La popolazione di Singapore è di 4,01 milioni di persone, costituita nel 13,9% da Malesi, nel 76,8% da Cinesi, nel 7,9% da Indiani e nell’ 1,4% da altre etnie.
L'83% degli abitanti abita nell'edilizia sociale, gestita dal Comitato per l'alloggio e lo sviluppo (HDB): particolare non irrilevante, le case appartengono -di norma- a chi ci abita. Almeno per chi è riuscito a comprarle, grazie anche all'aiuto dello Stato.
Ma la cosa che più mi ha colpito è come Singapore abbia perseguito l'integrazione etnica attraverso le politiche abitative. In ogni edificio, la società locale dev'essere rappresentata nella sua varietà: 73% di cinesi, 14% di malesi, 8% di indiani. E il sistema delle quote è molto rigoroso: se in un edificio il 14% degli inquilini è malese, non possono andarci a vivere altri malesi. Che, quindi, si devono trovare un altro edificio.
La regola, con tutta evidenza, non è il massimo del liberalismo. Però, probabilmente, è molto efficace: si evitano i ghetti per etnia e si abituano i cittadini a vivere in presenza di altre comunità.
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