venerdì 27 febbraio 2009

le nuove proposte di legge urbanistica: questa volta è quella buona???

Su Eddyburg, Paolo Berdini fa un'analisi delle proposte di legge per il governo del territorio attualmente agli atti parlamentari.
Merita evidenziare alcuni capisaldi del ragionamento che, di fatto, può anche essere considerato un indice per ogni discussione.

L’impianto culturale che sorregge le quattro proposte poggia su due convinzioni:
a) che il futuro del territorio possa essere delineato con il concorso della proprietà immobiliare;
b) che si possa fare a meno della fondamentale disciplina sugli standard urbanistici che, come noto, riconosceva esteso sull’intero territorio nazionale il diritto alla quantità minima di spazi per servizi pubblici e verde. In questo senso, i quattro progetti di legge abrogano l’istituto delle dotazioni minime estese all’intero territorio nazionale, sostituendolo con la possibilità che ogni regione definisca le proprie.

Vediamo il grande assente.
Il fenomeno unificante delle trasformazioni territoriali degli ultimi due decenni è stato senz’altro il consumo di suolo: mi sembra, onestamente, affermazione incontestabile. Nessuna delle tre proposte parlamentari affronta efficacemente la questione.
Curioso, poi, che a fronte di questa assenza particolarmemte rumorosa, sia presente il concetto della “valorizzazione dell’ambiente”. Ma il controllo del consumo di suolo, in quanto risorsa finita e non sostituibile, non è un classico tema ambientale?

Infine, veniamo agli strumenti che vengono introdotti dalle nuove proposte legislative.
A) Permane il concetto della concorrenzialità. Si sostiene che il piano strutturale può contenere alternative da sottoporre a procedura concorrenziale in sede di piano esecutivo: il futuro delle città può essere deciso sulla base di alternative proposte dagli operatori immobiliari.
B) Sono molto presenti gli istituti della compensazione e premialità. A parte ogni altra valutazione, mi sembra di particolare interesse (nel senso che è meglio approfondirselo) allorché viene prevista la compensazione anche nei confronti “dei vincoli ablativi di edificabilità” con cui, di fatto, sembra superarsi l’impianto vincolistico accettato dalle stesse sentenze della Corte costituzionale: anche i vincoli paesaggistici devono essere “compensati”.

martedì 24 febbraio 2009

politiche abitative: domande e risposte

Mi è capitato di rispondere a qualche domanda in materia di politiche abitative. E' stata l'occasione per scrivere, un pò di getto, alcune riflessioni che somigliano, per certi aspetti, quasi a un bilancio. Almeno per me.
1) Come è cambiato o sta cambiando il fabbisogno abitativo di ers in Liguria negli ultimi anni?

Il bisogno di casa sociale è aumentato non certo dopo la crisi che è in atto ma ha radici più antiche. Almeno quanto il boom immobiliare che è appena scoppiato. Infatti, l’aumento vertiginoso delle quotazioni immobiliari (sia negli affitti sia negli acquisti) ha via via messo fuori mercato sempre più famiglie che, secondo i modi di intendere tradizionali, non sono proprio indigenti.
Il fabbisogno pregresso stimato dal nuovo PQR è pari a circa 23.000 alloggi che unitamente a quello ipotizzabile nell’immediato futuro (fino al 2011) porta la richiesta di ERS in tutta la Liguria a più di 25.500 alloggi. Un numero enorme che equivale a più di un raddoppio dell’offerta di casa sociale.
Dentro questo numero aggregato c’è un po’ di tutto, anche se più della metà sono famiglie con ISEE inferiore a 8.000 euro, cioè quelle per cui il disagio abitativo si fa particolarmente grave. Al contempo, però, sono presenti anche famiglie con ISEE pari a circa 12/14.000 euro, cioè nuclei familiari che hanno redditi annuali anche superiori a 20/25.000 euro. Ed è proprio questo uno degli effetti del recente boom immobiliare: l’ex ceto medio rischia di cadere in una situazione di difficoltà nell’accesso al servizio di base: la propria casa.


2) Se la riduzione del disagio abitativo è una responsabilità che compete alle istituzioni pubbliche, sembra ormai impensabile che il pubblico possa farcela da solo. Sbaglio? E' giusto coinvolgere i soggetti privati? Come? E con quali incentivi?

