venerdì 25 febbraio 2011

prima si fa il contenitore e poi ci si mette dentro qualcosa

Con il DDLr 114 la Regione Liguria procede all’accorpamento di alcune società controllate sotto il nome di Infrastrutture Liguria. In definitiva di tre distinte società ne fa una sola. Fin qui nulla di male. Anzi.
Poi si va a leggere cosa dovrebbe fare la nuova società. E allora le idee si confondono un po’ di più. Nel dettaglio, la funzione principale sembra sia quella di redazione degli studi di fattibilità e della progettazione necessaria per procedere all’appalto, nonché, qualora previsto nel programma stesso, effettuazione delle ulteriori fasi di progettazione e direzione lavori”. In altri termini, una società pubblica che ha la mission di progettare e fare il direttore dei lavori. Accidenti… questa mancava.

Allora uno si interroga a cosa potrebbe mai servire una società pubblica nel mondo degli appalti. Ad esempio, potrebbe essere di supporto agli altri Enti pubblici nelle procedure di appalto e, ove del caso, potrebbe proprio essere una centrale di committenza a vantaggio di altri Enti che hanno più difficoltà a seguire tutto il lunghissimo e tortuosissimo iter di appalto.
È inutile tutto ciò? Vuoi mettere progettare e fare il direttore dei lavori? Sarà…

Poi leggo dall’ultimo Rapporto Italia dell'EURISPES, segnatamente nel capitolo 9, qual è la capacità di spesa del Mibac, cioè uno dei Ministeri in funzione dei quali i “tagli” alla spesa fanno più male. E quindi capisco che pur essendo vero che negli ultimi anni si è assistito a una riduzione dei fondi stanziati per il settore, le giacenze di risorse nelle contabilità speciali farebbero pen­sare che qui risieda il vero problema nell’amministrazione dei beni culturali. Indubbia­mente, tale situazione è un portato di problemi organizzativi. Il sistema delle contabili­tà speciali fu introdotto proprio per favorire l’operato dei funzionari responsabili degli istituti centrali e periferici. I numeri, però, sembrano proprio dirci che l’obiettivo non è stato realizzato. La maggiore percentuale delle giacenze nelle contabilità speciali è rappresentata da stanziamenti per interventi di tutela e valorizzazione.

Nel periodo che va dal 2002 al 2009, le uscite non fanno registrare grandi differenze: questo potrebbe voler dire che la capacità di spesa non può andare oltre un certo li­vello. Anche se aggiungessimo risorse finanziarie al settore, rimanendo inalterata la struttura del Ministero, è probabile che non si ottenga una maggiore spesa.

Un fattore chiamato in causa per spiegare questo fenomeno è rappresentato dalla diminuzione del personale afferente al Mibac. In realtà, negli anni che vanno dal 2004 al 2009 la diminuzione è stata molto lieve, si è passati infatti da 21.642 addetti a 21.053 unità. Piuttosto il problema potrebbe essere rappresentato dalla distri­buzione territoriale del personale: se la Campania ha il 18,4% del personale, la larghissima maggioranza delle altre regioni non va oltre il 5% e quasi il 50% dell’organico è concentrato in 3 regioni: Lazio, Campania e Toscana.

Vuoi vedere, allora, che Infrastrutture Liguria forse un ruolo potrebbe anche averlo? Non è proprio quello di progettare e fare il direttore dei lavori, però, un passo è stato fatto. Quando poi arriva qualche idea, anche quel contenitore potrebbe avere un senso.


domenica 20 febbraio 2011

riqualificare i condomini, non fare carta (i certificati energetici)

