sabato 24 novembre 2007

un muro di gabbioni

Era da un bel pò di tempo (da quando avevo visto per la prima volta la cantina vinicola Dominus di Herzog & De Meuron in California) che volevo approfondire la tecnica muraria dei gabbioni per usi civili. Architettura di Pietra affronta il tema.

"(...), se i gabbioni rappresentano ancora un’efficace soluzione nella progettazione del verde, del paesaggio e delle opere civili di ingegneria idraulica e stradale, per essi si prefigura oggi un nuovo orizzonte applicativo nell’architettura tout court: del resto alcune interessanti sperimentazioni condotte in questo campo dai primi anni ’90 del secolo scorso dimostrano la praticabilità di questo scenario."

"Il nuovo concetto di muralità veicolato dai gabbioni, nella sua plasticità, nelle sue superfici irregolari, espressive e vibranti di vuoti e di pieni, di arretramenti e avanzamenti, di chiaroscuri, è riguardabile come una trasfigurazione della redazione architettonica rustica; (...)."

"(...) l’applicazione dei gabbioni presenta una serie di caratteri tecnico-prestazionali in linea con alcune fondamentali istanze dell’architettura contemporanea: la fabbricazione e la posa di tali elementi sono a bassissimo impatto energetico e sono ecocompatibili; essi hanno una elevata capacità di integrazione espressiva con il paesaggio naturale e, grazie alla loro originale capacità di combinare funzioni di drenaggio con proprietà di modesta ritenzione idrica, possono costituire luogo di sviluppo di una biocenosi vegetale spontanea o indotta; i gabbioni sono permeabili all’aria e, al contempo, hanno in genere elevata inerzia termica; sono, economici, facili da trasportare, durevoli3; non richiedono manutenzione, sono modulari, smontabili e possono essere riutilizzati; inoltre, già dalla prima fabbricazione, possono impiegare materiale di riciclo come riempimento."

venerdì 23 novembre 2007

la moltiplicazione dei diritti

Qualche anno di vita passata dentro le istituzioni mi suggeriscono una riflessione in merito ai diritti (o meglio, come recentemente ho letto, sulla "moltiplicazione dei diritti).

Mi sembra si possa affermare che la differenza tra i “bisogni” e i “diritti” si è oggi quasi del tutto attenuata fino a quasi scomparire. In altri termini, i diritti si sono moltiplicati.

E questo fatto assolutamente positivo, che cosa implica?

1) I diritti costano: nessun diritto può essere garantito e soddisfatto senza l’impiego di risorse e il costo è supportato anche da terzi o dalle collettività.

2) Se quanto sub 1) è vero, ne deriva che a parità di risorse o in presenza di lievi incrementi delle stesse, una moltiplicazione dei diritti si traduce in un effetto inflattivo, con impoverimenti sulle parti sociali più deboli.

3) Si assiste a un disallineamento fra le sedi che possono decidere spese (soprattutto i vari enti territoriali) e quelle che devono reperire le risorse (quasi solamente gli Stati che si trovano quindi in affanno). I poteri senza corrispondenti responsabilità determinano seri inconvenienti. Così è anche per i vantaggi senza gli oneri connessi.

rigenerazione urbana e zone franche urbane

Su Lavoce.info si introduce lo strumento delle Zone Franche Urbane (ZFU) introdotto dall'articolo 71 della legge Finanziaria 2008.

"Secondo il disegno di legge, le Zfu possono essere istituite in tutto il territorio nazionale, in porzioni di aree urbane con non più di 30mila abitanti. L’intervento si concretizza in una serie di sgravi fiscali e agevolazioni per le piccole e micro-imprese che hanno, o iniziano, la propria attività nelle Zfu. L’esenzione è totale per i primi cinque anni e comprende le imposte sui redditi, l’Irap, l’Ici sugli immobili commerciali e l’esenzione dal versamento sui contributi da lavoro dipendente. Dopo questo periodo iniziale, vi sono altri quattro anni di esenzione parziale, per garantire un ritorno graduale alla fiscalità regolare."

L'esperienza è riconducibile a quella francese delle Zone Franches Urbaine e, in misura minore, a quella statunitense delle Enterprise Zones (Ez).

