1 - Le finalità del piano: la determinazione dei livelli minimi essenziali e l’individuazione del target sociale
L’articolo11 del decreto legge 112, convertito in legge 133/08, al comma 1 si propone il perseguimento dei “livelli minimi essenziali di (soddisfacimento del) fabbisogno abitativo” provvedendo, a norma del successivo comma 2, all’incremento del patrimonio immobiliare a uso residenziale attraverso l’offerta di alloggi in affitto e in proprietà.
Il Piano quindi, in coerenza con la finalità enunciata nel comma 1 della legge 133/08, è tenuto alla definizione operativa dei livelli di fabbisogno, cioè dei livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato è tenuto ad assicurare su tutto il territorio nazionale.
Lo schema di Piano, però, non contiene alcun elemento di questo genere, in quanto i dispositivi messi in atto dal Piano stesso attengono unicamente la sfera procedimentale.
Il ruolo che la legge istitutiva del Piano Casa -coerentemente con la giurisprudenza costituzionale riferita all’applicazione dell’articolo 117, comma 2, lett. m) della Costituzione- era il conferimento della mission di provvedere alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto all’abitazione da garantire su tutto il territorio nazionale. Almeno nell’ambito circoscritto dell’implementazione del Piano Casa stesso.
In questo senso, il Piano ha il compito di individuare le prestazioni e il relativo livello di erogazione che il Governo ritiene essenziale alla realizzazione del diritto all’abitazione da rendere esigibile su tutto il territorio nazionale e che è posto quale fondamento del Piano.
Tra le possibili definizioni di livello essenziale, lo Stato, almeno in altri settori dell’intervento pubblico, sembra optare per un approccio che intende l’individuazione dei livelli essenziali quali “diritti soggettivi esigibili”. In tale approccio, la determinazione delle prestazioni e del loro livello di erogazione non è funzione solo di una dimensione di natura etica ma è altresì rimandata alle reali disponibilità finanziarie, assumendo quindi un concetto di “esigibilità sostenibile”.
Di conseguenza, il Piano in parola deve prevedere uno specifico dispositivo normativo idoneo alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che dovrebbe avere le seguenti caratteristiche generali:
a) l’intervento normativo statale in materia di determinazione dei livelli essenziali di servizio abitativo deve individuare “prestazioni” e non sistemi organizzativi, che rappresentano il mezzo con cui operare per raggiungere il fine della garanzia della prestazione. L’individuazione delle modalità organizzative, degli standard da adottare per raggiungere l’obiettivo della garanzia delle prestazioni, restano viceversa in capo alla responsabilità del sistema Regione/Autonomie Locali, ciascuno per la propria competenza e livello di responsabilità, all'interno di un sistema di governance e di leale collaborazione istituzionale;
b) il tema della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni va affrontato unitamente a quello delle risorse finanziarie necessarie a garantirli. L’individuazione dei livelli essenziali da parte dello Stato non può infatti prescindere dall’assunzione di responsabilità sul loro finanziamento che, nell’ambito del Piano in commento, è rappresentato dal contenuto dell’articolo 2;
L’articolo11 del decreto legge 112, convertito in legge 133/08, al comma 1 si propone il perseguimento dei “livelli minimi essenziali di (soddisfacimento del) fabbisogno abitativo” provvedendo, a norma del successivo comma 2, all’incremento del patrimonio immobiliare a uso residenziale attraverso l’offerta di alloggi in affitto e in proprietà.
Il Piano quindi, in coerenza con la finalità enunciata nel comma 1 della legge 133/08, è tenuto alla definizione operativa dei livelli di fabbisogno, cioè dei livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato è tenuto ad assicurare su tutto il territorio nazionale.
Lo schema di Piano, però, non contiene alcun elemento di questo genere, in quanto i dispositivi messi in atto dal Piano stesso attengono unicamente la sfera procedimentale.
Il ruolo che la legge istitutiva del Piano Casa -coerentemente con la giurisprudenza costituzionale riferita all’applicazione dell’articolo 117, comma 2, lett. m) della Costituzione- era il conferimento della mission di provvedere alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto all’abitazione da garantire su tutto il territorio nazionale. Almeno nell’ambito circoscritto dell’implementazione del Piano Casa stesso.
In questo senso, il Piano ha il compito di individuare le prestazioni e il relativo livello di erogazione che il Governo ritiene essenziale alla realizzazione del diritto all’abitazione da rendere esigibile su tutto il territorio nazionale e che è posto quale fondamento del Piano.
Tra le possibili definizioni di livello essenziale, lo Stato, almeno in altri settori dell’intervento pubblico, sembra optare per un approccio che intende l’individuazione dei livelli essenziali quali “diritti soggettivi esigibili”. In tale approccio, la determinazione delle prestazioni e del loro livello di erogazione non è funzione solo di una dimensione di natura etica ma è altresì rimandata alle reali disponibilità finanziarie, assumendo quindi un concetto di “esigibilità sostenibile”.
Di conseguenza, il Piano in parola deve prevedere uno specifico dispositivo normativo idoneo alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che dovrebbe avere le seguenti caratteristiche generali:
a) l’intervento normativo statale in materia di determinazione dei livelli essenziali di servizio abitativo deve individuare “prestazioni” e non sistemi organizzativi, che rappresentano il mezzo con cui operare per raggiungere il fine della garanzia della prestazione. L’individuazione delle modalità organizzative, degli standard da adottare per raggiungere l’obiettivo della garanzia delle prestazioni, restano viceversa in capo alla responsabilità del sistema Regione/Autonomie Locali, ciascuno per la propria competenza e livello di responsabilità, all'interno di un sistema di governance e di leale collaborazione istituzionale;
b) il tema della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni va affrontato unitamente a quello delle risorse finanziarie necessarie a garantirli. L’individuazione dei livelli essenziali da parte dello Stato non può infatti prescindere dall’assunzione di responsabilità sul loro finanziamento che, nell’ambito del Piano in commento, è rappresentato dal contenuto dell’articolo 2;
c) il forte e ineludibile legame tra determinazione delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali da garantire in tutto il territorio nazionale e risorse economiche necessarie a finanziarle, con la necessità che vengano garantite a tutti coloro che rientrano nel target del bisogno/prestazione, fa sì che si debba necessariamente pensare a un sistema di definizione dei livelli graduale e progressivo, accompagnato da una costante azione di monitoraggio e verifica dell’impatto sull’intero sistema sociale, sia in termini finanziari sia organizzativi.