Un'idea sulla quale stiamo ragionando da qualche tempo per migliorare la situazione energetica nel settore civile prende le mosse dall'assunto che se non si mette mano all’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente, il problema energetico in Liguria (ma l’Italia in generale non è diversa) non si risolverà mai. Sul punto, infatti, i dati forniti dalla Relazione sullo Stato dell’Ambiente ligure sono chiarissimi: il 48,8% dei consumi finali sono fagocitati da consumi finali per gli edifici residenziali privati e dal patrimonio immobiliare pubblico.
Riscaldamento, raffrescamento, acqua calda e consumi finali di energia elettrica, rappresentano quindi la fetta più grossa del mercato energetico. Fetta che, a differenza degli altri comparti, nel tempo non ha visto ridurre il proprio valore assoluto. Se, infatti, i consumi finali globali si sono nel tempo ridotti, nel comparto civile -per il quale il PEAR individuava come obiettivo una riduzione del 10% da conseguire entro il 2010- non si osserva una tendenza analoga: nel 1998, il valore dei consumi nel comparto civile è stato di 1.323 ktep, nel 2005 tale valore si è elevato fino a raggiungere i 1.453 ktep.
Tale performance, inoltre, stride ancor più se si fa riferimento ai target fissati dalla Commissione europea che, attraverso la Politica energetica per l'Europa, ha proposto una serie di obiettivi per l’anno 2020, tra cui vi è la riduzione di almeno il 20% dei consumi attuali.

Sul civile la nostra regione ha investito soprattutto in termini normativi e procedurali (ad es. Certificazione energetica e relativo regolamento) ma queste iniziative avranno ricadute molto limitate sul piano complessivo, dato che sono limitate alle nuove costruzioni oppure ai casi di modifiche rilevanti del patrimonio edilizio esistente. 
L’attuale architettura normativa si limita ad agire sulla nuova edificazione che, però, rappresenta solo il 5-6% dello stock edilizio complessivo ligure. Inoltre, la vita media degli edifici si aggira attorno ai 70-80 anni; in altri termini, per tutto questo tempo, molto difficilmente un edificio verrà interessato da interventi di riqualificazione strutturali.

Ecco, quindi, che con l’attuale quadro giuridico ben poco si può sperare di ottenere al fine di invertire il trend di consumi totali, dato che il raggiungimento di elevati standards di efficienza in pochi nuovi interventi, senza intaccare viceversa il grande comparto del patrimonio esistente, al più raggiunge il risultato di frenare l’incremento dei consumi. Non certo quello di invertire una tendenza.

La normativa ligure, infatti, non ha ritenuto di agire in modo incisivo, almeno fino ad oggi, sul piano dell’incentivazione alla riduzione dei consumi finali da parte degli attuali consumatori. Per tutti i motivi appena menzionati, è necessario affrontare nel breve periodo il problema del risanamento energetico delle preesistenze edilizie.

In una situazione così le strategie possibili sono essenzialmente due: o una politica, diciamo così, di riqualificazione della generazione energetica (cioè aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili), o cercare di ridurre i consumi.
La Regione Liguria, per la verità, ha molto investito e sta ancora investendo nell’incentivazione delle energie rinnovabili. A fronte dell’impegno pregresso, la produzione di energia rinnovabile in tutti i comparti economici –quindi non solo nel settore civile- è ancora poco inferiore ai 100 ktep. È davvero difficile, quindi, pensare che in tempi ragionevoli si possa assistere a una riduzione sensibile dei consumi originati da fonti tradizionali attraverso impianti –necessariamente di grandi dimensioni- che sfruttano le energie rinnovabili.

Scegliere invece la seconda strada, quella della riduzione dei consumi, ovviamente non deve significare ridurre gli standard qualitativi di vita, bensì migliorare l’efficienza di macchine e impianti, ma soprattutto degli edifici.
Quest’ultima strada sarebbe certamente la più conveniente e con gli effetti più duraturi, strutturali e largamente vantaggiosi. In Liguria ci sono circa quasi 700.000 edifici, nell’ambito del quale il 90% circa ha fabbisogni energetici altissimi: circa 200-250 kwh/mq (anno) che significano 25 litri di gasolio o 25 mc di metano/mq anno.

