionalità ed il loro carattere estemporaneo e contingente.
Come collocare interventi limitati e settoriali all’interno di una politica abitativa di più ampio respiro, come fare in modo che gli interventi non restino isolati ed episodici ma siano momenti distinti di una strategia unitaria?
La recente definizione degli Accordi di Programma Quadro per la Casa sembra alludere proprio a questa direzione di lavoro: la necessità di svincolare l’azione amministrativa dalle scadenze rigide dei bandi pubblici, da un lato, prevedendo percorsi differenti e “accompagnati” per le singole amministrazioni locali, dall’altro.
Questa direzione di lavoro, se correttamente interpretata, potrebbe indurre gli enti locali a dotarsi di strategie, percorsi, strutture amministrative in parte dedicate al tema, utili a prefigurare percorsi a medio termine.

Alcune conclusioni.
La ricognizione condotta intorno ai bandi regionali ha messo in evidenza almeno tre questioni significative.
Indubbiamente, un primo elemento di interesse messo ben in evidenza dalle politiche regionali degli ultimi anni è la ormai acquisita necessità di mettere in moto meccanismi di accordo. La modalità dell’accordo variamente declinato suggerisce la necessità che intorno al tema abitativo siano portate a collaborare risorse ed energie molto diverse, competenze pubbliche, risorse private, capacità elaborate dal terzo settore, relazioni tra attori diversi. Naturalmente, non si tratta solo di affinare la capacità di accordi sempre meglio definiti, ma di attivare concretamente risorse e competenze differenti, suscitando interessi intorno alla posta in gioco e creando le condizioni favorevoli affinché soggetti sempre diversi entrino nel gioco. Al momento, come richiamato, i bandi hanno dimostrato una certa debolezza nell’allargare gli attori interessati ad entrare in un gioco cooperativo, soprattutto con riferimento ai privati, al mondo delle imprese e in parte anche al mondo cooperativo (fatta eccezione per alcuni programmi particolarmente favorevoli al mondo cooperativo).

Un secondo elemento riguarda la necessità di una più attenta sensibilità all’integrazione tra le azioni, che può essere interpretata come maggiore attenzione alla relazione tra programmi differenti, tra azioni nel campo abitativo rivolte ad una utenza diversa, ma anche come attenzione ad alcuni campi di sovrapposizione dei quali è ormai impossibile non tenere conto. L’esempio più evidente riguarda il legame stretto tra politiche abitative e politiche sociali, tra politiche per l’integrazione sociale e disagio abitativo. In questo ambito si intravedono peraltro gli spazi per azioni che siano più incisive nel promuovere il raccordo tra la dimensione progettuale di nuovi interventi residenziali o di riqualificazione del patrimonio esistente e la dimensione gestionale. In particolare, la dimensione gestionale è da intendersi come estesa a comprendere anche il sistema e il processo di assegnazione degli alloggi che primo tra tutti rappresenta un passaggio in cui la relazione con le politiche (e i servizi) sociali del governo locale può dare consistenza ad un sistema di welfare municipale sensibile alla dimensione territoriale dei problemi e delle risorse.

La panoramica offerta dai vari programmi regionali, infine, suggerisce l’utilità di attivare un mix di strumenti: che accanto alla modalità per bandi si affianchino altre modalità (a sportello, di programmazione, su candidatura) in grado di consentire continuità e coerenza alle politiche abitative.

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