"Va detto che l’evidenza empirica finora disponibile per le Ez non è particolarmente incoraggiante. Gli studi più autorevoli dimostrano che l’impatto delle incentivazioni sulla crescita dell’occupazione è stato praticamente nullo. Due sono le difficoltà principali. In primo luogo, poiché gli sgravi fiscali sono diretti solo ad alcune categorie di imprese, l’aumento dell’occupazione delle imprese agevolate viene per lo più controbilanciata dalla riduzione di quelle non agevolate. In secondo luogo, più che favorire nuova occupazione, gli sgravi fiscali incentivano lo spostamento delle attività produttive dalle zone limitrofe non incentivate alle Ez."

L’esperienza americana è in realtà ancora più ricca e comprende le cosiddette Empowerment zones, in cui gli incentivi fiscali si coordinano con politiche sociali in senso stretto (servizi sociali, creazione di infrastrutture pubbliche). In ogni caso, le Zfu francesi e italiane assomigliano molto di più alle Ez che alle Empowerment zones.

un federalismo per le "grandi opere"?

Buon articolo di A. Boitani, M. Ponti e M. Spinedi sulle grandi opere escluse dai finanziamenti della UE, tra cui vi è anche il cosiddetto "Terzo Valico".

"Il problema che ha la shopping list di Di Pietro, come in passato quella di Lunardi, è che i fondi continuano a non essere sufficienti per tutti gli investimenti, e questo fatto provoca vivaci reazioni degli interessi esclusi: in particolare, per la linea Alta Velocità Genova-Milano (“Terzo valico”) sono da segnalare le reazioni dell’ex-ministro Lunardi, del sindaco di Genova e del governatore della Liguria (anch’egli ex-ministro dei trasporti), tutti uniti sotto un'unica bandiera. Questa linea non è stata proposta per il finanziamento dalla Commissione Europea, per l’ovvio motivo che non si tratta di un collegamento internazionale, ma ciò non ha mitigato le proteste".

"La nuova linea ferroviaria Milano – Genova è stata più volte dichiarata non necessaria dal gruppo dirigente di FS, dopo accurate analisi della domanda possibile e della capacità residua delle due linee già esistenti."


"C’è però, (...), il rischio concreto e grave che la costruzione di opere di dubbia utilità non sia il problema economico maggiore. Infatti una logica spartitoria/elettoralistica porta ad allocare le (scarse) risorse a pioggia, in uno schema perfettamente funzionale a quella logica: consentire l’avvio di un grande numero di opere molto “visibili”, per le quali tuttavia arriveranno fondi insufficienti a terminarle (e il sistematico gonfiarsi dei costi rispetto a quelli preventivati va in questa direzione). Infatti nessuno dei decisori risponderà né dei costi né dei tempi, come è apparso recentemente evidente per il progetto di Alta Velocità ferroviaria. Lo “stop and go” delle costruzioni può da solo incrementare di alcune volte il costo-opportunità delle opere (per il solo fatto che le risorse rimangono immobilizzate per un lungo tempo). Una stima per il passante ferroviario di Milano ha raggiunto la quantificazione del 100% di aumento del costo dell’opera per la collettività."

"Paradossalmente, l’affermazione del sindaco di Genova e del governatore ligure di voler autofinanziare la linea AV Milano-Genova con risorse locali va nella direzione corretta, già seguita dai francesi. Questo atteggiamento, infatti, sicuramente aprirebbe un dibattito democratico sulle priorità di spesa, da cui probabilmente sorgerebbero forti spinte a minimizzarne i costi (spinte oggi assenti, o addirittura di segno opposto)."

giovedì 22 novembre 2007

rivestimento in mattoni

Recentemente ho affrontato per un piccolo edificio il tema progettuale del rivestimento in mattoni.

Quando è venuta meno la funzione portante del mattone, questo ha finito per riempire le campiture tra gli elementi strutturali ponendosi solo come chiusura e denunciando chiaramente questo suo nuovo modo di essere.
Nei casi meno felici (e ne esistono molti), il mattone ha rivestito e nascosto con totale indifferenza strutture portanti eterogenee.

In tempi più recenti, di fronte alla necessità di contenere le dispersioni energetiche degli edifici, il mattone a vista in ambiti climatici come i nostri si è fatto pelle di finitura, una sorta di curtain wall, una facciata ventilata, appeso e legato a sottostrutture metalliche a loro volta vincolate alle strutture portanti principali dell’edificio. In questo modo si sono annullati tutti i ponti termici e si è ottenuta la migliore efficienza termo-igrometrica dell'involucro edilizio. E' il caso, ad esempio, di Renzo Piano all'IRCAM a Parigi.


