lunedì 31 dicembre 2007

per l'anno nuovo

Queste cose le devo scrivere per contratto. Sarà comunque un pezzo del prossimo anno.


L’attualità dell’intervento pubblico in campo abitativo viene ancora confermato dall’analisi della domanda abitativa nella nostra regione e dalla permanente divaricazione tra questa e le tendenze del mercato immobiliare che, seppur giunto probabilmente alla fine di un lunghissimo ciclo espansivo, mantiene ancora elevati prezzi.
Le recenti crisi di natura finanziaria e il conseguente razionamento del credito hanno costretto, dopo 9 anni di crescita ininterrotta, il mercato immobiliare regionale a iniziare a ripiegare. Si tratta di una flessione al momento limitata ai volumi delle compravendite soprattutto nei capoluoghi e nelle principali città che, tuttavia, minaccia di estendersi anche alle quotazioni se dovesse perdurare la debolezza che caratterizza buona parte della domanda.
Come viene confermato nei vari report degli osservatori del mercato immobiliare (ad es. Nomisma), in un contesto di domanda debole i prezzi delle case continuano, tuttavia, a dimostrare eccellente solidità, mettendo a segno un incremento quantificabile a Genova nel 2,8% su base semestrale.
Negli ultimi dieci anni si è assistito al fenomeno di grandi proporzioni del passaggio dalla locazione alla proprietà: fenomeno sostenuto dal venir meno della convenienza a locare. In questo lungo lasso di tempo, chi poteva permetterselo è passato dalla condizione di inquilino a quella di proprietario: i percettori di redditi medio-bassi sono oggi più che proporzionalmente rappresentati fra gli inquilini ed è numerosa la fascia delle famiglie che non potrebbero, se non con gravi difficoltà, sostenere un canone di locazione di mercato.
Inoltre, il settore immobiliare si è significativamente apprezzato rispetto alla capacità di spesa delle famiglie. La modesta crescita dell’economia, associata alla progressiva contrazione del numero di componenti per ogni nucleo hanno finito per determinare un problema di accessibilità al mercato della casa, a prescindere dalla forma contrattuale che ne disciplina il possesso (proprietà o locazione). A Genova, il rapporto tra i livelli di canone mediamente sostenibili e i canoni di mercato attualmente praticati per un’abitazione media evidenzia come questi ultimi sia mediamente superiori rispetto a quelli considerati sostenibili in misura del 19,8%.
La criticità sul fronte della residenza in affitto è chiaramente dimostrata dai dati che giungono dalla gestione del Fondo Sociale per il sostegno agli Affitti (FSA). Le famiglie che ricevono il contributo sono arrivate a 11.293, in aumento del 10,99% rispetto allo scorso anno. Ma ancor più aumenta il fabbisogno in termini finanziari che oggi ammonta a più di 25,24 milioni di euro, con una crescita rispetto all’anno passato del 16,32%.

A fronte di questi numeri particolarmente preoccupanti, il 2007, ha visto chiudersi la fase della politica regionale di breve periodo tese a fronteggiare l’emergenza abitativa in Liguria.
In questa prima parte della legislatura, a fronte di cofinanziamenti regionali o statali pari a 163,56 milioni di euro che hanno movimentato investimenti per complessivi 407,57 milioni di euro, sono state realizzate o programmate 2.980 alloggi di edilizia residenziale sociale. A cui sommare gli interventi di edilizia agevolata e il sostegno ai redditi per il pagamento dei canoni di affitto: il numero delle famiglie che potranno risolvere i propri problemi di accesso all’abitazione grazie a questo sforzo è arrivato a 13.054 unità.

Oltre all’emergenza, però, l’azione del governo regionale ha anche determinato le condizioni per riorganizzare l’intero assetto delle politiche abitative liguri. La legge regionale n°38, approvata il 3 dicembre 2007, è la conclusione del processo di riforma che determinerà compiutamente, dopo la lunga esperienza statale del dopoguerra, il processo di regionalizzazione dell’intervento pubblico nella casa.
Una responsabilità che la Regione è chiamata a esercitare in un quadro generale di risorse decrescenti in conseguenza del venire meno della contribuzione statale dell’ex Gescal e dalla sempre maggiore difficoltà regionale nel finanziare gli investimenti pubblici attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico a cui far seguire la tassazione per ripianare il debito determinatosi.

Il 2008 sarà proprio il momento dell’attuazione della lr 38/07, in primo luogo attraverso il nuovo Programma Quadriennale per l’edilizia Residenziale (PQR). Questo strumento sarà orientato a impegnare, sull’obiettivo di aumentare l’offerta di case sociali in locazione ovvero in proprietà, l’insieme degli operatori pubblici, privati e cooperativi e ad attivare nuove risorse finanziarie in una logica di minore dipendenza dalla spesa pubblica, a partire da un diverso impegno delle Fondazioni bancarie liguri.
L’attuazione della nuova legge significherà, anche, avviare il processo di revisione degli strumenti urbanistici generali dei comuni liguri. Una più forte responsabilizzazione comunale che dovrà infatti tradursi in un impegno a utilizzare maggiormente gli strumenti urbanistici per favorire processi di investimento privato sugli obiettivi di politica abitativa ovvero la produzione di edilizia pubblica attraverso il parziale prelievo dei plusvalori fondiari derivanti dalle decisioni pubbliche localizzative connesse al governo del territorio.