Esiste quindi la necessità di predisporre un grande programma di risanamento energetico degli edifici esistenti. Dimezzarne i consumi significherebbe infatti uscire definitivamente dalla crisi energetica, liberando importanti risorse finanziarie suscettibili di andare a beneficio di tutti i settori economici nonché dei bilanci delle famiglie liguri.

sabato 12 febbraio 2011

attenzione alla Classe A

Nel documento programmatico del Congresso Nazionale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, tra le tante cose, leggo che uno degli strumenti attivabili al fine di canalizzare risorse finanziarie nel settore urbanistico viene individuato un "programma di demolizione e ricostruzione che utilizzi la leva normativa e fiscale per creare un doppio mercato degli alloggi (quelli in classe A e quelli "non a norma") in grado di determinare un consistente afflusso di risorse private e per favorire, con apposite incentivazioni, la mobilità dei residenti all'interno del patrimonio edilizio esistente".

La volontà degli estensori del documento sembra essere quella di promuovere interventi di una certa dimensione finanziaria che traguardano la demolizione di edifici esistenti e, magari, operazioni di ristrutturazione urbanistica. Sono proprio questi i momenti ove si ha la possibilità di riorganizzare, magari marginalmente, anche porzioni del tessuto edilizio.
Le leve che vengono individuate sono almeno due e partono entrambe da una qualche classificazione del patrimonio edilizio sotto il profilo energetico: a basse classi energetiche corrispondono sia possibili incentivi volumetrici sia un possibile inasprimento dell'imposizione. Suppongo patrimoniale.

Quali effetti potranno essere attivati da un'impostazione di questo genere? Ci potrà essere una generalizzata riduzione del valore patrimoniale di gran parte del patrimonio immobiliare (quello che non è a norma) causato dalla maggiore imposizione fiscale. In alternativa, ci potrà essere un sensibile apprezzamento di quella esigua porzione di stock edilizio (di recente o nuova costruzione) che è in classe A o comunque a norma.
Per quanto riguarda, invece, la promozione di interventi immobiliari, credo che la frammentazione proprietario dello stock edilizio determinerà pochi interventi di demolizione e ricostruzione. Questi ultimi, infatti, richiedono non solo la perdita temporanea dell'uso dell'immobile ma anche una certa disponibilità di capitale (o la disponibilità a indebitarsi). Queste condizioni potranno essere soddisfatte in non molti casi.

Quanto sinteticamente osservato prefigura comunque qualche risultato dal punto di vista urbanistico: anche pochi interventi significativi di demolizione e ricostruzione (con ristrutturazione urbanistica) sono tali da produrre effetti benefici su porzioni precise di tessuto edilizio. I risultati sotto il profilo energetico, però, sono destinati a essere marginali, praticamente irrilevanti.
La possibilità di ottenere qualche effetto di riduzione del fabbisogno energetico delle nostre città non passa certo dalla realizzazione di qualche intervento ad elevate o elevatissime prestazioni. Gli effetti risulterebbero tangibili allorché una parte consistente dello stock edilizio esistente potrà essere interessato da interventi di risanamento energetico.

Per attivare un simile scenario non importa il raggiungimento della ormai famigerata Classe A. Un condominio esistente, ma forse anche un qualunque villino, è quasi impossibile possa raggiungere anche la Classe B. Se non demolendolo e ricostruendolo. Ma arrivare a Classi di rendimento inferiori (C o anche D) non significa affatto che gli effetti energetici siano irrilevanti. Anzi.
Sulla base di alcuni casi di studio, limitando l'intervento alla sostituzione del generatore condominiale di calore, all'inserimento di nuovi sistemi di regolazione della temperatura interna e alla sostituzione integrale degli infissi, si riesce quasi a dimezzare i consumi stimati per il riscaldamento. Però la classe energetica dell'immobile tende a rimanere inalterata: classe G. E, nel caso di edifici che non hanno il riscaldamento centralizzato, la sostituzione del generatore non è possibile. Al più, si può pensare si sostituire le "caldaiette" con le pompe di calore.
Se a questi interventi di riqualificazione energetica aggiungiamo anche il cappotto esterno, la riduzione dei consumi arriva quasi al 75% rispetto alla situazione di partenza, ma la classe energetica ottenuta non va oltre la classe D.
Per ottenere una classificazione ancora superiore, probabilmente sarebbe necessario intervenire su tutte le altre superfici di confine con l'esterno, quali ad esempio quelle contro terra o verso i locali interrati. In altri termini, occorrerebbe entrare e fare i lavori in tutti i box o le cantine. Direi situazione impossibile.

