Pietro Pagliardini (qui) nota come il disegno di legge governativo relativo al cosiddetto "Piano Casa" ha anche del buono. La tesi è che si potrebbe aprire una fase in cui "poter ridefinire i limiti della città, poter ridare un’immagine compatta e leggibile alla città nel suo complesso, riuscire a distinguere tra città e campagna potrebbe essere possibile con il metodo della demolizione e della ricostruzione con un disegno urbano appena decente e (...) orientato all’urbanistica della strada e dell’isolato, della connessione e delle reti."
Mi pare molto condivisibile, infatti, orientare le politiche urbane verso quella fascia di "non città" compresa tra il nucleo urbano più duro del centro e la campagna. E' proprio qui dove è opportuno concentrare le migliori energie, anche finanziarie.
Nello stesso momento, Stefano Boeri (qui) evidenzia che lo stesso disegno di legge risponde a tre diverse idee: "la prima è di proporre una mobilitazione delle risorse individuali di migliaia di famiglie e piccoli proprietari capace di arginare la crisi e di trasmettere una scossa al sistema delle imprese edili italiane. La seconda è di esautorare le burocrazie delle amministrazioni locali, responsabilizzando al loro posto un’intera categoria professionale, quella degli architetti e degli ingegneri. La terza è di legare questa mobilitazione individualista all’opportunità di rinnovare anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale uno stock edilizio ormai desueto e divoratore di energia."
Soprattutto la terza mi sembra una delle poche strade percorribili per riqualificare lo stock immobiliare italiano dal punto di vista energetico. Senza qualche incentivo, infatti, l'idea è destinata a rimanere lettera morta.
Ma allora il problema dove sta?
Se la proposta di legge risponde alla logica di Boeri, quello che propone Pagliardini non è raggiungibile. La scala del capitale (e quindi dell'intervento edilizio) a cui sembrerebbe rivolgersi il Governo non è quella più opportuna per provare a ridisegnare i limiti della città. Non si riesce a incidere sulla qualità dello spazio pubblico e sul disegno urbano con una logica di accrescimento di tipo incrementale. Gli interlocutori mi sembrano radicalmente differenti.
Mi pare molto condivisibile, infatti, orientare le politiche urbane verso quella fascia di "non città" compresa tra il nucleo urbano più duro del centro e la campagna. E' proprio qui dove è opportuno concentrare le migliori energie, anche finanziarie.
Nello stesso momento, Stefano Boeri (qui) evidenzia che lo stesso disegno di legge risponde a tre diverse idee: "la prima è di proporre una mobilitazione delle risorse individuali di migliaia di famiglie e piccoli proprietari capace di arginare la crisi e di trasmettere una scossa al sistema delle imprese edili italiane. La seconda è di esautorare le burocrazie delle amministrazioni locali, responsabilizzando al loro posto un’intera categoria professionale, quella degli architetti e degli ingegneri. La terza è di legare questa mobilitazione individualista all’opportunità di rinnovare anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale uno stock edilizio ormai desueto e divoratore di energia."
Soprattutto la terza mi sembra una delle poche strade percorribili per riqualificare lo stock immobiliare italiano dal punto di vista energetico. Senza qualche incentivo, infatti, l'idea è destinata a rimanere lettera morta.
Ma allora il problema dove sta?
Se la proposta di legge risponde alla logica di Boeri, quello che propone Pagliardini non è raggiungibile. La scala del capitale (e quindi dell'intervento edilizio) a cui sembrerebbe rivolgersi il Governo non è quella più opportuna per provare a ridisegnare i limiti della città. Non si riesce a incidere sulla qualità dello spazio pubblico e sul disegno urbano con una logica di accrescimento di tipo incrementale. Gli interlocutori mi sembrano radicalmente differenti.
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