Le più gravi carenze del Piano per quanto attiene la definizione dei livelli essenziali attengono proprio il profilo dell’individuazione della condizione economica delle categorie svantaggiate individuate quali destinatarie degli alloggi. Sul punto, infatti, lo schema di decreto non affronta il problema del rendere operativa la sommaria elencazione di cui all’articolo 11, comma 2 della legge 133/08 che, a suo merito, ha avuto la capacità di cogliere con qualche efficacia la pluralità di bisogni che attualmente frammenta il fabbisogno abitativo. Lo svantaggio sociale resta connotato in modo generico e non viene neppure demandato alle regioni una più puntuale individuazione dei beneficiari degli interventi nel proprio territorio.
Tale vaghezza può essere anche interpretata come funzionale alle finalità implicite del Piano, il cui target sociale è individuabile, di fatto, in massima parte da un’area sociale costituita da soggetti che, seppure esposti al rischio abitativo, hanno comunque posizioni di vantaggio economico superiori a buona parte delle famiglie che popolano le graduatorie dell’Edilizia Residenziale Pubblica.
Nell’area sociale dell’housing individuato dal Piano si situano, infatti, soggetti in grado di sopportare prezzi di vendita o canoni di locazione calmierati o moderati ma, in ogni caso, sempre e comunque capaci di coprire i servizi del debito e gli oneri connessi alla realizzazione degli interventi attraverso il ricorso alla finanza di progetto. In questo senso, con la centralità assunta dal sistema dei Fondi immobiliari e dalle tecniche di promozione finanziaria che richiamano comunque un livello dei canoni almeno in grado di pagare il servizio del debito, il Piano sembra organizzare uno spostamento dell’area sociale di riferimento per le politiche pubbliche nel comparto dell’edilizia residenziale individuando un profilo sociale dei beneficiari riconducibile alla cosiddetta vulnerabilità abitativa o al disagio diffuso orientando la priorità di spesa e la missione del servizio in funzione delle esigenze di autofinanziamento degli interventi e della ricerca del minimo di redditività sostenibile.
Il punto di discussione è se, a prescindere da qualsivoglia orientamento precostituito pro o contro la tradizionale offerta di ERP, tale nuovo corso possa davvero nell’odierna congiuntura (sociale ed economica) garantire flussi d’offerta accessibile in quantità e proporzioni adeguate rispetto alle esigenze di efficacia sociale degli interventi che fanno capo al settore delle politiche abitative e, soprattutto, alla struttura attuale e all’evoluzione della domanda e alla specifiche caratteristiche del disagio abitativo. E sul punto è agevole rilevare che un’impostazione di questo genere trova ben pochi elementi di legittimazione nella struttura del bisogno di casa riscontrabile nelle diverse regioni italiane: in assenza di diverse determinazioni, l’offerta abitativa suscettibile di essere prodotta dal Piano andrebbe a beneficiare segmenti di società che, pur in disagio nell’accesso alle abitazioni, non rappresentano la parte di fabbisogno con maggiori criticità che, viceversa, si troverebbe sguarnita di qualsivoglia intervento pubblico.
Al fine di impostare una sostenibile identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni in ottemperanza al disposto del comma 1 dell’articolo 11 della legge 133/08 e sulla base delle categorie sociali di cui alle lettere da a) a f) del comma 2 dello stesso articolo, sembra opportuno procedere al raggruppamento dei beneficiari potenziali degli interventi promossi dal Piano Casa in almeno due categorie generali, in ragione della diversa intensità della prestazione assistenziale da mettere in capo allo Stato nelle sue varie articolazioni:
a) area della povertà o della “non abbienza” per analogia con le tradizionali figure dell’edilizia sovvenzionata, riferita agli individui o ai nuclei familiari che, in assenza della fornitura di alloggi sociali, non sono in grado altrimenti di accedere all’abitazione primaria. A quest’area potrebbero far capo le fattispecie di cui alle lettere a) e c) del più volte citato comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08;
b) area della vulnerabilità, riferita invece agli individui o ai nuclei familiari che necessitano di agevolazioni pubbliche al fine di consentire l’accesso all’abitazione primaria. A quest’area, invece, potrebbero far capo le fattispecie di cui alle lettere b), d), e) e g) del più volte citato comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08.
Per quanto riguarda la qualificazione dei destinatari del Piano Casa relativamente all’area della povertà o della “non abbienza” e in funzione dei quali l’enucleazione del livello essenziale determina un diritto soggettivo all’abitazione effettivamente esigibile, in linea di prima approssimazione si ritiene opportuno assumere i requisiti individuati per la “carta acquisti” (la cosiddetta “social card”) (cfr. articolo 5 del decreto del Ministro dell’Economia del 16.09.2008), con la sola modifica riferita al non possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella stessa regione di residenza.
Per quanto attiene, invece, la determinazione della caratteristiche soggettive dell’area della vulnerabilità, potrà costituire la base dell’architettura normativa il disposto di cui all’articolo 1 della legge 9/07, con le dovute modifiche e integrazioni in ragione delle peculiarità delle fattispecie considerate dal Piano Casa (ad es. limiti di età per la giovane coppia).
2 - Gli obiettivi del Piano
Anche sulla scorta di quanto appena argomentato, il Piano di cui allo schema di decreto in commento risulta particolarmente lacunoso sul fronte della predeterminazione degli obiettivi di riferimento del Piano stesso.
Il disposto di cui al comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08, tale da identificare l’incremento del patrimonio immobiliare a uso abitativo quale obiettivo generale del Piano, risulta infatti un po’ troppo generale. Soprattutto se si considera che la dichiarazione della carenza di abitazioni tale da legittimare un piano nazionale straordinario avviene al termine di uno dei più forti cicli di produzione residenziale in termini assoluti mai vissuti dall’Italia: basti considerare che dal 2004 al 2007 la produzione di nuovi alloggi per ogni anno è stata superiore alle 300 mila unità, cioè un livello di produzione che non si raggiungeva dai lontani anni ’70.
Al fine di conferire un orizzonte di senso al Piano in qualche modo coerente con le finalità dell’intervento pubblico nel settore abitativo, sembra opportuno, se non necessario, che il Piano stesso provveda a specificare l’obiettivo generale sopra ricordato nel modo seguente:
a) aumentare lo stock edilizio in locazione complessivamente disponibile e la sua articolazione interna, anche al fine di agevolare la mobilità delle famiglie che attualmente sono assegnatarie di alloggi di edilizia residenziale pubblica nonché di dare risposta all’esigenza di mobilità da lavoro o da studio sul territorio nazionale;
b) incrementare l’offerta in affitto a costi contenuti nonché a canoni sociali.
3 - Il riparto delle risorse finanziarie
A norma dell’articolo 11, comma 3 della legge 133/08, il Piano dovrebbe essere articolato sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali.