domenica 30 dicembre 2007

aires mateus e chillida: i pieni e i vuoti

Tra Edouardo Chillida e i fratelli Aires Mateus direi che esiste più di un legame: la strategia compositiva si imposta su volumi che raccolgono lo spazio come le sculture del basco Chillida dove le incisioni nel pieno assegnano pari importanza ai vuoti rispetto alla materia che li contiene.





centro e periferia istituzionale negli USA

In questi ultimi due anni mi sono dovuto interrogare sui rapporti istituzionali tra lo Stato e le istituzioni decentrate (a cominciare dalle Regioni).
La tesi del rispetto istituzionale nei confronti dello Stato e della sua unitarietà mi è sembrata, alla fine dei conti, la migliore. Anche se, tra me e me, mi sarebbe piaciuto dire: "Guarda che là fuori c'è un mondo in cui succedono cose vere".


Questa mattina ho avuto una conferma da Rebecca Solnit sul Guardian in un articolo a uso e consumo degli europei che il problema si pone in tutto il mondo. E che il rispetto e l'attesa richiedono una pazienza che non sempre uno ha.
Ecco l'incipit del pezzo: "Il centro non tiene, ecco la buona notizia di questi giorni dagli Stati Uniti. Tranquilli, quatti quatti, città, regioni, contee, stati, si sono rifiutati di marciare dietro il tamburino dell’amministrazione Bush per quanto riguarda cambiamento climatico, ambiente, guerra. Alcune delle trasformazioni più recenti sono così travolgenti che probabilmente trascineranno con sé l’intera nazione: in particolare l’impegno di Vermont, Massachusetts e California per fissare livelli più drastici di contenimento delle emissioni dei veicoli, e in generale l’idea del cambiamento climatico come problema ambientale affrontabile con la regolamentazione.
(...)
La mia città, San Francisco, ha fatto progetti di emissione di carte di identità per immigrati, cercato di legalizzare i matrimoni fra persone dello stesso sesso, e dal 20 novembre ha proibito l’uso dei sacchetti di plastica per la spesa in supermercati e farmacie, con l’idea di vietarli poi del tutto. San Francisco, che è una specie di repubblica autonoma peninsulare e un’infiammazione sul fianco sinistro della superpotenza, si è anche orientate alla grande sul versante dell’energia solare, della raccolta diffusa della frazione umida da compost nel quadro di un ottimo programma di riduzione delle discariche, e in vari altri piani ambientalisti (anche se è la stessa ricchezza ad essere ambientalmente devastante, e abbiamo tante grosse auto e traffico aereo). "

sabato 29 dicembre 2007

giornali e giurisprudenza: meglio evitare

Leggo un articolo di Piero Ostellino sul Corriere del 22 dicembre relativo alla recente sentenza 348 della Corte Costituzionale relativa alle indennità di esproprio che così titola: "Proprietà privata quasi un crimine".

Incuriosito, vado a leggermi la sentenza. Forse mi sarò perso qualcosa?

Ed ecco, con qualche sorpresa rispetto all'articolo di Ostellino, che la Suprema Corte così dice: "È costituzionalmente illegittimo l'art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 conv. dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altresì l'applicazione ai giudizi in corso alla data dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992. La norma censurata – la quale prevede un'indennità oscillante, nella pratica, tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene – non supera il controllo di costituzionalità in rapporto al «ragionevole legame» con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il «serio ristoro» richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Consulta. La suddetta indennità è inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dall'imposizione fiscale, la quale si attesta su valori di circa il 20 per cento. Il legittimo sacrificio che può essere imposto in nome dell'interesse pubblico non può giungere sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà.
È costituzionalmente illegittimo – conseguentemente - anche l'art. 37, commi 1 e 2, del dPR 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
"

Ecco, la sentenza si muove proprio nel senso di una maggiore tutela della proprietà. Adesso sono più tranquillo, non mi ero perso niente.

Nel testo della sentenza la Corte ha fornito precisazioni su come si debba muovere il legislatore per porre rimedio al vuoto creato dalla Sentenza in questione, stabilendo che, nel disciplinare nuovamente la materia, egli non ha il dovere di commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato, e questo in ossequio alla "funzione sociale della proprietà" indicata all'art. 42 della Costituzione.
Tanto la Corte costituzionale quanto la Corte europea concordano infatti che il riferimento per la determinazione dell'indennità di espropriazione debba essere il valore di mercato (o venale) del bene, ma altrettanto convengono sul principio che non vi debba essere totale coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa per l'indennizzo di aree edificabili.

Ma che cavolo serve quell'articolo di Ostellino? e si è aggiudicato il premio Polena quale miglior articolo della settimana. Pensa un pò gli altri.

giovedì 27 dicembre 2007

il modello SoBoN

Come già notato in un precedente post, lo studio di Roberto Camagni sul modello negoziale pubblico-privato di Monaco di Baviera si dimostra particolarmente utile a definire un benchmark per le politiche urbane anche alle nostre latitudini.

Il Consiglio Comunale della città bavarese nel 1994 "delibera che ogni trasformazione urbanistica che implichi incrementi di valore fondiario e immobiliare possa essere realizzata solo a seguito di un accordo con gli operatori privati sulla assunzione dei costi sostenuti dalla municipalità per opere di urbanizzazione e servizi effettivamente realizzati; contemporaneamente sono emanate norme che facilitano la presentazione e la realizzazione di proposte di sviluppo immobiliare su aree private.

