giovedì 12 gennaio 2012

della conservazione del paesaggio olivicolo

Roby (qui), a partire da un’intervista a Pietro Porcinai, riporta questo passaggio"La terra modificata dall'uomo con il lavoro dei campi deve essere tutelata come bellezza naturale." che diventa il pretesto per rimanene un po' incredulo di fronte alla cultura sottostante alla tutela delle Bellezze Naturali che, ancor oggi, si fonda largamente sullo spirito contemplativo.


Prima riflessione. Roby ha ragione: il paesaggio non è qualcosa di immutabile, è il frutto dell’economia di ogni epoca. Anzi si può dire che la “tradizione” altro non è se non un’innovazione che ha avuto successo nel passato. E, per il paesaggio ligure dello spazio rurale e/o perturbano, la sfida è quella della salvaguardia del paesaggio dell'olivicoltura tradizionale. Perché fino a oggi, invece che coltivare olivi, era più conveniente “coltivare case”.

Seconda riflessione. Cosa vuol dire quindi conservare quel paesaggio? Si può davvero pensare che degli imprenditori (perché gli agricoltori, alla fin fine, sono proprio quella roba lì) diventino niente più che custodi mal remunerati di qualcosa che non ha più nessuna ragione microeconomica di esistere?

Terza riflessione. Rispetto a questa funzione di “guardiania” del paesaggio, la PAC prevede quella sorta di indennizzo che possono essere considerati gli “Aiuti allo sviluppo”, cioè quella parte considerevole degli aiuti destinata a finanziare la produzione di public goods, ovvero di quei beni che secondo la teoria economica non vengono remunerati adeguatamente dal mercato ma dai quali la collettività trarrebbero comunque un beneficio: oltre   alla tutela del paesaggio rurale, anche la salvaguardia ambientale, la lotta ai cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità, la sopravvivenza della piccola impresa agricola.

Quarta riflessione. Anche la strada degli aiuti allo sviluppo per la produzione di quel public good che è la conservazione del paesaggio olivicolo tradizionale, vista la dimensione (in ettari) del problema, rischia di avere dei costi insostenibili… per i contribuenti che provvedono a finanziare la PAC.

Visto che il lavoro nei campi è direttamente funzionale alla produzione di un paesaggio, con ogni probabilità anche la sua conservazione dovrebbe passare dal lavoro nei campi. E quindi si dovrebbero riconsiderare tutte quelle discipline o imposizioni volte a ridurre la libertà di fare le scelte colturali alla singola impresa agricola. Meglio di me, argomenta qui o qui l prof. Scaramuzzi (Accademia dei Gorgofili).



Certo, il paesaggio agricolo potrebbe alla fine anche assumere aspetti diverso rispetto alle forme dell’olivicoltura tradizionale… ma almeno ogni singolo campo sarebbe rigoglioso e curato. E, comunque, l’alternativa del “coltivare case” non è certo meno distorcente i caratteri del paesaggio dell’olivicoltura tradizionale.

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