Lo schema di decreto ministeriale contenete il Piano, però, non presenta alcuna disposizione in merito alle modalità di ricognizione dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali. E, al contempo, non sono presenti criteri che consentano di articolare lo stesso Piano –e i relativi interventi attuativi- verso le realtà territoriali che presentano le maggiori criticità del fabbisogno abitativo. Di conseguenza, gli esiti del Piano non risultano essere in nessun modo prevedibili ex ante ma, al più, soltanto una volta che i Programmi attuativi del Piano stesso sono stati approvati.
E’ necessario, quindi, che il Piano preveda tra i suoi contenuti normativi le modalità di ripartizione della dotazione finanziaria di cui all’articolo 2, comma 2, lett. b) e c) sulla base di indicatori riferiti al fabbisogno abittaivo.
Sul punto, le modalità annualmente utilizzate per la ripartizione di cui all’art. 11, comma 5 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, come sostituito dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 13 settembre 2004, n. 240, convertito dalla legge 12 novembre 2004, n. 269 possono costituire un valido punto di partenza. Con i dovuti correttivi, sia alla luce dell’evoluzione della normativa relativa all’intervento pubblico nel settore abitativo sia in ragione delle finalità del Piano in parola.
In linea di prima approssimazione, la ripartizione delle disponibilità finanziarie potrà essere effettuata sulla base dei seguenti parametri e con riferimento all’incidenza percentuale relativa risultante:
a) indicatori relativi alla struttura socio-economica
· popolazione, di ciascuna regione o provincia autonoma, ricadente nei comuni di cui all’articolo 1, comma 1 della legge 9/07 in rapporto alla popolazione complessiva ricadente negli stessi comuni a livello nazionale (peso 10%);
· incidenza del numero di alloggi occupati in affitto da residenti sul totale della famiglie presenti in ciascuna regione o provincia autonoma rispetto al valore medio nazionale (ai fini della determinazione del coefficiente di riparto il valore è assunto in maniera inversamente proporzionale) (peso 25%)
· prodotto interno lordo (PIL) pro-capite di ciascuna regione rispetto al valore medio nazionale (ai fini della determinazione del coefficiente di riparto il valore è assunto in maniera inversamente proporzionale) (peso 10%);
· media del valore del fabbisogno regionale calcolato con riferimento all’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 7 giugno 1999, concernente i requisiti minimi dei conduttori per beneficiari dei contributi integrativi a valere sulle risorse assegnate al Fondo nazionale di sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione, e desunto dai dati comunicati dalle regioni e province autonome con riferimento ai riparti delle ultime tre annualità (peso 25%);
b) indicatori relativi alle tipologie di destinatari di cui all’articolo 11, comma 2 della legge 133/08:
· ultrasessantacinquenni presenti in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%);
· extracomunitari presenti in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%);
· popolazione residente di età inferiore a 35 anni in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%)
4 - La settorialità delle politiche abitative: l’articolazione delle linee di intervento
Il comma 3, lett.e) dell’articolo 11 della legge 133/08, come ulteriormente specificato dal successivo comma 4, introduce una nuova tipologia di strumento attuativo: il Programma Integrato di Promozione di Edilizia Residenziale (anche sociale) e di Riqualificazione Urbana (PIPERRU).
Lo schema di decreto recante “Piano nazionale di edilizia abitativa” identifica all’articolo 1, comma 1, lett. e) tale nuovo strumento quale autonoma “linea di intervento” e sembra interpretare lo strumento quale nuova tipologia di programma urbano complesso, cioè il successore del PRU per alloggi a canone sostenibile.
La specificità dei PIPERRU rispetto alle altre linee di intervento è ulteriormente accentuata dal contenuto dell’articolo 3 dello schema di decreto. Se gli interventi di cui alle lettere b), c), d) ed f) dell’articolo 1 del Piano sono interventi strettamente appartenenti al campo delle politiche abitative in quanto interventi settoriali, i PIPERRU identificano degli interventi misti, tali da integrare gli interventi settoriali delle politiche abitative con altri interventi che perseguono obiettivi di riqualificazione urbana.
Sul punto, è opportuno rilevare come lo schema di decreto evidenzi ulteriormente il problema che viene dal combinarsi di elementi del nuovo paradigma delle politiche integrate con la tradizione delle politiche abitative sociali: il Piano Casa alimenta ancora la convinzione del carattere “urbano” delle politiche abitative tralasciando gli interrogativi su quale contributo le politiche urbane e di riqualificazione urbana possono dare al trattamento della povertà abitativa.
Naturalmente vi sono delle buone ragioni per orientare le politiche urbane verso la riqualificazione urbana: ma ciò non significa che si possano attribuire a queste politiche valenze abitative che, con ogni probabilità visti gli esiti pregressi, non possono avere. La questione abitativa in larga misura mantiene una sua specificità come questione sociale, indipendente da quella urbana. Anzi, la cosiddetta “urbanizzazione” della questione casa rischia di essere particolarmente inadeguata per le componenti più propriamente sociali del fabbisogno abitativo.
In effetti la resa sociale delle varie tipologie di programmi di riqualificazione urbana proposta negli ultimi lustri è stata finora abbastanza modesta.
Quanto a programmi come i Contratti di Quartiere conviene forse valutarne la loro natura di strumenti idonei ad affrontare specifiche questioni di “sviluppo sociale” urbano: oltre e più che come politiche sociali abitative. anche per questi programmi del tutto peculiari, il contributo dato all’ampliamento dell’offerta abitativa sociale è stato generalmente modesto.
Di conseguenza, sembra opportuno che il Piano in parola rinunci a introdurre un nuovo strumento tale da affrontare contestualmente il problema dell’incremento del patrimonio abitativo sociale e la riqualificazione di parti urbane. Dato che la posta in gioco è la casa, cioè una posta in gioco rilevante e socialmente sensibile, la declinazione operativa del Programma Integrato di promozione di edilizia residenziale anche sociale dovrebbe riscoprire un nuovo approccio di tipo settoriale.
Il Programma Integrato potrebbe essere interpretato come uno strumento di coordinamento dei vari interventi volti a incrementare, in ciascun territorio regionale, il patrimonio di edilizia residenziale in risposta al fabbisogno specifico effettivamente rilevato e/o stimato per ciascuna delle diverse tipologie di offerta sociale di casa.
In altri termini, il Programma Integrato andrebbe ad assumere il compito di tenere insieme in un unico quadro di intervento a livello regionale, un insieme di progetti e azioni differenti sia per localizzazione sia per target di domanda.