Fra il 1994 e il 1995 il cosiddetto modello SoBoN (Sozialgerechte Boden Nutzung) è lanciato
e discusso con gli operatori e gli stakeholders urbani, nello spirito di un partenariato pubblico-privato con attenta regia da parte del pubblico e regole ben chiare.
Dopo un forte confronto politico, nel luglio 1995 viene approvata dal Consiglio Comunale e dai rappresentanti degli operatori e dei proprietari una Risoluzione, che prevede:
- che l’onere da pagare/rimborsare da parte dei privati ammonti al massimo a due terzi (2/3) dell’incremento di valore fondiario/immobiliare stimato a seguito della trasformazione;
- che una parte dell’area sia trasferita gratuitamente alla Municipalità, per realizzare strade e aree a verde e funzioni collettive e aree “per compensazione” di impatti, nelle vicinanze del progetto o eventualmente in altre aree;
- che sia rimborsato l’onere da sostenersi da parte della Municipalità per realizzare le infrastrutture e per realizzare infrastrutture sociali;
- che siano rimborsate le spese per concorsi di architettura e per consulenze tecniche;
- che gli operatori accettino un rilevante costo per realizzare edilizia sociale per una percentuale pari al 30% della superficie fondiaria edificabile. L’onere per il privato è calcolato come differenza fra il prezzo di cessione alla municipalità delle relative unità immobiliari e il prezzo del libero mercato (una differenza che è calcolata in 2/3 e 1/3 del prezzo di mercato, rispettivamente per le due forme più importanti di sovvenzione, ai redditi bassi e
medio bassi);
- nel caso di sviluppo per attività commerciali, si prevede la realizzazione privata di aree e capannoni per artigianato e piccola impresa."


Molto rilevanti anche alcune valutazioni sulla base di dati desunti da alcuni casi reali.
Per quanto attiene "il valore del progetto (23%), che certamente incorpora in parte le
aspettative sulla nuova destinazione d’uso: si riconosce un buon margine alla rendita fondiaria (di cui sarebbe interessante conoscere il sistema di imposizione).
La quota del pubblico rappresenta una percentuale molto elevata (37%), mentre il valore attribuito al developer privato (al netto del costo del suolo ma al lordo dei costi di costruzione) si pone attorno al 40%.
La voce di gran lunga più rilevante all’interno della quota del pubblico è rappresentata dai costi (mancati ricavi privati) per la realizzazione di edilizia sociale: proprio quella voce che in Italia si è da tempo sostanzialmente annullata.
"

mercoledì 26 dicembre 2007

tschumi a tourcoing: lo spazio "tra"

Mi è sempre interessato ragionare, allorchè si parla di architettura, sulle tecniche di organizzazione dello spazio.

La riflessione sulla disgiunzione e sulla delocalizzazione, da Eisenman a Bernard Tschumi, ha stimolato, tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, l'invenzione di nuove tecniche di organizzazione dello spazio che sono state ampiamente utilizzate dagli architetti decostruttivisti. Tra queste una ha aperto a sviluppi successivi: è la tecnica denominata "In between". E' l'intervento su spazi che non sono né interni né esterni, ma, nello stesso tempo, interagiscono sulle architetture limitrofe dall'esterno verso l'interno, e sull' ambiente circostante dall'interno verso l'esterno.

E' quanto è stato indagato, ad esempio, da Tschumi nel centro (il National Studio for Contemporary Art ) Le Fresnoy a Tourcoing.
Il sito prescelto per la scuola è un lotto su cui insistono alcuni edifici, costruiti a partire dal 1905, che, dopo alterne vicissitudini, sono stati trasformati in un centro ricreativo per gli operai dell'area industriale di Tourcoing dotato di un parco giochi con sala da ballo, pista di pattinaggio, cinema da 1000 posti, arena pugilistica, bar e ristorante e, infine, abbandonati nel 1970.
Tschumi, aderendo all'invito del bando di concorso, li mantiene, apportandovi pochissimi miglioramenti. Questo porterà a ridurre al minimo la realizzazione di nuove volumetrie aggiuntive per completare l'intervento. Si limita a costruire nello spazio libero un manufatto destinato a cinema, sale di registrazione e uffici amministrativi. Ma, soprattutto, copre l'intero complesso con una copertura metallica di circa 100x80 metri, realizzata con parti opache e parti traslucide.

La copertura unica conferisce all'intero complesso coerenza d'immagine e, nello stesso tempo, contribuisce a mettere in risalto la differente morfologia degli edifici che ricopre. Inoltre, e soprattutto, tra il metallico nuovo tetto e quelli preesistenti ricoperti in laterizio si apre uno straordinario spazio interstiziale, uno spazio entre-deux. È un luogo intensamente abitato da camminamenti, da entrate alle aule nei sottotetti e anche di luoghi per stare o assistere ad avvenimenti magari dalle falde dei tetti esistenti che sono stati apposta rafforzati.

Tale struttura nella sua sovrapposizione viene a determinare uno spazio del tutto inconsueto che Tschumi chiama in-between. L'in-between è un ambito che si configura nella presa di coscienza della sua dimensione interstiziale, dove concorrono diversi campi di indagine: studio e ricerca, arte e sperimentazione, cinema e musica.





