martedì 28 ottobre 2008

alcuni concetti per rendere la "città amica"

Recentemente mi sono occupato, un pò di striscio per la verità, di politiche per il superamento delle barriere architettoniche e localizzative in ambito pubblico.
Una volta guardate un pò in giro le nostre città e le relative strade, valutate un pò le norme del settore, la prima cosa da fare mi sembra essere aggiornare un pò i termini del problema. In altri termini, ridefinire i concetti base.

Persona con disabilità
Per la maggior parte dei progettisti il superamento delle barriere architettoniche è semplicemente un obbligo normativo; gli interventi che ne conseguono risultano condizionati dallo stereotipo dell’individuo disabile visto unicamente come una persona su sedia a ruote.
Il concetto di persona con disabilità è, invece, molto più ampio e comprende chiunque, in maniera permanente o temporanea, si trovi ad avere delle difficoltà nei movimenti (cardiopatici, donne in gravidanza, persone con passeggino, individui convalescenti o con un’ingessatura agli arti, obesi, anziani, bambini, ecc.) o nelle percezioni sensoriali (ciechi e ipovedenti, sordi e ipoacusici), nonché, le persone con difficoltà cognitive o psicologiche.
Di recente, con la “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” (ICF), elaborata nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il concetto di disabilità è stato esteso dal modello medico a quello bio-psico-sociale, richiamando l’attenzione sulle possibilità di partecipazione delle persone, negate o favorite dalle condizioni ambientali.
L’attenzione viene così spostata dalla disabilità della persona all’ambiente, che può presentare delle barriere, determinando così l’eventuale handicap, o, viceversa, dei facilitatori ambientali che annullano le limitazioni e favoriscono la piena partecipazione sociale.

http://www.flickr.com/photos/marcoprete/2501916446/


Barriera architettonica
Anche il termine “barriera architettonica” viene spesso frainteso e interpretato nel senso limitativo e semplicistico dell’ostacolo fisico. Se questo era effettivamente il suo significato nei primi riferimenti normativi, con l’emanazione della legge 13/89 e del suo regolamento di attuazione D.M. 236/89, il significato del termine è stato notevolmente ampliato giungendo a definire le “barriere architettoniche” come:
a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;
c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
Il concetto di barriera architettonica è, quindi, molto più esteso e articolato di quanto può apparire a prima vista e comprende elementi della più svariata natura, che possono essere causa di limitazioni percettive, oltre che fisiche, o particolari conformazioni degli oggetti e dei luoghi che possono risultare fonte di disorientamento, di affaticamento, di disagio o di pericolo.
A titolo puramente esemplificativo, sono quindi barriere architettoniche non solo i gradini o i passaggi troppo angusti, ma anche i percorsi con pavimentazione sdrucciolevole, irregolare o sconnessa, le scale prive di corrimano, le rampe con forte pendenza o troppo lunghe, i luoghi d’attesa privi di sistemi di seduta o di protezione dagli agenti atmosferici se all’aperto, i terminali degli impianti posizionati troppo in alto o troppo in basso, la mancanza di indicazioni che favoriscano l’orientamento o l’individuazione delle fonti di pericolo, ecc.




http://www.flickr.com/photos/mariobertocchi/2862876717/


Accessibilità urbana
Il concetto di accessibilità, introdotto a livello normativo nell’ambito delle strutture edilizie e delle immediate pertinenze, è stato meglio precisato nel D.P.R. 503/96 relativamente agli spazi urbani. In ogni caso, però, relativamente al concetto di “accessibilità urbana”, al momento non si ha una definizione dettagliata o comunque univoca.
Per accessibilità urbana si intende l’insieme delle caratteristiche spaziali, distributive e organizzativo-gestionali dell’ambiente costruito, che siano in grado di consentire la fruizione agevole, in condizioni di adeguata sicurezza ed autonomia, dei luoghi e delle attrezzature della città, anche da parte delle persone con ridotte o impedite capacità motorie, sensoriali o psicocognitive.
Rispetto a tale definizione, gli obiettivi dell’accessibilità urbana possono essere i seguenti:
· elevare il comfort dello spazio urbano per tutti i cittadini eliminando o riducendo gli ostacoli, le barriere architettoniche, le fonti di pericolo e le situazioni di affaticamento o di disagio; queste ultime possono essere ad esempio, nell'ambito della città, il percorrere a piedi distanze eccessive, ovvero dover permanere in posizione eretta un certo periodo di tempo alle fermate dell'autobus;
· aumentare la qualità della vita degli spazi urbani, intesa come rapporto tra le finalità che si intendono perseguire e la quantità delle energie psico-fisiche che si rendono necessarie per raggiungerle;
· rendere più tangibile il concetto di uguaglianza intesa come raggiungimento di pari opportunità di scelte, indipendentemente dalle condizioni specifiche di svantaggio delle singole persone;
· aumentare le possibilità di opzioni individuali mediante il potenziamento dell'autonomia personale;
· tendere ad una più corretta ed intelligente utilizzazione delle energie psico-fisiche dell'uomo, inteso anche come risorsa.



http://www.flickr.com/photos/max78/148094782/

Utenza ampliata
Numerose esperienze e verifiche di atteggiamenti comuni hanno portato al superamento del concetto di spazio o oggetto appositamente pensato per persone con disabilità. Si è infatti constatato che ambienti e attrezzature pensati solo per una utenza disabile comportano un atteggiamento negativo, se non di rifiuto, da parte della popolazione.
Un ambiente è quindi da ritenere accessibile se qualsiasi persona -anche con ridotte o impedite capacità motorie, sensoriali o psico-cognitive- può accedervi e muoversi in sicurezza e autonomia. Rendere un ambiente “accessibile” vuol dire, pertanto, renderlo sicuro, confortevole e qualitativamente migliore per tutti i potenziali utilizzatori.
L’accessibilità, alla scala edilizia come a quella urbana, va quindi intesa in modo ampio come l’insieme delle caratteristiche spaziali, distributive ed organizzativo-gestionali in grado di assicurare una reale fruizione dei luoghi e delle attrezzature da parte di chiunque.
Questo approccio è conosciuto come “Design for all” o “Universal Design”, ossia la progettazione di spazi, ambienti e oggetti utilizzabili da un ampio numero di persone a prescindere dalla loro età e capacità psicofisica.
Da qui il concetto di “Utenza Ampliata” che cerca di considerare le differenti caratteristiche individuali, dal bambino all’anziano, includendo tra queste anche la molteplicità delle condizioni di disabilità, al fine di trovare soluzioni inclusive valide per tutti e non “dedicate” esclusivamente agli “handicappati”.


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