la rendita e i programmi urbani complessi

Dell'esperienza di un programma urbano complesso dedicato al social housing a San Bartolomeo al mare ho parlato alcune altre volte (qui, ad esempio). 
Lo stesso PRU, proprio a partire dalle maggiori critiche, è un buon banco di prova per comprendere le potenzialità di innovazione sul fronte della gestione urbanistica. Quindi, veniamo alle critiche: i vantaggi offerti dalla variazione del quadro urbanistico per i soggetti privati non compensano i vantaggi per il pubblico, rappresentati dalla produzione di alloggi sociali "chiavi in mano".

Può essere. Ma mettiamoci qualche numero per verificare.
Gli oneri tabellari del Comune per la funzione residenziale, solo negli ultimi anni, sono pari a circa € 167,50 ogni mq di costruito. 
Gli interventi ricompresi nel PRU prevedono non solo la realizzazione di alloggi a canone moderato (o sostenibile che dir si voglia) ma anche la realizzazione di specifiche opere di urbanizzazione (segnatamente spazi di parcheggio pubblico) da cedere gratuitamente al Comune.
Considerando il costo di costruzione degli alloggi ERS e la relativa incidenza del valore dell'area, sommando questo componente al più consueto costo di realizzazione delle opere di urbanizzazione scomputabili previste dai vari interventi, si registra un'incidenza delle contropartite pubbliche su ogni mq di edilizia libera variabile tra 931 €/mq a 1.107 €/mq. 
La media è quantificabile in circa 981 €/mq. Quasi sei volte gli oneri tabellari. E, particolare non proprio indifferente -basta avere un vaga idea di che cosa sia la rendita fondiaria-, in periodo di mercato immobiliare stagnante, tale onere si ripercuote quasi interamente sul proprietario dell'area. In altri termini, il maggior "prelievo" pubblico sotto forma di opere di interesse pubblico comprime il valore della terra.

Risultato di poco conto? Ognuno ha la propria opinione. Certo è che per un Comune che dal 1995 e per i dieci anni successivi (cioè durante tutto l'ultimo boom immobiliare) ha tenuto gli oneri concessori in classe C ai sensi della lr 25/95, cioè pari a 60 €/mq (via via rivalutati con l'inflazione), il PRU è già un gran risultato. Nel senso che finalmente attribuisce a chi edifica buona parte degli oneri conseguenti, senza scaricarli sulla fiscalità generale via ICI sulla seconda casa. Tanto il turista non vota.

Ciò che però oggi rileva è il fatto che il PRU, applicando la consolidata strategia dei programmi urbani complessi, attribuisce i diritti edificatori contestualmente alla valutazione delle contropartite pubbliche e così facendo mette nelle condizioni il governo locale di poter "tassare" molto di più l'intervento immobiliare. 
Questo si è rilevato uno strumento, seppur del tutto da perfezionare e mettere a regime, che cerca di fornire una risposta all'inadeguatezza palese del PRG vigente nel sostenere l'Amministrazione locale nel prelevare quote di rendita fondiaria al fine di trasformarle in capitale fisso sociale. E i numeri sembrano dire che si è sulla strada giusta.

sabato 5 febbraio 2011

la fuffa e i numeri

La redazione di un Piano Urbanistico Comunale (PUC) è percorso lungo e, a volte, tortuoso. Nelle fasi iniziali, poi, c'è poco da dire. Almeno apparentemente. È il momento della descrizione fondativa e del documento degli obiettivi. Il sapore della fuffa è proprio dietro l'angolo. Ed è sicuramente così se non si tirano fuori i numeri. Così scrivevo in una mail qualche tempo fa. 