Così Antonino Saggio (ma anche qui): "L'in-between assume in questo progetto una declinazione che apre a pensieri sulle relazioni tra l'esistente e il nuovo, tra il passato industriale e il presente elettronico e mediale, tra la nostra idea di esterno e quella interno, tra i movimenti rigidi di un corpo meccanico e taylorizzato e i movimenti fluidi legati alle informazioni e alle interconnessioni.
(...)
L'architettura non nasce più pura, nuova e sola, ma si incunea, riammaglia, attraversa ed è continuamente attraversata dal già esistente. Si risparmiano così nuove aeree dall'edificazione e si creano spazi in sintonia con un generale interesse verso líibridazione e la complessità. L'operare "tra", per i suoi sostenitori e teorici, è infatti intimamente legato alla fase storica che stiamo vivendo. Se "i volumi puri" di Le Corbusier davano la direzione alla conquista del territorio da parte della civiltà industriale, l'in-between vuole appartenere alla civiltà post-industriale che ha sostituito l'implosione all'espansione."

L'in-between (in Italiano "il tra"), come le più antiche frasi di Sullivan ("la forma segue la funzione"), Mies ("il meno è il più") o Le Corbusier ("il gioco sapiente dei volumi sotto la luce") rappresenta per gli architetti un vero e proprio strumento di lavoro. O, come si dovrebbe dire un pò pomposamente, un dispositivo per costruire il mondo.

martedì 25 dicembre 2007

un pò di teoria per il finanziamento privato della città pubblica

In questo ultimo anno ho un pò riflettuto sul finanziamento privato alla città pubblica, segnatamente sotto forma di nuova edilizia residenziale sociale (che diventa nuova dotazione territoriale). Ne è venuta fuori la legge regionale (Liguria) 38/2007.
Roberto Camagni affronta il tema e ne dà una lettura di buon profondità (e non poteva essere altrimenti). Inizia l'esame del testo.

"L’intero ragionamento sul finanziamento degli investimenti pubblici prende le mosse dall’evidenza della crisi del modello tradizionale, che vedeva lo stato farsi carico di tutte le anticipazioni necessarie, stampando moneta (fino agli anni ’70) o emettendo titoli del debito pubblico. Lo sviluppo economico che ne seguiva, generando redditi (profitti, salari, rendite) e consumi, permetteva, attraverso la tassazione, di ripianare il debito. La crisi fiscale dello stato, generata dall’accumularsi esplosivo di deficit di bilancio pubblico e dal costo del conseguente servizio del debito per interessi, ha generato una impossibilità per lo stato di contrarre nuovi debiti per finanziare gli investimenti pubblici. Di qui la ricerca di modalità nuove di finanziamento dei pur necessari interventi, nell’attesa di generare risparmio pubblico sufficiente attraverso la riduzione delle spese correnti.

E’ importante subito comprendere che la rendita fondiaria urbana, intesa come il valore di scambio per l’uso del suolo, è ineliminabile: essa infatti si manifesta come la controparte in termini di valore dei vantaggi localizzativi offerti da ciascuna particella di suolo urbano.
(...)
I vantaggi localizzativi a loro volta sono creati dalla localizzazione dei seguenti asset:
- i beni pubblici di accessibilità,
- i beni pubblici di qualità urbana e ambientale,
- i servizi pubblici localizzati,
- la dimensione complessiva della città e la sua generale attrattività (efficienza, qualità della vita, identità).
Dunque: i vantaggi localizzativi (e la conseguente rendita fondiaria) sono creati dagli investimenti pubblici, dalla pianificazione e da quello che gli economisti classici chiamavano lo “sviluppo generale della società”. In conseguenza la rendita fondiaria sarebbe “un reddito non guadagnato”, che deriva da quanto accade per decisione in parte pubblica e in parte privata nello spazio circostante di ogni unità territoriale.
Importante è la conseguenza pratica che segue da questo ragionamento: come affermava Alfred Marshall alla fine dell’ottocento, se la rendita fondiaria fosse tassata al 100%, ciò costituirebbe uno sconvolgimento politico maggiore, ma dal punto di vista economico non genererebbe alcun effetto, “il vigore dell’industria e dell’accumulazione non ne sarebbe necessariamente danneggiato”.

E' solo per memoria che, in successive ristampe dei suoi Principles, Marshall abbia censurato questa frase: era intervenuta nel frattempo l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, che scomunicava, insieme al marxismo, il “georgismo”, la dottrina che prevedeva un’unica imposta del 100% sulla rendita e l’abolizione delle imposte su profitti e salari.

"Da tutto quanto precede, si può derivare la giustificazione per il secondo tipo di interventi, (...), per finanziare la produzione di beni pubblici urbani: la tassazione dei plusvalori fondiari derivanti dall’offerta e la localizzazione di nuovi beni pubblici (in una percentuale da definire “politicamente”).
(...)
Questo tipo di interventi può assumere tre forme parzialmente differenti:
- il “ recapture” di plusvalori patrimoniali immobiliari derivante dalla fornitura di beni pubblici localizzati (ad esempio, nuove stazioni lungo linee di trasporto pubblico metropolitano); le betterment levies inglesi e i contributi di miglioria specifica introdotti per qualche anno nella nostra legislazione negli anni ’60 appartengono a questa categoria;
- la tassazione dei developer, che trasformano terreni urbani divenuti appetibili grazie alla sopravvenuta (maggiore) centralità, anche attraverso procedure negoziali divenute normali nella maggior parte dei paesi avanzati;
- la internalizzazione di esternalità: con questo termine si intende la valorizzazione di terreni adiacenti alle aree di nuova accessibilità (nuove stazioni) attraverso la concessione di permessi di costruire edifici a varia funzionalità, in modo da poter generare plusvalori fondiari e immobiliari rilevanti da far rientrare nella disponibilità pubblica attraverso una tassazione. Nella maggior parte dei casi internazionali, il developer è costituito qui da una grande agenzia pubblica, ma niente vieta che si tratti di privati con i quali avviare una negoziazione pubblico/privato."

