martedì 6 dicembre 2011

affitto, giovani e crescita

Sempre con gli studenti di cui ho già postato qualcosa (qui), insieme a Mauro abbiamo anche ragionato su come le nostre città potrebbero agevolare l'avvio del percorso lavorativo dei giovani. Tema quanto mai attuale, anche visto ciò che, finalmente, è stato messo a fuoco nel Decreto "Salva Italia". Sugli strumenti ci si può anche dividere... ma sull'obiettivo proprio no.

E allora veniamo a un vecchio e caro tema di questo blogghetto: la maggiore offerta di alloggi in affitto a canoni più o meno calmierati (qui, e poi qui, e ancora qui, quo, qua). Tema che erroneamente viene interpretato solo come politica sociale ma che, viceversa, è suscettibile di svolgere un buon ruolo a supporto della crescita. O, comunque, della riduzione della disoccupazione (o della sottooccupazione). 

Questa volta, però, faccio parlare Richard Florida. Magari a un insigne studioso si darà più retta. "Un recente studio condotto da Grace Wong, economista alla Wharton School of Business, dimostra che, controllando il livello reddituale e demografico, chi vive in una casa di proprietà non è più felice di chi paga l’affitto, né presenta un minor grado di stress o un maggiore quoziente di autostima."
Ma soprattutto è importante il successivo passaggio. "Un mercato degli affitti più esteso e sano, che offra maggiori possibilità di scelta, renderebbe l’opzione della locazione più allettante agli occhi di un gran numero di cittadini, e l’economia nel suo insieme più flessibile e reattiva. In una fase successiva, occorre incoraggiare la crescita nelle città e regioni meglio attrezzate per reggere la concorrenza nei decenni a venire: le grandi megaregioni che già fanno da traino all’economia, e i più piccoli centri di innovazione, in grado di attrarre talenti, situati all’interno dei loro confini. Penso a luoghi come la Silicon Valley, Boulder, Austin e il «triangolo della ricerca» nella Carolina del nord."
Basta sostituire il nome agli stati con qualche regione italiana o europea e il discorso non cambia di molto.

In altri termini, solo con città in grado di offrire un po' di alloggi in affitto a prezzi accettabili ognuno avrebbe l'opportunità di cercare il lavoro che più è confacente alle proprie aspirazioni e alla propria indole. O, se si preferisce, ai propri skills. E questo, magari, comporta anche lo spostamento dal luogo di nascita. Che, onestamente, non è la peggiore cosa del mondo.
Non sarà certo l'unica opzione per una politica pro-crescita, ci mancherebbe altro, però affitti bassi e in discreta quantità sono il necessario supporto affinché ognuno, o meglio, i più volenterosi, possano andare a cercarsi il proprio destino. Che, detto sinceramente, non mi sembra una prospettiva di policy così irrilevante.

Le politiche urbanistiche ci hanno già messo a disposizione strumenti per far sì che l'offerta in affitto non debba essere più così.


Ma possa, invece, essere così.



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