E’ del tutto evidente che con le risorse statali disponibili il soddisfacimento del bisogno di casa stimato non può che essere parziale. Non c’è molto da girarci intorno.
Ed è altrettanto evidente che l’intervento pubblico della tradizione, cioè quello impostato sull’impiego di risorse pubbliche per la realizzazione di alloggi popolari (cioè di ERP) è assolutamente fuori luogo. Ipotizzando di utilizzare le risorse statali e regionali programmate, e in parte già allocate, del PQR per produrre soltanto ERP aggiuntiva, è già un buon risultato realizzare circa 1.500 nuovi alloggi. Che sono anche tanti ma, e questa è una certezza, sono anche tanto insufficienti.
Di conseguenza, la strada è quella di mettere in campo un set piuttosto ampio di strumenti, in modo tale da approntare specifici interventi per ogni specifica tipologia di domanda: la dotazione territoriale obbligatoria di casa sociale (ERP) per le trasformazioni urbanistiche introdotta dalla lr 38/07; il canone moderato quale risposta più sostenibile per rispondere al bisogno di casa attraverso la produzione di nuova offerta abitativa; il sostegno all’immissione nel mercato dell’affitto di edifici esistenti attraverso gli strumenti dell’Agenzia sociale per la Casa e il Fondo di garanzia per l’affitto; il sostegno diffuso ai redditi delle famiglie in affitto attraverso il Fondo Sociale per l’Affitto; il sostegno all’acquisto e/o alla costruzione (o autocostruzione) della prima casa per i nuclei familiari più giovani; ecc.
Al contempo, per poter effettivamente operare, molti di questi strumenti devono essere aderenti alle logiche che governano la produzione di offerta abitativa. Che sono essenzialmente le regole del mercato: da quello del credito a quello immobiliare, da quello degli affitti a quello degli appalti.
Quindi, se si parla di logiche di mercato, il privato è senz’altro un interlocutore. Ma lo possono (e devono) essere anche le agenzie pubbliche che operano nel settore delle politiche abitative, quali ad esempio le ARTE, oppure i soggetti (anche privati) che operano in assenza di profitto o con profitti contenuti.
Il tema degli incentivi è evidente che sia centrale ma, in questa risposta, vorrei concentrarmi più sugli obblighi. Nel senso che uno degli assunti di fondo delle nuove politiche abitative (e della lr 38/07 che le ha profondamente innovate) è ricercare un rapporto più stretto con il governo del territorio. Cioè con l’urbanistica.
Per troppo tempo quest’ultima ha assunto quale suo orizzonte di senso la ricerca o la tutela del bello. Ma ha lasciato per strada, nel senso che si è dimenticata, dei problemi classici del governo del territorio: la difficoltà di avere una casa, la difficoltà di spostarsi in città e tra le città, la difficoltà di incontrasi in città (attualmente declinabile quale problema di insicurezza).
E’ bene non dimenticare che le trasformazioni immobiliari non costituiscono un diritto naturale ma sono semplicemente il risultato di una scelta operata dalla Pubblica Amministrazione che ne consente il dispiegarsi. E la stessa scelta pubblica dovrebbe porsi il problema di allocare ai responsabili delle disfunzioni urbane il costo della correzione di tali disfunzioni e non scaricare sull’insieme della collettività tali costi. In definitiva, se un intervento urbanistico genera una maggiore richiesta di opere di urbanizzazione in termini di parcheggi, reti tecnologiche, parchi urbani, … e determina il permanere di livelli di prezzo degli immobili che “tagliano fuori” quota parte della popolazione residente alla ricerca di una sistemazione abitativa, quello stesso intervento urbanistico è chiamato a farsene carico (in tutto o in parte). Secondo questa logica, la lr 38/07 ha fatto sì che le trasformazioni più rilevanti debbano contenere al loro interno anche una quota (ovviamente contenuta) di edilizia sociale.


3) Che cos'è l'agenzia sociale per la casa e quando partirà?