lunedì 24 dicembre 2007

ancora su Kiasma ad Helsinki

Anche Luigi Prestinenza Puglisi è utile ad archiviare qualche concetto su Steven Holl al Kiasma.



"Fondante nella poetica di Holl è l'aderenza del progetto a un concetto preliminare, tratto dalla letteratura, dall'arte, dalla scienza che però è svolto dall'architetto in termini rigorosamente disciplinari.
(...)
La stretta aderenza del progetto ad una metafora, che guida e indirizza ogni singola scelta di dettaglio, permette a Holl di concepire l'edificio in termini unitari, evitando i pericoli della frammentazione e della disomogeneità. Permette di indagare la qualità della luce, i valori tattili della materia, la fluidità delle forme nello spazio e, nel contempo, sfuggire allo snervato gioco dei segni che caratterizza la ricerca di altri architetti, cioè per capirci quel filone americano che, pur con esiti diversi, va da Venturi ad Eisenman."
Il processo progettuale evidenzia il fatto che il "segno perde, strada facendo, i suoi riferimenti intellettualistici per diventare pura riflessione sulle qualità dell'architettura. Formalismo assoluto, saremmo tentati di dire, garantito proprio dai concetti base di partenza: così arbitrari, così pervasivi, così necessari. L'opera, insomma, come unicum, in un rapporto inconfondibile con il luogo, garantito dalla felicità della metafora scelta."

domenica 23 dicembre 2007

ancora sul Kiasma di Steven Holl

Queste le quattro chiavi di lettura del progetto del Museo Kiasma di Stevel Holl a Helsinki e, con buona probabilità, di molte opere dello stesso Holl.
1) Forte interesse fenomenologico, perché il progetto si basa su esperienze dirette, fisiche e psicologiche a un tempo: percorrere, scoprire i flussi, sentire la luce e i materiali dell'architettura.
2) Richiamo al grande tema della metaforizzazione. Spesso nei progetti vi è un richiamo ad altro rispetto all'architettura: uno spartito musicale, una spirale che avvolge funzioni diverse, delle icone che si stagliano nel cielo.
3) Consapevolezza sul ruolo concertato che spazi aperti ed edifici giocano l'uno con l'altro per caratterizzare l'insieme del progetto.
4) Convinzione che il progetto -al pari di Louis Kahn- si debba fondare su un'idea forza.


Ma il museo di Helsinki è diventato anche il paradigma dell'architettura come narrazione. Così scrive Antonino Saggio:
"Una delle critiche spesso rivolte alle ricerche della nuova architettura è quella di aderire a modelli "pubblicitari e comunicativi" che implicitamente toglierebbero "verità" alla fabbrica edilizia e alla costruzione. (...)
I messaggi dell'epoca industriale erano dichiarativi, assertivi, certi. Pensiamo alla pubblicità. Quella della società industriale cercava di dimostrare la bontà del prodotto attraverso le sue caratteristiche, quella della società dell'informazione invece trasmette "una narrazione" una storia del prodotto, dando assolutamente per scontato che il prodotto funzioni. (...)
Lo stesso processo avviene per l'architettura: alla rappresentazione di logiche assolutamente oggettive (separazione di struttura e riempimento, coerenza tra funzione interna e forma esterna, divisione in zone congrue ai diverse usi) si sostituisce una narrazione. Un edificio non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli, storie. Possiamo puntare i piedi e appellarci a una diversa eticità, a una diversa moralità? Forse, ancora una volta, centrale è solo il "come". Il momento comunicativo, certo, può essere quello dei grandi hotel disneyani con cigni, sette nani e cappelli da cow-boy, ma può anche non essere un'applicazione posticcia di forme e contenuti simbolici a un'architettura scatolare ad essa estranea. Può essere una narrazione che pervade l'essenza stessa dell'edificio e che si connatura intimamente nelle sue fibre.
"

il Kiasma di Steven Holl

Il progetto del Museo Kiasma di Stevel Holl a Helsinki, già dal suo primo impatto, ha evidenziato innanzitutto il problema (e l'ottima soluzione adottata) dell'inserimento nella complessa intersezione urbana in cui si colloca. Si tratta, infatti, di un'area triangolare posta tra il parlamento neoclassico a ovest di Joseph Siren, la stazione ferroviaria di Eliel Saarinen a est, e la Casa Finlandia di Alvar Aalto a nord.


Il Museo Kiasma viene a completare così il disegno urbano che proprio Alvar Aalto aveva previsto per le sponde del lago: una serie di grandi attrezzature pubbliche che si specchiano sull'acqua e come "perle di una collana" punteggiano l'accesso verde al centro città.

