Il post di Roby che mi ha già dato modo di ragionare sulle modalità di trattare il paesaggio dell'olivicoltura tradizionale suggerisce molto di più. A partire dal necessario aggiornamento del concetto di Paesaggio. Lo era già al momento della Conferenza nazionale: e il Ministro dell'epoca era la Melandri. Lo è ancor oggi, dato che Roby lamenta ancora la forte presenza dello "spirito contemplativo" in chi si occupa (o si dovrebbe occupare) del paesaggio contemporaneo.
Pur volendo accettare -a soli scopi speculativi, perché già qui dico che non sono molto in accordo- che il paesaggio vada interpretato quale "bellezza naturale", mi sembra che anche da questo ristretto punto di vista qualcosa vada aggiornato. E sì, perché quella concezione del paesaggio trova il suo sottostante nella disciplina pittorica del genere paesaggistico che si va consolidando quale soggetto autonomo nel '600.
E oggi siamo ancora lì? Il modello di cultura presenta nel giudizio critico che si dà oggi del paesaggio in senso estetico è ancora quello? E dato che Roby nel suo post inserisce quale apparto iconografico l'uliveto di Van Gogh, provo a seguirlo... andando un po' oltre.
Quali possono essere oggi i valori estetici, da affiancare a quelli consolidati che sono ormai diventati degli stereotipi, che possono esserci utili per guardare meglio alcuni pezzi della città contemporanea? Segnatamente quella diffusa, caratterizzata dall'ibridazione tra caratteri urbani e agricoli, dalla giustapposizione di materiali urbani diversi, dall'incongruo dovuto alla mescolanza di un po' di tutto. Cioè tutte quelle parti urbane, e sono proprio tante, che senza qualche modello rinnovato con cui guardare, ci possono apparire soltanto da rifiutare integralmente. E da questo atteggiamento nostalgico e di recriminazione ne consegue l'impossibilità produrre atteggiamenti progettuali idonei a guidare quella vasta parte della città contemporanea verso assetti più maturi.
A me sembra che qualcosa da dire lo possano avere quei valori figurativi che hanno fatto dell'iconoclastia e della violenza figurativa il terreno di innovazione rispetto ai valori sedimentati dalla cultura preindustriale. Mi riferisco a Schwitters o Rauschemberg. Ma anche a Burri o Prampolini. E non vado oltre perché in materia sono ancor più dilettante che nel resto.
In sintesi: si può pensare a un progetto del paesaggio contemporaneo (anche in funzione della sua conservazione) non con la sua imbalsamazione. Anche perché il paesaggio ridotto a oggetto di contemplazione, e che quindi prescinde dalle forze economico-politiche che lo percorrono, si espone alla debolezza dei soli strumenti vincolistici.
1 commento:
Immagini molto interessanti, grazie. Paolo Boscolo.
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