Applicando il caso al comune di mia residenza, San Bartolomeo al mare, vediamo come agisce l'introduzione dell'Edilizia Residenziale Sociale.
Il dimensionamento dell’incremento del peso insediativo comunale potrebbe, infatti, prendere le mosse dal fabbisogno massimo di Edilizia Residenziale Sociale (ERS), quantificabile in 61 alloggi.
Rispetto a questa determinazione, il recente PRU per alloggi a canone sostenibile –con i suoi 23 alloggi- è tale da coprire il fabbisogno in modo parziale. Il fabbisogno che dovrebbe residuare dalla completa attuazione del PRU sarebbe pari a 38 alloggi.
Considerando un dimensione media di ciascun alloggio, in termini di Superficie Agibile (SA), pari a 50 mq, il corrispondente fabbisogno di ERS è quantificabile in 1.900 mq (38 alloggi x 50 mq).
Applicando l’aliquota ordinaria del 10% ex art.26, comma 4, lett. b), punto 2) della lr 38/07 e s.m.i. relativa al rapporto tra ERS ed edificazione totale residenziale, l’incremento massimo di peso insediativo residenziale suscettibile di essere offerto dal nuovo Piano Urbanistico Comunale (PUC) potrebbe quindi essere pari a 19.000 mq di SA.
Tale incremento, in termini di volume, corrisponde a una volumetria residenziale pari a poco meno di 60.000 mc.

Quali termini di paragone, a puro titolo esemplificativo, si consideri che il precedente Strumento Urbanistico Generale, cioè il PRG vigente e al netto delle varianti che si sono susseguite negli anni della sua gestione, aveva previsto un fabbisogno residenziale massimo quantificato in circa 1.695 stanze, pari a 135.600 mc. 
Rispetto a questo fabbisogno stimato, pur non avendo il dato dell'esatta offerta insediativa, il calcolo che si può fare sommando le potenzialità edificatorie di tutte le 55 zone edificabili (e al netto delle consistenze già in essere) porta a determinare la volumetria offerta dal PRG vigente i poco più di 110.000 mc. Cioè, quasi il doppio di quanto strettamente necessario applicando alla lettera la nuova disciplina riferita all'ERS.

la dimensione dell'alloggio sociale

Recentemente mi è capitato di confrontarmi (il confronto è un pò eufemistico) con alcuni uffici regionali per alcuni interventi edilizi caratterizzati da una quota di edilizia residenziale sociale (alloggi a canone moderato).
Nulla da eccepire sulla quota di ERS. Alcune perplessità, invece, sulla dimensione degli alloggi. Semplici perplessità o, forse, motivi ostativi. In ogni caso è stato notato che gli alloggi sociali erano un po’ piccoli. E non posso che confermarlo: rispetto alla media regionale dello stock abitativo occupato da residenti (l’abitazione media è composta da circa 4 stanze), gli alloggi di ERS erano più piccoli.
Per la cronaca, più dell’ottanta per cento degli alloggi a canone moderato erano caratterizzati da una superficie utile (una sorta di superficie netta) compresa tra 42 e 51 mq: ampi bilocali oppure piccoli trilocali. Due alloggi avevano una superficie utile superiore ai 60 mq, cioè idonei ad accogliere un nucleo familiare di 4 persone.

Il ritorno sulla scena pubblica del tema della casa degli ultimi anni si scontra evidentemente non solo con problemi di finanza pubblica ma anche con problemi squisitamente progettuali. E magari è anche utile rifletterci un po’ sopra.

In primo luogo, si pone il problema dell’appropriatezza della risposta progettuale rispetto alla domanda. Domanda di casa sociale che non è fatta da una famiglia idealtipica composta da marito, moglie e due figli. Ma che è composta da un caleidoscopio di esigenze. E queste esigenze sono soprattutto rappresentate –almeno quantitativamente- da nuclei familiari di piccole dimensioni: più del 69% dei nuclei familiari residenti nel bacino d’utenza dei progetti di cui sopra sono composti da single o al massimo da coppie. Non è detto di anziani: la coppia può essere anche un coniuge separato con il figlio. Ma non è tutta la Liguria ad avere questa stratificazione sociale?
La stessa composizione sociale la si trova anche nel più ristretto campione di famiglie che abitano in un alloggio di ERP gestito dalle quattro ARTE liguri. I single sono il 33,03% degli assegnatari mentre le coppie sono il 34,21%: si arriva al 67,24%. In pratica, la struttura familiare che abita in alloggi sociali liguri è uguale a quella che abita fuori da questo ristretto ambito.  Se poi consideriamo anche i nuclei familiari da tre persone residenti, arriviamo a un totale di 86,09% di famiglie assegnatarie.