A qualche mese di distanza dal viaggio di quest'estate, però, un articolo di Antonino Saggio è l'occasione per approfondire le ragioni fondanti del progetto.

Il Kiasma risulta composto da due corpi intersecanti. Uno rettilineo sul fronte stradale e un secondo, ad esso incastrato, a galleria. Il corpo a galleria si arcua avvolgendo il volume prismatico. La galleria varia anche la sua dimensione trasversale perché inizia con una parte stretta come una coda verso la città, e finisce con una grande "bocca" che si rivolge verso la Casa Finlandia di Aalto.


L'intersecarsi dei due corpi e la modifica progressiva della larghezza della galleria determinano all'interno spazi fluidi. Le stanze espositive sono rettangolari ma segnate su due lati dall'andamento arcuato dei muri: vogliono essere "silenziose ma non statiche" e sono differenziate attraverso la loro irregolarità. La variazione della sezione permette l'illuminazione naturale e alcune mirate vedute all'esterno.



Scale e rampe arcuate, trasparenze, superfici neutre, oltre all'assenza di dettagli architettonici troppo enfatizzati caratterizzano l'esperienza del visitatore.


Stevel Holl parte dall'esterno, dalle forze della città per manipolare i volumi del museo e da questa imposizione inventa nuove dinamicità e spazialità. I flussi si incrociano come nervi, concettuali e fisici, e dal loro intreccio nasce l'architettura.
Il nuovo museo è proprio concepito attraverso la sovrapposizione che i nervi ottici hanno nel cervello. La metafora anatomica si sovrappone all'omonima figura retorica.

"Ma cos’è un museo d’arte contemporanea? I nuovi musei d’arte contemporanea sono come le cattedrali del passato: monumenti eretti per manifestare i valori, l’ideologia, il prestigio di una città. In altre parole per capire in cosa oggi crediamo, qual è la “nuova religione” che ha sostituito quella espressa dalle antiche cattedrali, noi dovremmo osservare innanzitutto l’architettura".

Per comprendere appieno l’opera di Holl, bisogna quindi analizzare il contesto in cui si pone: il museo è stato collocato in una posizione strategica, un fulcro attorno al quale ruota la città, un vero e prorpio punto di intersezione.
Un'altro aspetto di enorme rilevanza è che questo punto d’intersezione non corrisponde a nessuna forma geometrica ben definita: è come un immenso corpo indefinito, composto da due volumi, uno curvilineo e uno rettilineo compenetranti fra loro.
Il concetto del chiasmòs, se è valido all’esterno, lo è ancora di più all’interno del museo dove, dall’atrio partono e si intersecano le rampe d’accesso ai piani superiori. E contribuiscono a determinare l’immagine di un complesso continuo, senza inizio e senza fine.
Il Kiasma vuole essere un insieme in perpetuo movimento, dove i più diversi spettacoli e progetti s’inseriscono gli uni accanto agli altri. Così il Kiasma si rivela non un mero spazio fisico, ma innanzitutto una dimensione della mente, un catalizzatore per miriadi di pensieri e discorsi, uno stimolatore in continua evoluzione per la ridefinizione ininterrotta dell’arte e della cultura, uno spazio vivente e dinamico dove chiunque potrà intensificare le proprie percezioni…”.


Scopo del museo è quindi quello di essere uno spazio fisicamente e concettualmente in costante trasformazione. Le differenti esperienze spaziali consentono di ospitare varie forme di arte contemporanea e il cambio costante di prospettiva e la dinamica circolazione interna lasciano al visitatore la scelta del percorso.

martedì 18 dicembre 2007

sicurezza sui luoghi di lavoro: guardare sulla strada (non a caso)

Negli ultimi anni mi sono, seppur occasionalmente, occupato di sicurezza sul lavoro. Segnatamente nei cantieri mobili.
Rispetto a tutte le istituzioni e le organizzazioni che ho visto all'opera, non ho avuto il piacere di vedere un ragionamento fondato su qualche numero che vada oltre all'ovvio. E a qualche dichiarazione di principio scarsamente vincolante.
Oggi su LaVoce.info Andrea Moro mostra con una qualche efficacia un'evidenza empirica di un certo rilievo.

I dati presentati indicano che la differenza fra i tassi di mortalità sul lavoro italiani ed europei è dovuta in gran parte alla maggiore pericolosità delle nostre strade. Tali dati, infatti, suggeriscono la possibilità che la pericolosità dell'ambiente di lavoro italiano non sia intrinsecamente molto più alta che nel resto dell'Europa. È possibile invece che i processi produttivi implichino maggiori spostamenti dei lavoratori su strada, forse a causa di un minore uso di tecnologie che permetterebbero di evitarli.


"Eurostat fornisce i numeri , suddivisi per paese, sui decessi avvenuti per lavoro. L'ultimo dato disponibile si ferma al 2004, quando in Italia si sono verificate 994 morti sul lavoro.
(...)
Oltre al numero totale degli incidenti sul lavoro, Eurostat riporta anche il numero di decessi avvenuti a causa del traffico stradale e a bordo di qualsiasi mezzo di trasporto per il totale di un insieme di settori: agricoltura, manifattura, energia, costruzioni, commercio, hotel e ristorazione, e attività finanziarie (si noti l'esclusione del settore trasporti da questo aggregato).
(...)
Notevoli sono le differenze con l'Europa: nel 2004, il traffico ha causato in Italia il 44 per cento dei decessi in questi settori, contro il 23 per cento nella media europea (nel 2005 si arrivò addirittura a un picco del 53 per cento). Significa che dei 944 morti sul lavoro riportati nel nostro paese in quell’anno, 693 sono in questi settori e fra questi ben 307 sono dovuti al traffico stradale. Assumendo che gli ulteriori 130 morti nel settore dei trasporti siano avvenuti "sulla strada", si arriva a spiegare almeno il 46 per cento dei decessi sul lavoro avvenuti nel 2004: quasi la metà mentre l'equivalente valore percentuale è 32 nella media europea, 32 nella Germania, 38 in Spagna, 36 in Francia."