Mi sono posto il dilemma sulla correttezza degli approcci progettuali possibili:

a) ricostruire tessiture analoghe alle vecchie murature portanti con falsi muri a due/tre teste, con voltini sottolineati dal disporsi del mattone in verticale (in sostanza dar vita a volumi architettonici massicci e unitari) oppure;

b) denunciare chiaramente questo nuovo ruolo di semplice rivestimento collocando ad esempio il mattone all’interno di telai metallici (cioè dei pannelli precomposti fuori opera con mattoni alleggeriti, armati all’interno, senza più concatenamenti di sorta) e poi montati a secco perfezionando quel sistema che in fondo adottò Mies (qui sotto all'IIT di Chicago).



L'unica strategia spendibile mi pare la seconda che, e non è poco, è anche eticamente la più corretta.

domenica 18 novembre 2007

lo statuto dei suoli

Interessante lettura quella della proposta di legge di Legambiente e Politecnico di Milano per lo “Statuto dei suoli”.

Oggi molte delle iniziative di greening, di innalzamento della biodiversità o di miglioramento paesistico non vanno oltre qualche dichiarazione progettuale in quanto non hanno finanziamenti e i luoghi dove concretizzarsi.
La proposta di legge fa qualche passo in avanti in questa ricerca: prova a dare una strada concreta a una volontà -che è quella di costruire ambiente o di fare natura- chiedendo al settore edilizio di farsene carico in quanto consumatore di suolo.

L’idea alla base del progetto di legge è quello di attivare un processo compensativo assimilabile, da un lato, a quella che fu l’introduzione degli oneri di urbanizzazione per la realizzazione di strade, servizi urbani, ecc., dall’altro alla più recente pratica dei programmi integrati e del progetto urbano. Se nel passato vi è stata necessità di iscrivere la richiesta di costruire a una condizione di fornitura di capitali sociali in quanto infrastrutture e servizi erano (e sono) necessari per l’abitare, oggi (ma avrebbe dovuto esserlo anche ieri), periodo di evidente deficit ambientale ed ecologico e periodo di scarsa disponibilità di risorse territoriali come gli spazi aperti, è immaginabile attribuire a ogni trasformazione anche una responsabilità ecologica che si traduca in una sorta di onere ecologico attraverso il quale si possa generare nuova natura altrove rispetto alla trasformazione, concorrendo a generare una dotazione ecologica e ambientale necessaria per la qualità della vita insediata.

La trasformazione urbanistico-edilizia porta con sé una pur minima sottrazione di spazi e di risorse naturali che gravano sulla bilancia ambientale locale. Ecco che il progetto di legge immagina di introdurre una serie di contropartite, a carico del trasformatore (pubblico o privato che sia), capaci di fornire in altri lotti -ma in un intorno territoriale definito (tendenzialmente nello stesso comune)- un credito ecologico.
Questo credito non fa altro che “compensare” la sottrazione ambientale inevitabilmente tolta al territorio e al paesaggio che, pur con tutte le eco-soluzioni poste in essere in fase progettuale, rimane da “riparare”.
Sull'atto del “riparare” e del “compensare” è importante dire che cosa è possibile fare con riferimento al comparto ambientale del suolo, in quanto è evidente che la perdita di spazio e di organizzazione del territorio non è in sé compensabile. La compensazione ecologica diventa però tale se si definisce uno “statuto dei suoli” facendo ricorso alle categorie “funzionali”, proprie della definizione della scienza del suolo (il suolo come risorsa naturale limitata e insieme di funzioni connaturate alla vita terrestre), e non più solo geometriche (spazio territoriale).
La proposta di legge tiene conto di entrambe le connotazioni –spaziale e funzionale– del suolo e ne persegue la salvaguardia attiva attraverso una strategia win win per disincentivare il consumo di suolo e di spazio, trasferendo risorse al potenziamento e al consolidamento delle funzioni dei suoli liberi.