L’agenzia sociale per la casa non è nient’altro che un’agenzia immobiliare che si occupa di affitto e, in particolare, di affitto a canone moderato o a canone concordato. Perché? Uno dei problemi più rilevanti che inducono i proprietari di immobili a non affittare il proprio alloggio è dovuto ai rischi che un rapporto di affitto genera: morosità, mancata riconsegna dell’alloggio alla fine del rapporto, danni arrecati all’immobile durante il periodo locativo. Al fine di superare queste diffidenze, è stata pensata la realizzazione di una serie di agenzie pubbliche (o pubblico-privata) che dovranno farsi da garante nei confronti della proprietà. Maggiori garanzie che vengono bilanciate da una riduzione dei canoni di locazione che, quindi, dovranno essere ben inferiori a quelli di mercato.
Il bilancio della Regione Liguria prevede già per l’anno 2009 la somma di 1 milione di euro che sarà necessario per attivare una rete di 6 Agenzia sociali in altrettanti ambiti della Liguria.


4) I fondi messi a disposizione dal dl 159/2007 sono tutt'ora bloccati. Quanti dei 550 milioni erano destinati alla Liguria? E quando arriveranno?

Alla Liguria vennero destinati poco più di 18,5 milioni di euro, di cui circa il 60% solo a Genova. Il nuovo governo ha preferito ritornare indietro, di fatto annullando tutto. Quando arriveranno proprio non lo so: ormai da molti mesi è in corso un “braccio di ferro” tra Stato e Regioni per salvare quanto più possibile del “Programma straordinario” che aveva quale migliore sua qualità quella di avere interventi immediatamente cantierabili. E intanto sono passati quasi due anni e non è non si è visto quasi un cantiere.


5) Come giudica il piano casa del governo, anche alla luce degli "ammorbidimenti" che sembrano esserci stati nell'ultima versione del disegno di legge? Quali sono i punti critici, se ci sono, e perché?

Più che di un “Piano Casa” che determina una discontinuità epocale riformulando l’intervento pubblico nel settore abitativo ci troviamo di fronte a un intervento pressoché ordinario. Con l’aggravante che sembra allargare il proprio raggio d’azione fino a identificare il proprio obiettivo nell’incremento del patrimonio immobiliare a uso abitativo prescindendo da ogni connotazione sociale.
La dichiarazione della carenza di abitazioni in Italia non mi sembra tale da legittimare un piano nazionale straordinario, dato che avviene al termine di uno dei più forti cicli di produzione residenziale in termini assoluti mai vissuti dall’Italia: basti considerare che dal 2004 al 2007 la produzione di nuovi alloggi per ogni anno è stata superiore alle 300 mila unità, cioè un livello di produzione che non si raggiungeva dai lontani anni ’70.
E questa genericità di finalizzazione dell’intervento pubblico è particolarmente critica in rapporto alle risorse stanziate. Che, al momento, sono sempre i soliti 550 milioni di euro. E il problema delle risorse è centrale. Basti considerare che anche un buon spunto contenuto nel “Piano Casa”, qual è quello relativo all’istituzione della rete dei Fondi Immobiliari, rischia di essere vanificato dalla pochezza dell’investimento pubblico. Prevedere solo 150 milioni di euro per tutta Italia al fine di costituire un Fondo Immobiliare significa ipotizzare uno strumento residuale, che è più piccolo della dimensione media (pari a 240 milioni di euro) degli altri Fondi Immobiliari aperti o chiusi che già operano sul mercato.


6) In generale, non le sembra che manchi un po' di progettualità a lungo termine sul problema casa? Si tenta di star dietro alle emergenze, ma si è sempre in ritardo...

Al contempo, però, di fronte a un’emergenza non si può rispondere nel lungo periodo. Rischio di non trovarci più nessuno. Comunque è vero che la progettualità è sostanzialmente assente. Ogni attore (pubblico o privato e di qualsivoglia livello di governo), al più, cerca di “strappare” il proprio pezzetto che è funzionale a garantire lo stato di fatto. E in queste situazioni la progettualità è difficile da dispiegare.

venerdì 13 febbraio 2009

un cannone per un fringuello

Non è nuova ma non è male (si fa sempre per dire).

La capitalizzazione di mercato di Citigroup, JPMorgan-Chase e Bank of America ammonta complessivamente a 158 miliardi di dollari, eppure il programma annunciato da Geithner è destinato a fornire (solo per iniziare) tra 250 e 500 miliardi di dollari solo per tentare di rimuovere dal bilancio delle banche le cartolarizzazioni tossiche.
Si fa prima a nazionalizzarle.