Una conferma, con dati diversi (che significa confermare ancor di più), arriva da un contributo di Giampaolo Galli fondato su numeri messi a disposizione dall'INAIL.
In base ai dati Inail, gli infortuni stradali sono di gran lunga la prima causa delle cosiddette morti bianche. A essi è riconducibile circa la metà dei morti sul lavoro.
Il dato che colpisce tuttavia è che la circolazione stradale rimane mediamente più rischiosa anche quando si effettuino confronti con i settori produttivi in cui è più alta la frequenza degli infortuni.

"Il totale dei morti sulle strade italiane è di 5.426 unità (dato Istat 2005). I morti sui luoghi di lavoro, al netto dei 638 riconducibili a incidenti stradali, sono 642. Il numero dei decessi sulle strade è dunque molto più alto di quello che si registra all’interno dei luoghi di lavoro: il rapporto è di oltre 8 a 1.
(...)
In base ai dati Istat, il monte ore lavorate in un anno in Italia è di 44,6 miliardi (corrispondente a una media per occupato di 1.495 ore, inclusiva dei lavori part-time e intermittenti). Ipotizzando che il tempo medio trascorso su strada sia di un’ora al giorno per abitante, il monte ore annuo relativo all’intera popolazione sarebbe di 21,5 miliardi. In questo caso, il rapporto di 8 a 1, in termini di valori assoluti, diventa di 17 a 1, se valutato in termini di rischio per unità di tempo. Secondo un’ipotesi forse più verosimile, il tempo medio trascorso su strada è più vicino alla mezz’ora. In tal caso il rapporto in termini di rischio diventa di 34 a 1.
(...)
Nel 2005, i morti nel settore delle costruzioni, al netto di quelli dovuti a infortuni stradali, sono stati, secondo l’Inail, 170. È un dato elevato, specie se confrontato con i morti (sempre al netto di quelli dovuti alla circolazione stradale) registrati nell’intera industria manifatturiera (112 unità). Dato che il monte ore lavorato nelle costruzioni è di 3,3 miliardi (fonte Istat), il rapporto di rischio per unità di tempo si colloca fra 5 e 10 (a secondo che il tempo medio trascorso su strada sia di 1 ora o di mezz’ora)."

venerdì 14 dicembre 2007

superfetazioni e architettura

Bisogna avere "buoni occhi" per cogliere la qualità (e la poesia) in una superfetazione. Grazie Comidademama. Nelle foto sotto Park Avenue (New York).


risultati test

Ecco la colonna vincente:
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domenica 9 dicembre 2007

il rapporto Censis e le questioni territoriali

Oltre al triste commento di Giuseppe De Rita sullo stato dell'Italia che ha beneficiato del commento un pò su tutti i giornali, la lettura del Rapporto sullo stato sociale dell'Italia 2007 a cura del Censis evidenzia altre questioni degne di nota. Nel seguito alcuni appunti presi dal par.7 "Territorio e Reti".

La programmazione comunitaria
L’anno che si sta chiudendo ha segnato l’avvio del nuovo periodo di programmazione dei fondi strutturali.
Gli interventi fondamentalmente possono riguardare la promozione:
a) dei fattori competitivi delle città, con particolare riferimento ai settori innovativi;
b) della coesione interna alle aree urbane (quartieri a rischio, sicurezza);
c) di un policentrismo equilibrato.
In Italia, i nuovi Programmi Operativi Regionali hanno recepito questa possibilità? La sensazione generale è che i temi territoriali siano rimasti in un certo senso ai margini, essendo trattati in sostanza come argomenti specifici.
Ne è la riprova il fatto che all’interno della descrizione della strategia di sviluppo il territorio è presente come capitolo a parte (“aspetti specifici di sviluppo a carattere territoriale”) dove si tratta, in termini un po’ obsoleti e sbrigativi, di sviluppo urbano e sviluppo rurale.

Il ruolo delle Province
Un’indagine condotta presso gli enti locali e i soggetti di rappresentanza economica che operano all’interno dei diversi territori provinciali individua comunque un tratto unificante: l’esigenza di un presidio forte dell’area vasta in grado di innescare processi di coinvolgimento delle diverse soggettualità presenti nei territori e di concertazione in merito alle azioni da sviluppare.
Per svolgere al meglio questo compito, le province dovranno sempre più caratterizzarsi come centri di condensazione delle istanze territoriali.