Di conseguenza, l’Accordo di Programma di cui all’articolo 4 dello schema di decreto sarebbe suscettibile di introdurre nel settore delle politiche abitative uno strumento negoziale di governo delle politiche regionalmente definite tale da definire, in concerto tra Stato, Regioni ed Enti territoriali, gli obiettivi da conseguire e il programma degli interventi di interesse comune da realizzare.
In questo senso, il Piano sarebbe articolato in due distinte “linee di intervento”:
a) il sistema integrato dei fondi immobiliari, già previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera a) dello schema di decreto, a forte regia statale;
b) i programmi integrati già previsti alla lettera e) che, viceversa, sarebbero finalizzati attraverso la concertazione tra tutti i livelli di governo.
Le altre linee di intervento previste dall’articolo 1 dello schema di decreto in commento, invece, andrebbero a costituire le “tipologie di intervento”.
Alla luce di questa articolazione, i Programmi Integrati saranno costituiti dalla diversa combinazione, in ragione dei fabbisogni regionalmente riscontrati, delle tipologie di intervento di cui alle lettere b), c), d) ed f) nonché degli interventi di cui all’articolo 13. In questo senso è da adeguare il disposto dell’articolo 8, comma 1 dello schema di decreto.
Anche sotto il profilo dell’articolazione delle risorse finanziarie del Piano come disciplinate dall’articolo 3 dello schema di decreto, la suddivisione tra le lettere a) e b) è da eliminare.
5 - Gli strumenti attuativi del Piano: il modello di governance e il superamento della competizione a livello nazionale
Il Piano è attuato in due modi alternativi previsti esplicitamente dall’articolo 11 della legge 133/08:
a) con accordi di programma ex articolo 81 DPR 616/77 ridefiniti dal DPR 18 aprile 1994, n.383, approvati con DPCM al fine di realizzare i programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana (PIPERRU) e dichiarati quindi di interesse strategico nazionale;
b) con l’utilizzo delle modalità dedicate alle infrastrutture strategiche e agli insediamenti produttivi di cui al Dlgs 12 aprile 2006, n.163.
Gli articoli 9 e 10 dello schema di decreto, però, aggiungono una sorta di grande bando di concorso a livello nazionale mettendo in competizione le diverse aree del Paese attraverso la predisposizione di diversi programmi.
Questa architettura del Piano Casa sembra, in primo luogo, in contrasto con gli orientamenti della legge 133/08 in relazione alla volontà di orientare gli interventi attuativi del Piano stesso sia “tenendo conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali” (cfr. articolo 11, comma 3) sia in funzione della concentrazione degli interventi “sulla effettiva richiesta abitativa dei singoli contesti”. In una procedura concorsuale, al più, si perseguono altri obiettivi, quali la trasparenza e l’imparzialità ma le funzioni di accompagnamento e di orientamento strategico vengono necessariamente meno.
Inoltre, l’approccio dello schema di decreto sembra essere fondato sulla volontà di articolare il Piano quale sommatoria di programmi riferiti a tanti singoli contesti piuttosto che su un ragionamento più ampio esteso alla pianificazione di area vasta. Il che, in pratica, porta a curare il male dove si manifesta (rapporto dimensionale tra richiesta abitativa e dimensione demografica) anziché approfondirne le cause e organizzare rimedi che possano andare oltre l’emergenza dei grandi agglomerati urbani.
L’approccio che sembra essere stato assunto dallo schema di decreto rinuncia a porsi nell’ottica dello sviluppo territoriale sostenibile ma solo in quella di risolvere il problema dove è manifesto, anziché porsi il problema di una corretta disposizione delle funzioni residenziali in relazione al corretto uso delle risorse territoriali disponibili che sarebbe più pertinente per un Piano che è di livello nazionale. E comunque a prescindere, di fatto, da un’approfondita analisi né comprensione delle cause che lo generano.
L’impostazione data nei due precedenti paragrafi, invece, annulla la competizione tra programmi locali, in quanto la ripartizione delle risorse finanziarie è antecedente la fase della costruzione dei singoli programmi: cioè è un dato di base del Piano e non è un esito di una procedura concorsuale.
Inoltre, con l’impostazione che si è data del Programma Integrato (in linea di prima approssimazione uno per regione), la fase concorrenziale vera e propria è gestita dalle singole regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 2 dello schema di decreto.
Infine, la commissione di cui all’articolo 9, invece di essere “selezionatrice” potrà assumere un ruolo di “coordinamento”.
Sul punto è opportuno rilevare che, come ha chiarito bene la Corte Costituzionale con sent. 303/03, allo Stato non spetta soltanto la determinazione dei livelli essenziali quanto anche l’indirizzo di coordinamento. La Corte ha detto che lo Stato (ma questa non è una novità, perché è l’art. 118 della Costituzione a dirlo) può trattenere presso di sé le funzioni amministrative funzionali a perseguire esigenze di uniformità a livello nazionale. Ma la novità della sentenza citata è data dalla possibilità ammessa che oltre ai poteri di amministrazione lo Stato possa trattenere anche i conseguenti poteri di legislazione.
Sul fronte delle politiche abitative, è evidente l’importanza che lo Stato mantenga una “regia” non solo sul piano legislativo ma anche su quello amministrativo. Sul piatto, c’è l’individuazione di un idoneo strumento che, nell’ambiente istituzionale sussidiario, possa adeguatamente sostituire –non nei compiti ma nel ruolo- la funzione del vecchio CER. Un’esemplificazione ne ha dato la stessa sent. 363/03 C. Cost. concernente le strutture serventi del Ministero del Lavoro per la “promozione dell’occupazione (…) sull’intero territorio nazionale”.
Per quanto attiene lo specifico del Piano Casa, quindi, sarebbe quanto mai utile e opportuno la presenza di un comitato di coordinamento che, oltre a perfezionare e accompagnare i singoli Programmi Integrati in funzione degli Accordi di Programma da stipularsi a norma dell’articolo 4 dello schema di decreto, possa svolgere la funzione di coordinamento tra le diverse regioni italiane per l’affinamento e l’attuazione del Programmi stessi.
6 - La premialità urbanistica tra ordinari età degli obblighi e sua disciplina
Nell’ambito dei PIPERRU, gli interventi possono essere attuati -oltre che in applicazione dell’articolo 1, comma 258 della legge 244/07 (Legge Finanziaria 2008)- anche mediante le cinque fattispecie previste dall’articolo 11, comma 3 della legge 133/08 che hanno la funzione di conferire maggiore operatività al disposto dell’articolo 1, comma 259 della già ricordata Legge Finanziaria 2008.