Offrire un quadrilocale per famiglie che per i 2/3 sono composte al massimo da due persone e che per poco meno del 90% sono al di sotto delle quattro persone, significa andare oltre lo stretto necessario. E di molto.

E vediamo allora cosa significa andare oltre l’Existenzminimum dal punto di vista sociale. Mi affido ad Andrea Villani (qui). Detto da me, invece, la riassumo così: si sprecano risorse anche quando le tirano fuori i soggetti privati che realizzano gli interventi edilizi. E dato che la carenza di alloggi rispetto alla domanda è un problema cronico, fornire una risposta sociale sovrabbondante solo per poche famiglie non è proprio una furbata. È solo un modo per acuire la discriminazione tra chi è sovra tutelato e chi non lo è affatto.

effetti "quasi" inintenzionali

Inizio una serie di post con temi esclusivamente locali. In linea generale, mi interessano poco i blog che si occupano di questioni circoscritte. In realtà, però, anche così c'è modo di affrontare questioni di portata più generale.
In molti settori della vita associata, infatti, ci sono pochi che pensano e parlano mentre sono tanti quelli che, di fatto, si fanno indirizzare. A livello locale, spesso, chi "pensa per gli altri" è chi ha più tempo. E allora vediamo.

A proposito di un programma urbano complesso (PRU per alloggi a canone sostenibile del comune di San Bartolomeo al mare) che vede alcuni interenti edilizi in variante al PRG vigente caratterizzati da una quota di edilizia sociale, una delle critiche più persistenti è relativa alla scarsa opportunità di procedere a varianti urbanistiche. Meglio sarebbe stato affidarsi alla redazione del nuovo Strumento Urbanistico Generale.

In termini quantitativi, la variante prevede 65 alloggi aggiuntivi, di cui ben 25 sono destinati a ERS. In altri termini, più del 38% dello stock edilizio aggiuntivo persegue uno scopo marcatamente sociale, senza particolari aggravi per le finanze pubbliche, sia locali sia regionali o statali, dato che il cofinanziamento sulla sola parte sociale è pari a circa il 17,4% del costo riconoscibile. 
La condizione per realizzare tale risultato è, necessariamente, consentire anche la realizzazione di quote di edilizia libera in modo da rendere fattibili micro economicamente i singoli interventi. E il Comune, attraverso varianti specifiche, ha un maggior potere contrattuale, come ci insegna l’ormai lunga esperienza dei programmi urbani complessi.

Vediamo ora cosa sarebbe successo utilizzando la procedura ordinaria della redazione del nuovo PUC. In termini di quote di ERS quali dotazioni territoriali, si sarebbe applicata una quota riconducibile a quella di cui al disposto degli artt.26 e segg. della lr 38/07 e s.m.i. e dell’allegato G del PQR 2008-2011: la quota di edilizia sociale obbligatoria sarebbe scesa al solo 10% della volumetria edificabile. 
Secondo questa opzione, quindi, per conseguire lo stesso risultato in termini di numero di alloggi sociali, sarebbero stati necessari ben 250 nuovi alloggi, contro i 65 che sono stati previsti grazie alle modalità tipiche dei programmi urbani complessi. Uno sforzo quasi quattro volte superiore.

Certo, l’alternativa poteva essere non fare nulla. Non ci sarebbero stati i 65 alloggi e, tra questi, non ci sarebbero stati neppure i 25 alloggi sociali. Inazione che non è nuova: il Comune non ha un solo alloggio destinato alla locazione sociale. Non perché li abbia venduti. Non li ha mai avuti.
L’altra alternativa per realizzare la stessa quantità di alloggi sociali era un investimento totalmente pubblico pari a circa 3,3 milioni di euro, da localizzare su aree da espropriare. Considerando che si assiste sempre più frequentemente a problemi per trovare 50.000 euro in più per qualche opera pubblica, l’alternativa può andar bene, al più, per qualche campagna elettorale.