La proposta di legge non vuole quindi essere negativa verso il trasformare invocando blocchi, divieti e vincoli. Vuole essere invece positiva, ovvero:
a) indirizzare le trasformazioni a utilizzare aree già compromesse e
b) consentire di trasformare responsabilmente le aree (eventualmente anche quelle libere) accompagnandosi a un processo di pre-valutazione della reale necessità e della virtuosità ambientale della trasformazione e condizionando comunque questa a rilasciare un’area, altrove, da equipaggiare ecologicamente.

sabato 3 novembre 2007

Renzo Piano e il progetto per la Fiera a Milano

In parallelo allo studio del progetto di Renzo Piano per Sesto San Giovanni, porto avanti l'analisi del progetto (non vincitore) che lo stesso Piano ha preparato per conto di Pirelli & c. Real Estate in occasione della selezione delle offerte per la trasformazione della vecchia Fiera a Milano.

Così si legge dalla relazione di progetto.
"Il progetto si caratterizza per una chiara impostazione metodologica che ha consentito la formalizzazione di un disegno chiaro, riconoscibile, basato su tre elementi: il compatto tessuto edificato nel semiquadrato superiore, il grande e imponente parco nel semiquadrato inferiore, e infine la torre alta e slanciata nel centro dell’intervento. Il tracciamento a terra di tutto il progetto discende dal reticolo di maglie del tessuto urbano circostante e imprime una chiarezza geometrica naturale a tutto l’intervento. La diagonale tesa tra Porta Domodossola e Piazza Amendola viene utilizzata come spartiacque tra aree edificate e spazi verdi, offrendo alle architetture che vi si affacciano un margine di grande privilegio."
Questa la base dell'analisi del luogo condotta da Marco Romano.
"Milano è il frutto di una sapiente pianificazione del tardo Ottocento (il piano Beruto) e del primo Novecento (il piano Pavia Masera) il cui criterio
fondamentale era stato quello di disegnare una serie di tre boulevard concentrici, il primo dei quali sulla sede dismessa delle fortificazioni militari spagnole e le due successive un poco più esterne, la prima con la larghezza di 30 e metri e le due successive con la larghezza rispettivamente di 40 e di 50 metri.
Questo schema a cerchi concentrici era stato poi arricchito da alcune passeggiate radiali, (...)
Sequenza poi completata dai viali alberati che fuori le mura collegavano Milano alle altre città e che con la successiva espansione ottocentesca erano stati inglobati e convenientemente allargati al suo interno, diventando in definitiva un reticolo di strade a vario titolo tematizzate. Che evitavano alle parti più lontane dal centro di soffrire di quell’emarginazione simbolica alla quale soccombono i nuovi quartieri progettati dopo il 1950, dei quali nessuna strada tematizzata testimonia
con la sua visibile grandiosità l’appartenenza alla città e neppure lega al centro cittadino con le efficaci sequenze di un tempo, e che per questo potrebbero appartenere a qualsiasi altra città, luoghi per principio di una irrimediabile emarginazione simbolica.
Ecco allora il nuovo progetto della Fiera diventare l’occasione per ricucire ed esaltare questa rete simbolica della città ottocentesca.
Sull’area della Fiera convergono tutte le autostrade cha arrivano a Milano da nord, e se la tagliassimo in mezzo avremmo come veduta finale la facciata di Santa Maria delle Grazie, uno dei più ragguardevoli monumenti della città in ragione dell’architettura del Bramante e del Cenacolo vinciano che vi si trova
."
E ancora: "A queste indicazioni ho aggiunto il suggerimento di ricorrere ad altri temi della tradizione europea, per esempio una bella strada principale con i suoi negozi, una piazza e, perché no?, un grattacielo, tema collettivo moderno della quale Milano ha già i due esempi clamorosi del Pirelli e della Torre Velasca, cui avrebbe potuto dignitosamente affiancarsene uno nuovo, ad annunciare le sequenze cittadine.
Pare poi ragionevole tenere conto del fatto che Milano si è accresciuta con isolati affacciati lungo le strade e che quindi non pare né necessario né opportuno ricorrere a tipologie aperte che possono venire impiegate dovunque, in un’altra città o anche in aperta campagna, senza tenere conto della specifica morfologia dei quartieri milanesi contermini
."
Questa, infine, il commento dello stesso Marco Romano che, tra le altre cose, era membro della giuria.
"Soltanto Renzo Piano ha interpretato bene il tema presentando un progetto nel quale il giardino pubblico occupa la metà dell’area, è contornato da strade, ed è recintabile; la visuale di Santa Maria delle Grazie è salvaguardata e sottolineata almeno da un filare di alberi; la sequenza dei boulevard occidentali è ben mantenuta; abbiamo poi una parte dell’edilizia, quella non residenziale, affacciata su una vera e propria strada principale con i suoi negozi da entrambi i lati cui le case, seppure non allineate lungo la strada fanno ragionevolmente capo; la strada è poi ritmata da una piccola piazza triangolare racchiusa tra le case; infine il grattacielo, ergendosi solitario, si presta bene a costituire un nuovo tema collettivo della città."

giovedì 1 novembre 2007

ancora sull'area Falck: Piano vs. città?