In particolare, l’istituto di cui alla lett. e) implica la nascita di diritti edificatori apparentemente distinti dai diritti di proprietà che, nel quadro della legislazione italiana, sono un elemento assolutamente originale. È la prima volta nella storia dell’ordinamento repubblicano, infatti, che compare il diritto edificatorio quale entità quasi astratta, non espressamente collegata al diritto di proprietà ma esclusivamente legata al perseguimento di obiettivi pubblici. E’ da considerare un fatto eccezionale che una legge faccia intravedere la possibilità di “creare” dal nulla un titolo edificatorio ponendolo a compensazione di specifici interventi di edilizia residenziale sociale e, inoltre, anche a compensazione di altre urbanizzazioni o realizzazioni di interesse pubblico attinenti la riqualificazione urbana e il miglioramento della mobilità.
L’introduzione di diritti edificatori non legati ai suoli ma di esclusiva potestà pubblica, al pari della scelta dei suoli da rendere edificabili attraverso accordi di programma a seguito di bandi concorrenziali (cfr. articolo 8, comma 2 dello schema di decreto), è istituto idoneo a rendere labili gli accordi che definiscono l’ammontare complessivo dell’offerta sul mercato locale e incerta ogni politica di difesa del prezzo basata sul contingentamento dell’offerta da parte dei proprietari dei suoli edificabili. Si tratta di un’innovazione che se da un lato è suscettibile di rompere finalmente la possibilità di formare cartelli oligopolistici, dall’altro appare limitata ai soli programmi attuativi del Piano casa in parola, in ciò determinando inevitabilmente un doppio canale per la formazione del diritto edificatorio che appare assai fragile in sede di valutazione costituzionale dell’applicazione del principio di equità e dell’aderenza agli attuali rapporti costituzionali di ripartizione dei compiti legislativi tra Stato e regioni.
In ogni caso, ed è quello che interessa il presente documento, occorrerebbe che il Piano precisasse maggiormente i contorni dei meccanismi attuativi degli interventi sostenuti dalle risorse finanziarie pubbliche sia di quelli disciplinati dall’articolo 13 dello schema di decreto.
In primo luogo, occorre rilevare l’opportunità di inserire quale contenuto minimo di ciascun intervento ricompreso dal Piano, segnatamente di quelli non esclusivamente di edilizia residenziale sociale, il soddisfacimento degli obblighi previsti dall’articolo 1, comma 258 della legge 244/07. Oltre questo contenuto minimo, potrebbero dispiegarsi le agevolazioni previste dall’articolo 11, comma 5 della legge 133/08.
E, sul punto, occorre altresì rilevare che il testo del Piano non fa mai riferimento alle necessità di trovare una misura congrua, un rapporto tra la misura del vantaggio –che, nel testo del Piano, diviene il “favore”- e la dimensione del patrimonio abitativo sociale corrispondente. Inoltre, la cessione dei diritti edificatori per come descritta appare non commisurare specificatamente il valore dei titoli ceduti a quello del valore pubblico “creato”.
Ben diverso era stato, ad esempio, l’approccio al tema dell’ERS che evidenziava al comma 259 del già ricordato articolo 1 della legge 244/07, laddove si evidenziava, seppur laconicamente, la necessità di individuare una “relazione” tra “l’entità e il valore della trasformazione” privata e la cessione di aree e i costi di realizzazione dell’ERS stessa.
Le più gravi carenze del Piano per quanto attiene la definizione dei livelli essenziali attengono proprio il profilo dell’individuazione della condizione economica delle categorie svantaggiate individuate quali destinatarie degli alloggi. Sul punto, infatti, lo schema di decreto non affronta il problema del rendere operativa la sommaria elencazione di cui all’articolo 11, comma 2 della legge 133/08 che, a suo merito, ha avuto la capacità di cogliere con qualche efficacia la pluralità di bisogni che attualmente frammenta il fabbisogno abitativo. Lo svantaggio sociale resta connotato in modo generico e non viene neppure demandato alle regioni una più puntuale individuazione dei beneficiari degli interventi nel proprio territorio.
Tale vaghezza può essere anche interpretata come funzionale alle finalità implicite del Piano, il cui target sociale è individuabile, di fatto, in massima parte da un’area sociale costituita da soggetti che, seppure esposti al rischio abitativo, hanno comunque posizioni di vantaggio economico superiori a buona parte delle famiglie che popolano le graduatorie dell’Edilizia Residenziale Pubblica.
Nell’area sociale dell’housing individuato dal Piano si situano, infatti, soggetti in grado di sopportare prezzi di vendita o canoni di locazione calmierati o moderati ma, in ogni caso, sempre e comunque capaci di coprire i servizi del debito e gli oneri connessi alla realizzazione degli interventi attraverso il ricorso alla finanza di progetto. In questo senso, con la centralità assunta dal sistema dei Fondi immobiliari e dalle tecniche di promozione finanziaria che richiamano comunque un livello dei canoni almeno in grado di pagare il servizio del debito, il Piano sembra organizzare uno spostamento dell’area sociale di riferimento per le politiche pubbliche nel comparto dell’edilizia residenziale individuando un profilo sociale dei beneficiari riconducibile alla cosiddetta vulnerabilità abitativa o al disagio diffuso orientando la priorità di spesa e la missione del servizio in funzione delle esigenze di autofinanziamento degli interventi e della ricerca del minimo di redditività sostenibile.
Il punto di discussione è se, a prescindere da qualsivoglia orientamento precostituito pro o contro la tradizionale offerta di ERP, tale nuovo corso possa davvero nell’odierna congiuntura (sociale ed economica) garantire flussi d’offerta accessibile in quantità e proporzioni adeguate rispetto alle esigenze di efficacia sociale degli interventi che fanno capo al settore delle politiche abitative e, soprattutto, alla struttura attuale e all’evoluzione della domanda e alla specifiche caratteristiche del disagio abitativo. E sul punto è agevole rilevare che un’impostazione di questo genere trova ben pochi elementi di legittimazione nella struttura del bisogno di casa riscontrabile nelle diverse regioni italiane: in assenza di diverse determinazioni, l’offerta abitativa suscettibile di essere prodotta dal Piano andrebbe a beneficiare segmenti di società che, pur in disagio nell’accesso alle abitazioni, non rappresentano la parte di fabbisogno con maggiori criticità che, viceversa, si troverebbe sguarnita di qualsivoglia intervento pubblico.
