Un convincente articolo di Raffaele Lungarella letto qui apre il 2009. E il tema è di quelli politicamente sensibili: l'immigrazione.
Con il piano casa (articolo11, legge 133/2008) il governo propone di incrementare l’offerta di abitazioni destinate “prioritariamente a prima casa” anche per gli immigrati (extracomunitari) regolari a basso reddito, purché “residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione”.
L’applicazione delle norme introdotte dal piano casa lascia quindi libertà di movimento da una Regione all’altra, senza che essi vedano ridursi le possibilità di assegnazione di una casa pubblica o di ottenere il contributo del fondo sociale, solo agli immigrati che sono in Italia da molto tempo, i quali, essendosi stabilizzati in qualche posto, sono, probabilmente, i meno disposti a spostarsi.
La stessa norma, invece, penalizza quelli regolarizzati di più recente arrivo, certamente i più disposti alla mobilità territoriale per inseguire la dinamica geografica della domanda di lavoro.
Corretta l'osservazione che, bontà sua, non trova come fondamento del ragionare la "compassionevole carità". Invece così fa l'argomentare: "È questa componente dell’immigrazione ad assolvere oggi il ruolo di quello che Marx chiamò l’esercito industriale di riserva, “grandi masse di uomini […] spostabili improvvisamente nei punti decisivi”, cioè nei settori e nelle aree in cui la produzione necessità di braccia in un determinato momento.
Non è difficile vedere la contraddizione tra la rivendicazione di un mercato del lavoro flessibile e di lavoratori disposti alla mobilità territoriale, da un lato, e, dall’altro, il restringimento delle possibilità di ottenere una casa in affitto proprio per la componente della forza lavoro più disposta alla mobilità."
Con il piano casa (articolo11, legge 133/2008) il governo propone di incrementare l’offerta di abitazioni destinate “prioritariamente a prima casa” anche per gli immigrati (extracomunitari) regolari a basso reddito, purché “residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione”.
L’applicazione delle norme introdotte dal piano casa lascia quindi libertà di movimento da una Regione all’altra, senza che essi vedano ridursi le possibilità di assegnazione di una casa pubblica o di ottenere il contributo del fondo sociale, solo agli immigrati che sono in Italia da molto tempo, i quali, essendosi stabilizzati in qualche posto, sono, probabilmente, i meno disposti a spostarsi.
La stessa norma, invece, penalizza quelli regolarizzati di più recente arrivo, certamente i più disposti alla mobilità territoriale per inseguire la dinamica geografica della domanda di lavoro.
Corretta l'osservazione che, bontà sua, non trova come fondamento del ragionare la "compassionevole carità". Invece così fa l'argomentare: "È questa componente dell’immigrazione ad assolvere oggi il ruolo di quello che Marx chiamò l’esercito industriale di riserva, “grandi masse di uomini […] spostabili improvvisamente nei punti decisivi”, cioè nei settori e nelle aree in cui la produzione necessità di braccia in un determinato momento.
Non è difficile vedere la contraddizione tra la rivendicazione di un mercato del lavoro flessibile e di lavoratori disposti alla mobilità territoriale, da un lato, e, dall’altro, il restringimento delle possibilità di ottenere una casa in affitto proprio per la componente della forza lavoro più disposta alla mobilità."
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