giovedì 29 novembre 2012

consumo di suolo: qualche dato oltre i luoghi comuni


Qualche giorno fa, Giuseppe che deve partecipare a una tavola rotonda mi chiede cosa ne penso del consumo di suolo. Questione assai insidiosa, anche perché ha una certa visibilità mediatica. La prima cosa che penso è provare a tastare qualche luogo comune, molto forte mediaticamente. Anche a costo di dover passare per chi difende il "partito del cemento". Preferisco così, piuttosto che cedere il mio mestiere a chi "urla di più". Vediamo.

Una delle ragioni che molti portano per sostenere la propria tesi contro il consumo di territorio è impostata sull'inutilità della produzione edilizia dell'ultimo ciclo immobiliare. Probabilmente è vero, verrebbe da pensare. Nel frattempo, però, escono i primi dati dell'ISTAT relativi al Censimento della Popolazione e delle Abitazioni del 2011.

In Liguria, nell'ultimo decennio tra il 2011 e il 2002, il numero degli alloggi sul territorio regionale arriva a 1.003.904, con un incremento di 12.875 unità. Nello stesso periodo, la popolazione residente aumenta anch'essa, seppur di poco: 46.784. Difficile pensare che siano tutti residenti fittizi, resi tali dalla volontà di ridurre l'imposizione sulla casa in sede di acquisto.
E le famiglie? Queste arrivano a essere 832.012, con un aumento in valore assoluto di ben 121.143. E' l'effetto della trasformazione profonda delle dinamiche familiari: i single, le separazioni,... Vuoi vedere allora che una certa correlazione tra domanda e offerta di produzione edilizia, forse, esiste? O, comunque, che la situazione è molto meno lineare e chiara di come viene rappresentata, con un taglio giornalistico, da molti interventi. E che, allora, sarebbe il caso di distinguere un po' allorché si parla di offerta immobiliare: tra edilizia destinata a soddisfare fabbisogni abitativi primari ed edilizia che non ha rapporti con questi; tra offerta immobiliare in localizzazioni compatibili con una residenza e offerta che poco si presta a una residenza continuativa nel tempo perché distante dai servizi essenziali. 

Un'altra ragione che viene portata per condannare il consumo di suolo attiene la perdita di suolo agricolo. Anche in questo caso vien da pensare che sia una ragione di buon senso. 
In effetti, pur nella difficoltà della misurazione del fenomeno, sulla base di qualche numero dell'Audizione del Presidente dell'ISTAT e del dossier di FAI-WWF si arriva a stimare che l'incremento di aree urbanizzate nel decennio 2000-2010 in Liguria è stato di circa 9.918 ha, arrivando ad avere circa il 10% del territorio regionale artificializzato. Tantissimo, soprattutto in un territorio così delicato. Ecco che, però, uno sguardo al Censimento dell'Agricoltura dell'ISTAT, forse, ci fa vedere fenomeni quantitativamente ancor più rilevanti. Nel 2010, infatti, la superficie aziendale totale arriva a essere 100.098 ha mentre quella effettivamente utilizzata (la SAU) è stimata in 44.869 ha. Dieci anni prima era 62.605 ha: quindi si sono persi 17.736 ha di SAU e ben 78.912 ha di superficie aziendale complessiva. 
Di fronte a questo crollo, è del tutto evidente che l'urbanizzazione non spiega tutto. Al più spiega la metà del fenomeno.E che ulteriori gravi processi investono il territorio ligure, magari con meno appeal mediatico rispetto al "cemento" ma non meno rilevanti sotto il profilo degli effetti sul medio-lungo periodo.

Morale della favola: la Liguria, data la sua conformazione non si può certo permettere un'offerta immobiliare che ecceda la domanda. E, in molte parti, si è andati oltre il limite. Al contempo, però, le decisioni è meglio che siano fondate su qualcosa di solido piuttosto che su qualche campagna mediatica. E, in ogni caso, soffocare qualunque tipo di nuova offerta insediativa, anche quella che non determina nuovo sprawl suburbano, rischia di non essere troppo logica anche sotto il profilo della correlazione con la domanda.