Al fine di impostare una sostenibile identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni in ottemperanza al disposto del comma 1 dell’articolo 11 della legge 133/08 e sulla base delle categorie sociali di cui alle lettere da a) a f) del comma 2 dello stesso articolo, sembra opportuno procedere al raggruppamento dei beneficiari potenziali degli interventi promossi dal Piano Casa in almeno due categorie generali, in ragione della diversa intensità della prestazione assistenziale da mettere in capo allo Stato nelle sue varie articolazioni:
a) area della povertà o della “non abbienza” per analogia con le tradizionali figure dell’edilizia sovvenzionata, riferita agli individui o ai nuclei familiari che, in assenza della fornitura di alloggi sociali, non sono in grado altrimenti di accedere all’abitazione primaria. A quest’area potrebbero far capo le fattispecie di cui alle lettere a) e c) del più volte citato comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08;
b) area della vulnerabilità, riferita invece agli individui o ai nuclei familiari che necessitano di agevolazioni pubbliche al fine di consentire l’accesso all’abitazione primaria. A quest’area, invece, potrebbero far capo le fattispecie di cui alle lettere b), d), e) e g) del più volte citato comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08.
Per quanto riguarda la qualificazione dei destinatari del Piano Casa relativamente all’area della povertà o della “non abbienza” e in funzione dei quali l’enucleazione del livello essenziale determina un diritto soggettivo all’abitazione effettivamente esigibile, in linea di prima approssimazione si ritiene opportuno assumere i requisiti individuati per la “carta acquisti” (la cosiddetta “social card”) (cfr. articolo 5 del decreto del Ministro dell’Economia del 16.09.2008), con la sola modifica riferita al non possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella stessa regione di residenza.
Per quanto attiene, invece, la determinazione della caratteristiche soggettive dell’area della vulnerabilità, potrà costituire la base dell’architettura normativa il disposto di cui all’articolo 1 della legge 9/07, con le dovute modifiche e integrazioni in ragione delle peculiarità delle fattispecie considerate dal Piano Casa (ad es. limiti di età per la giovane coppia).
2 - Gli obiettivi del Piano
Anche sulla scorta di quanto appena argomentato, il Piano di cui allo schema di decreto in commento risulta particolarmente lacunoso sul fronte della predeterminazione degli obiettivi di riferimento del Piano stesso.
Il disposto di cui al comma 2 dell’articolo 11 della legge 133/08, tale da identificare l’incremento del patrimonio immobiliare a uso abitativo quale obiettivo generale del Piano, risulta infatti un po’ troppo generale. Soprattutto se si considera che la dichiarazione della carenza di abitazioni tale da legittimare un piano nazionale straordinario avviene al termine di uno dei più forti cicli di produzione residenziale in termini assoluti mai vissuti dall’Italia: basti considerare che dal 2004 al 2007 la produzione di nuovi alloggi per ogni anno è stata superiore alle 300 mila unità, cioè un livello di produzione che non si raggiungeva dai lontani anni ’70.
Al fine di conferire un orizzonte di senso al Piano in qualche modo coerente con le finalità dell’intervento pubblico nel settore abitativo, sembra opportuno, se non necessario, che il Piano stesso provveda a specificare l’obiettivo generale sopra ricordato nel modo seguente:
a) aumentare lo stock edilizio in locazione complessivamente disponibile e la sua articolazione interna, anche al fine di agevolare la mobilità delle famiglie che attualmente sono assegnatarie di alloggi di edilizia residenziale pubblica nonché di dare risposta all’esigenza di mobilità da lavoro o da studio sul territorio nazionale;
b) incrementare l’offerta in affitto a costi contenuti nonché a canoni sociali.
3 - Il riparto delle risorse finanziarie
A norma dell’articolo 11, comma 3 della legge 133/08, il Piano dovrebbe essere articolato sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali.
Lo schema di decreto ministeriale contenete il Piano, però, non presenta alcuna disposizione in merito alle modalità di ricognizione dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali. E, al contempo, non sono presenti criteri che consentano di articolare lo stesso Piano –e i relativi interventi attuativi- verso le realtà territoriali che presentano le maggiori criticità del fabbisogno abitativo. Di conseguenza, gli esiti del Piano non risultano essere in nessun modo prevedibili ex ante ma, al più, soltanto una volta che i Programmi attuativi del Piano stesso sono stati approvati.
E’ necessario, quindi, che il Piano preveda tra i suoi contenuti normativi le modalità di ripartizione della dotazione finanziaria di cui all’articolo 2, comma 2, lett. b) e c) sulla base di indicatori riferiti al fabbisogno abittaivo.
Sul punto, le modalità annualmente utilizzate per la ripartizione di cui all’art. 11, comma 5 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, come sostituito dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 13 settembre 2004, n. 240, convertito dalla legge 12 novembre 2004, n. 269 possono costituire un valido punto di partenza. Con i dovuti correttivi, sia alla luce dell’evoluzione della normativa relativa all’intervento pubblico nel settore abitativo sia in ragione delle finalità del Piano in parola.
In linea di prima approssimazione, la ripartizione delle disponibilità finanziarie potrà essere effettuata sulla base dei seguenti parametri e con riferimento all’incidenza percentuale relativa risultante:
a) indicatori relativi alla struttura socio-economica
· popolazione, di ciascuna regione o provincia autonoma, ricadente nei comuni di cui all’articolo 1, comma 1 della legge 9/07 in rapporto alla popolazione complessiva ricadente negli stessi comuni a livello nazionale (peso 10%);
· incidenza del numero di alloggi occupati in affitto da residenti sul totale della famiglie presenti in ciascuna regione o provincia autonoma rispetto al valore medio nazionale (ai fini della determinazione del coefficiente di riparto il valore è assunto in maniera inversamente proporzionale) (peso 25%)
· prodotto interno lordo (PIL) pro-capite di ciascuna regione rispetto al valore medio nazionale (ai fini della determinazione del coefficiente di riparto il valore è assunto in maniera inversamente proporzionale) (peso 10%);
· media del valore del fabbisogno regionale calcolato con riferimento all’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 7 giugno 1999, concernente i requisiti minimi dei conduttori per beneficiari dei contributi integrativi a valere sulle risorse assegnate al Fondo nazionale di sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione, e desunto dai dati comunicati dalle regioni e province autonome con riferimento ai riparti delle ultime tre annualità (peso 25%);
b) indicatori relativi alle tipologie di destinatari di cui all’articolo 11, comma 2 della legge 133/08:
· ultrasessantacinquenni presenti in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%);
· extracomunitari presenti in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%);
· popolazione residente di età inferiore a 35 anni in ciascuna regione rispetto al totale nazionale (peso 10%)
4 - La settorialità delle politiche abitative: l’articolazione delle linee di intervento
Il comma 3, lett.e) dell’articolo 11 della legge 133/08, come ulteriormente specificato dal successivo comma 4, introduce una nuova tipologia di strumento attuativo: il Programma Integrato di Promozione di Edilizia Residenziale (anche sociale) e di Riqualificazione Urbana (PIPERRU).