Vado a cercare altre risorse in rete relative alla critica dell'intervento di Renzo Piano a Sesto San Giovanni (aree ex Falck) e mi imbatto in Marco Romano.
Anche in questo caso, come in Consonni, emerge la difficoltà di Piano nel disegnare un pezzo di città coerente con la tradizione occidentale. O, forse e meglio, coerente con i principi del disegno urbano. Laddove con principi intendo un modo coerente e funzionale di disegnare città in rapporto a chi ci abita.

"Il principio adottato è stato di salvaguardare due grandi aree verdi concentrando la maggior parte dell’edificazione lungo la strada preesistente, sotto forma di una serie di grattacieli disposti a piccoli gruppi nelle aree ancora libere. Questa strada è poi attraversata da una croce di edifici più bassi –quattro piani– su una seconda strada davanti alla fronte posteriore dell’esistente stazione ferroviaria, (...).
Questa soluzione è paradossale, perché questi due estese zone verdi non hanno nessun ruolo estetico, perché la dimensione di un giardino pubblico o di qualsiasi altro tema collettivo, in ogni città, è commisurata al suo rango e un grande prato non è un giardino pubblico e nemmeno, per le medesime ragioni, un parco: è e resta uno spazio residuo e non l’esito di una volontà estetica. Ma neppure saranno utili agli abitanti, per i quali è più confacente un giardino ai piedi delle abitazioni, dove eventualmente far giocare i bambini, che non un informe prato.
Il fatto è che questi grandi spazi liberi rispondono a un ecologismo da strapazzo (...) per il quale la misura del benessere è l’estensione dei prati.
"

cultura architettonica contemporanea: quale identità?

Da Luigi Prestinenza Puglisi una convincente lettura riferita all'ambiente culturale emergente in campo architettonico e, più in generale, artistico.
Ambiente culturale che dallo scambio tende (o sta tendendo) a produrre un linguaggio ibrido.

"In architettura il fenomeno, proprio in questi anni caratterizzati dai viaggi a basso costo, dagli scambi che avvengono già a livello universitario, dalla rottura delle barriere e dei confini geografici, dalla conoscenza delle lingue sta portando a risultati felici. Tanto che non e' azzardato affermare che e' nata una nuova generazione -la generazione Erasmus- che, nel campo delle arti, sta producendo interessanti sperimentazioni, proprio a partire dalla commistione dei linguaggi. A cosa porterà? Direi ad almeno tre fenomeni:

a) innanzitutto alla delocalizzazione. Da tempo i grandi studi l’hanno capito aprendo filiali dappertutto. Ma anche i giovani stanno provvedendo, attivando forme di partnership con studi locali di omologa grandezza. Nei casi più felici stanno nascendo studi transnazionali che, su base paritetica, lavorano insieme attivando una strategia che li vuole uniti quando serve e separati quando il lavoro può essere gestito localmente;

b) in secondo luogo ad una nuova koiné linguistica. Un po’ come successe durante la cultura ellenistica. Il fenomeno, diversamente da quanto paventano gli apocalittici, non porterà necessariamente all’omologazione globalizzata ma a linguaggi sfaccettati e ibridati. Se tutti parleremo l’inglese (cioè una lingua standard) questa sarà aperta a mille sfumature e varianti, che saranno i nuovi dialetti;

c) infine ad un maggiore nomadismo che, alla cultura italiana farà un gran bene: si nascerà in un posto, si studierà in un altro, ci si specializzerà in un altro ancora e si lavorerà un po’ dappertutto. E anche le persone pigre e tendenzialmente stanziali viaggeranno molto di più. Forse, come già succede, vivranno in più case. Come si riconoscerà, allora, quella a cui saranno più radicati, cioè quella che costituisce la frontiera della propria privacy? Una risposta me l’ha data una giovane e brillante progettista che già vive questa condizione: quella dove c’e' il tuo gatto che ti aspetta."