La valorizzazione del patrimonio pubblico
Nell’ambito di una tendenza (da tutti auspicata, ma non sempre praticata), a dare risposta alle nuove domande di attrezzature e spazi urbani privilegiando la rifunzionalizzazione del patrimonio immobiliare esistente, in modo da contenere così il consumo di suolo, si aprono nuove opportunità per rimettere in gioco il patrimonio pubblico sottutilizzato.
Dopo la stagione del recupero delle aree industriali dismesse (rilevante soprattutto nelle città del nord), si potrebbe dunque finalmente avviare una nuova fase legata al recupero di decine di contenitori pubblici non più utilizzati: caserme in disuso, vecchi ospedali, carceri abbandonate.


Il pendolarismo
Nell’intervallo 2001-2007 si è registrato un incremento di pendolari studenti e lavoratori (soprattutto impiegati, operai e insegnanti) del 35,8%, corrispondente a 3,5 milioni di persone in più, a fronte di una crescita complessiva della popolazione italiana residente, nello stesso periodo di tempo, di poco più di 1,7 milioni di abitanti (+3,1%). Si tratta di uno straordinario progresso quantitativo che va senz’altro messo in relazione con due aspetti che hanno caratterizzato l’evoluzione socioeconomica del Paese nell’ultimo periodo: l’aumento del numero degli occupati (passati dai 21,6 milioni del 2001 a quasi 23 milioni, con un tasso di disoccupazione ridottosi dal 9,1% al 6,6%) e il contemporaneo incremento del numero degli studenti delle scuole secondarie di II grado e iscritti all’università (nell’insieme sono cresciuti dai 4,2 milioni del 2001 ad oltre 4,5 milioni).



domenica 2 dicembre 2007

le case di Ikea

La svedese Ikea, con la multinazionale delle costruzioni SkanSka, propone nel suo catalogo anche case prefabbricate (palazzine fino a 4 piani con appartamenti e villette) a prezzi varanti da 25.000 euro a 45.000 con il nome BoKlok (in svedese, “vivere in modo ecocompatibile”).

All’interno di ogni appartamento una o due camere da letto, cucina arredata, bagno con doccia e ripostiglio. La costruzione/assemblaggio viene realizzata da operai specializzati in meno di un mese. Nel 2007 verrà costruito a Glasgow in Scozia un intero quartiere “povero” BoKlok.

Ed ecco la traduzione dal sito BoKlok.

L’idea generale
BoKlok offre buone case a basso prezzo per tutti. Abitazioni di alta qualità e ben progettate. Le case BoKlok sono uniche, per forma e funzione. Sono abitazioni smart, adatte ai bisogni quotidiani della famiglia moderna. Il nostro marchio di fabbrica sono ampi spazi interni luminosi con alti soffitti. E anche piccole zone residenziali ben concepite dove si conoscono i vicini e ci si sente tranquilli e sicuri. Terreni Per realizzare la nostra idea di bassi prezzi, non cerchiamo spazi nelle zone più esclusive. D’altra parte, sono indispensabili buoni accessi a comunicazioni e servizi. L’acquisizione delle aree si attua attraverso i nostri agenti nei rispettivi bacini geografici di mercato.

Caratteristiche dei luoghi [esempio dal caso Gran Bretagna]
BoKlok cerca di realizzare nuove abitazioni in tutta la Gran Bretagna. Siamo particolarmente interessati a localizzare i nostri interventi nelle zone della Grande Londra, in Kent, Surrey, Sussex, Hampshire, Yorkshire, Teeside, Tyneside e Scozia Centrale. La linea di prodotti Boklok attualmente offre abitazioni nei formati di blocchi ad appartamenti da sei alloggi in su. Ciò premesso, siamo alla ricerca di aree adatte alla costruzione di complessi da 12 a 100 alloggi. Prendiamo in considerazione aree sia già destinate dai piani che prive di destinazione, sia zone per case economiche che terreni disponibili sul libero mercato. Abbiamo una buona disponibilità di risorse e possiamo agire rapidamente per quanto riguarda l’acquisto dei terreni. Il prodotto BoKlok è particolarmente adatto a zone di proprietà degli organismi pubblici, dove l’edificazione può contribuire a realizzare case economiche per il segmento residenziale intermedio.

Prodotti
Gli edifici ad appartamentiBoKlok sono il massimo in quanto a sensazione di abitabilità, circondati da prati, alberi da frutto e arbusti. Gli appartamenti offrono soluzioni a pianta libera con alti soffitti e ampie finestre, spazio e luminosità.
La Villa BoKlok è di moderna progettazione, con due possibilità di facciata. Il pianterreno su 92 mq è a pianta libera, con zona notte a tre stanze. Il livello superiore è fornito non terminato. Le case BoKlok sono progettate per dare la sensazione di abitare in una casa davvero propria. I complessi sono di pochi piani, con un numero di isolati contenuto. A completare il senso di comunità e l’ambiente sicuro, i cortili interni e gli spazi verdi con panchine e alberi da frutto. Gli interni sono progettati accuratamente con una pianta aperta flessibile, alti soffitti e ampie finestre, che conferiscono agli appartamenti un carattere arioso e contemporaneo.



Il nostro cliente
BoKlok mira a rivolgersi a un pubblico più vasto possibile, nella fascia di reddito media e leggermente inferiore alla media. Il nostro cliente sarà:
- il piccolo nucleo familiare
- la famiglia di lavoratori dipendenti con un reddito medio di circa 20.000-45.000 € l’anno
- persone che non possono accedere alle abitazioni sociali
- acquirenti della prima casa
- persone attualmente allontanate per motivi di prezzi, saturazione di proprietà, orientamento all’affitto, dalla zona scelta.