Lo schema di decreto recante “Piano nazionale di edilizia abitativa” identifica all’articolo 1, comma 1, lett. e) tale nuovo strumento quale autonoma “linea di intervento” e sembra interpretare lo strumento quale nuova tipologia di programma urbano complesso, cioè il successore del PRU per alloggi a canone sostenibile.
La specificità dei PIPERRU rispetto alle altre linee di intervento è ulteriormente accentuata dal contenuto dell’articolo 3 dello schema di decreto. Se gli interventi di cui alle lettere b), c), d) ed f) dell’articolo 1 del Piano sono interventi strettamente appartenenti al campo delle politiche abitative in quanto interventi settoriali, i PIPERRU identificano degli interventi misti, tali da integrare gli interventi settoriali delle politiche abitative con altri interventi che perseguono obiettivi di riqualificazione urbana.
Sul punto, è opportuno rilevare come lo schema di decreto evidenzi ulteriormente il problema che viene dal combinarsi di elementi del nuovo paradigma delle politiche integrate con la tradizione delle politiche abitative sociali: il Piano Casa alimenta ancora la convinzione del carattere “urbano” delle politiche abitative tralasciando gli interrogativi su quale contributo le politiche urbane e di riqualificazione urbana possono dare al trattamento della povertà abitativa.
Naturalmente vi sono delle buone ragioni per orientare le politiche urbane verso la riqualificazione urbana: ma ciò non significa che si possano attribuire a queste politiche valenze abitative che, con ogni probabilità visti gli esiti pregressi, non possono avere. La questione abitativa in larga misura mantiene una sua specificità come questione sociale, indipendente da quella urbana. Anzi, la cosiddetta “urbanizzazione” della questione casa rischia di essere particolarmente inadeguata per le componenti più propriamente sociali del fabbisogno abitativo.
In effetti la resa sociale delle varie tipologie di programmi di riqualificazione urbana proposta negli ultimi lustri è stata finora abbastanza modesta.
Quanto a programmi come i Contratti di Quartiere conviene forse valutarne la loro natura di strumenti idonei ad affrontare specifiche questioni di “sviluppo sociale” urbano: oltre e più che come politiche sociali abitative. anche per questi programmi del tutto peculiari, il contributo dato all’ampliamento dell’offerta abitativa sociale è stato generalmente modesto.
Di conseguenza, sembra opportuno che il Piano in parola rinunci a introdurre un nuovo strumento tale da affrontare contestualmente il problema dell’incremento del patrimonio abitativo sociale e la riqualificazione di parti urbane. Dato che la posta in gioco è la casa, cioè una posta in gioco rilevante e socialmente sensibile, la declinazione operativa del Programma Integrato di promozione di edilizia residenziale anche sociale dovrebbe riscoprire un nuovo approccio di tipo settoriale.
Il Programma Integrato potrebbe essere interpretato come uno strumento di coordinamento dei vari interventi volti a incrementare, in ciascun territorio regionale, il patrimonio di edilizia residenziale in risposta al fabbisogno specifico effettivamente rilevato e/o stimato per ciascuna delle diverse tipologie di offerta sociale di casa.
In altri termini, il Programma Integrato andrebbe ad assumere il compito di tenere insieme in un unico quadro di intervento a livello regionale, un insieme di progetti e azioni differenti sia per localizzazione sia per target di domanda.
Di conseguenza, l’Accordo di Programma di cui all’articolo 4 dello schema di decreto sarebbe suscettibile di introdurre nel settore delle politiche abitative uno strumento negoziale di governo delle politiche regionalmente definite tale da definire, in concerto tra Stato, Regioni ed Enti territoriali, gli obiettivi da conseguire e il programma degli interventi di interesse comune da realizzare.
In questo senso, il Piano sarebbe articolato in due distinte “linee di intervento”:
a) il sistema integrato dei fondi immobiliari, già previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera a) dello schema di decreto, a forte regia statale;
b) i programmi integrati già previsti alla lettera e) che, viceversa, sarebbero finalizzati attraverso la concertazione tra tutti i livelli di governo.
Le altre linee di intervento previste dall’articolo 1 dello schema di decreto in commento, invece, andrebbero a costituire le “tipologie di intervento”.
Alla luce di questa articolazione, i Programmi Integrati saranno costituiti dalla diversa combinazione, in ragione dei fabbisogni regionalmente riscontrati, delle tipologie di intervento di cui alle lettere b), c), d) ed f) nonché degli interventi di cui all’articolo 13. In questo senso è da adeguare il disposto dell’articolo 8, comma 1 dello schema di decreto.
Anche sotto il profilo dell’articolazione delle risorse finanziarie del Piano come disciplinate dall’articolo 3 dello schema di decreto, la suddivisione tra le lettere a) e b) è da eliminare.
5 - Gli strumenti attuativi del Piano: il modello di governance e il superamento della competizione a livello nazionale
Il Piano è attuato in due modi alternativi previsti esplicitamente dall’articolo 11 della legge 133/08:
a) con accordi di programma ex articolo 81 DPR 616/77 ridefiniti dal DPR 18 aprile 1994, n.383, approvati con DPCM al fine di realizzare i programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana (PIPERRU) e dichiarati quindi di interesse strategico nazionale;
b) con l’utilizzo delle modalità dedicate alle infrastrutture strategiche e agli insediamenti produttivi di cui al Dlgs 12 aprile 2006, n.163.
Gli articoli 9 e 10 dello schema di decreto, però, aggiungono una sorta di grande bando di concorso a livello nazionale mettendo in competizione le diverse aree del Paese attraverso la predisposizione di diversi programmi.
Questa architettura del Piano Casa sembra, in primo luogo, in contrasto con gli orientamenti della legge 133/08 in relazione alla volontà di orientare gli interventi attuativi del Piano stesso sia “tenendo conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali” (cfr. articolo 11, comma 3) sia in funzione della concentrazione degli interventi “sulla effettiva richiesta abitativa dei singoli contesti”. In una procedura concorsuale, al più, si perseguono altri obiettivi, quali la trasparenza e l’imparzialità ma le funzioni di accompagnamento e di orientamento strategico vengono necessariamente meno.
Inoltre, l’approccio dello schema di decreto sembra essere fondato sulla volontà di articolare il Piano quale sommatoria di programmi riferiti a tanti singoli contesti piuttosto che su un ragionamento più ampio esteso alla pianificazione di area vasta. Il che, in pratica, porta a curare il male dove si manifesta (rapporto dimensionale tra richiesta abitativa e dimensione demografica) anziché approfondirne le cause e organizzare rimedi che possano andare oltre l’emergenza dei grandi agglomerati urbani.
