mercoledì 27 febbraio 2008

auditorium Paganini: l'arte del "levare"

Ho recentemente visitato l'auditorium paganini di Parma disegnato da Renzo Piano.
E' l'occasione per iniziare a fare qualche riflessione.


Dal punto di vista tipologico, nell'ambito delle sale da musica, l’auditorium di Parma è una conferma e una variante della cosiddetta tipologia della boîte à chassures, poco frequente in Italia ma abbastanza consolidata nella tradizione musicale del resto d’Europa e del mondo: dall’ottocentesca Neues Gewandhaus di Lipsia alla Boston Symphony Hall di McKim, Mead and White negli USA.


Dal punto di vista delle modalità di relazione con la preesistente fabbrica dell'Eridania, Piano ha colto l’impatto dei grossi e spessi muri perimetrali longitudinali del fabbricato principale: lunghi circa ottanta metri, vengono presi quali icone del vecchio (e del nuovo) edificio.

L'atteggiamento di Piano è quello di "lasciare" ciò che ha trovato e non di "ricreare" sulla base di ciò che è rimasto.

Il progetto è, in questo senso, veramente "minimo": ai due lunghi muri perimetrali vengono semplicemente giustapposte due pareti trasversali interamente vetrate che determinano un cannocchiale visivo che si stempera nel giardino esterno.
Si tratta proprio di un progetto che riporta le strutture all’essenziale lavorando prevalentemente per sottrazione: togliere è prorio la scommessa, il gioco del progetto.
In questo gioco "a togliere", è evidente che Piano declina operativamente l'idea di leggerezza che, quasi automaticamente, lo porta a trovare un altro elemento del linguaggio poetico: la trasparenza.

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