L’approccio che sembra essere stato assunto dallo schema di decreto rinuncia a porsi nell’ottica dello sviluppo territoriale sostenibile ma solo in quella di risolvere il problema dove è manifesto, anziché porsi il problema di una corretta disposizione delle funzioni residenziali in relazione al corretto uso delle risorse territoriali disponibili che sarebbe più pertinente per un Piano che è di livello nazionale. E comunque a prescindere, di fatto, da un’approfondita analisi né comprensione delle cause che lo generano.
L’impostazione data nei due precedenti paragrafi, invece, annulla la competizione tra programmi locali, in quanto la ripartizione delle risorse finanziarie è antecedente la fase della costruzione dei singoli programmi: cioè è un dato di base del Piano e non è un esito di una procedura concorsuale.
Inoltre, con l’impostazione che si è data del Programma Integrato (in linea di prima approssimazione uno per regione), la fase concorrenziale vera e propria è gestita dalle singole regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 2 dello schema di decreto.
Infine, la commissione di cui all’articolo 9, invece di essere “selezionatrice” potrà assumere un ruolo di “coordinamento”.
Sul punto è opportuno rilevare che, come ha chiarito bene la Corte Costituzionale con sent. 303/03, allo Stato non spetta soltanto la determinazione dei livelli essenziali quanto anche l’indirizzo di coordinamento. La Corte ha detto che lo Stato (ma questa non è una novità, perché è l’art. 118 della Costituzione a dirlo) può trattenere presso di sé le funzioni amministrative funzionali a perseguire esigenze di uniformità a livello nazionale. Ma la novità della sentenza citata è data dalla possibilità ammessa che oltre ai poteri di amministrazione lo Stato possa trattenere anche i conseguenti poteri di legislazione.
Sul fronte delle politiche abitative, è evidente l’importanza che lo Stato mantenga una “regia” non solo sul piano legislativo ma anche su quello amministrativo. Sul piatto, c’è l’individuazione di un idoneo strumento che, nell’ambiente istituzionale sussidiario, possa adeguatamente sostituire –non nei compiti ma nel ruolo- la funzione del vecchio CER. Un’esemplificazione ne ha dato la stessa sent. 363/03 C. Cost. concernente le strutture serventi del Ministero del Lavoro per la “promozione dell’occupazione (…) sull’intero territorio nazionale”.
Per quanto attiene lo specifico del Piano Casa, quindi, sarebbe quanto mai utile e opportuno la presenza di un comitato di coordinamento che, oltre a perfezionare e accompagnare i singoli Programmi Integrati in funzione degli Accordi di Programma da stipularsi a norma dell’articolo 4 dello schema di decreto, possa svolgere la funzione di coordinamento tra le diverse regioni italiane per l’affinamento e l’attuazione del Programmi stessi.
6 - La premialità urbanistica tra ordinari età degli obblighi e sua disciplina
Nell’ambito dei PIPERRU, gli interventi possono essere attuati -oltre che in applicazione dell’articolo 1, comma 258 della legge 244/07 (Legge Finanziaria 2008)- anche mediante le cinque fattispecie previste dall’articolo 11, comma 3 della legge 133/08 che hanno la funzione di conferire maggiore operatività al disposto dell’articolo 1, comma 259 della già ricordata Legge Finanziaria 2008.
In particolare, l’istituto di cui alla lett. e) implica la nascita di diritti edificatori apparentemente distinti dai diritti di proprietà che, nel quadro della legislazione italiana, sono un elemento assolutamente originale. È la prima volta nella storia dell’ordinamento repubblicano, infatti, che compare il diritto edificatorio quale entità quasi astratta, non espressamente collegata al diritto di proprietà ma esclusivamente legata al perseguimento di obiettivi pubblici. E’ da considerare un fatto eccezionale che una legge faccia intravedere la possibilità di “creare” dal nulla un titolo edificatorio ponendolo a compensazione di specifici interventi di edilizia residenziale sociale e, inoltre, anche a compensazione di altre urbanizzazioni o realizzazioni di interesse pubblico attinenti la riqualificazione urbana e il miglioramento della mobilità.
L’introduzione di diritti edificatori non legati ai suoli ma di esclusiva potestà pubblica, al pari della scelta dei suoli da rendere edificabili attraverso accordi di programma a seguito di bandi concorrenziali (cfr. articolo 8, comma 2 dello schema di decreto), è istituto idoneo a rendere labili gli accordi che definiscono l’ammontare complessivo dell’offerta sul mercato locale e incerta ogni politica di difesa del prezzo basata sul contingentamento dell’offerta da parte dei proprietari dei suoli edificabili. Si tratta di un’innovazione che se da un lato è suscettibile di rompere finalmente la possibilità di formare cartelli oligopolistici, dall’altro appare limitata ai soli programmi attuativi del Piano casa in parola, in ciò determinando inevitabilmente un doppio canale per la formazione del diritto edificatorio che appare assai fragile in sede di valutazione costituzionale dell’applicazione del principio di equità e dell’aderenza agli attuali rapporti costituzionali di ripartizione dei compiti legislativi tra Stato e regioni.
In ogni caso, ed è quello che interessa il presente documento, occorrerebbe che il Piano precisasse maggiormente i contorni dei meccanismi attuativi degli interventi sostenuti dalle risorse finanziarie pubbliche sia di quelli disciplinati dall’articolo 13 dello schema di decreto.
In primo luogo, occorre rilevare l’opportunità di inserire quale contenuto minimo di ciascun intervento ricompreso dal Piano, segnatamente di quelli non esclusivamente di edilizia residenziale sociale, il soddisfacimento degli obblighi previsti dall’articolo 1, comma 258 della legge 244/07. Oltre questo contenuto minimo, potrebbero dispiegarsi le agevolazioni previste dall’articolo 11, comma 5 della legge 133/08.
E, sul punto, occorre altresì rilevare che il testo del Piano non fa mai riferimento alle necessità di trovare una misura congrua, un rapporto tra la misura del vantaggio –che, nel testo del Piano, diviene il “favore”- e la dimensione del patrimonio abitativo sociale corrispondente. Inoltre, la cessione dei diritti edificatori per come descritta appare non commisurare specificatamente il valore dei titoli ceduti a quello del valore pubblico “creato”.
Ben diverso era stato, ad esempio, l’approccio al tema dell’ERS che evidenziava al comma 259 del già ricordato articolo 1 della legge 244/07, laddove si evidenziava, seppur laconicamente, la necessità di individuare una “relazione” tra “l’entità e il valore della trasformazione” privata e la cessione di aree e i costi di realizzazione dell’ERS stessa.
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