lunedì 29 giugno 2009

Piano Casa: e le dotazioni urbanizzative?

Un ulteriore tema particolarmente critico, a riguardo della legislazione regionale riferita al Piano Casa, è dato dalla presumibile rinuncia a stabilire un qualsivolgia rapporto tra deroghe volumetriche concesse e previsioni urbanizzative. Rinuncia attesa non solo nei casi di ampliamento degli edifici esistenti, quanto anche in quelli molto più incidenti sotto il profilo urbanistico della demolizione e successiva ricostruzione con premio del 35%.

Si tratta non certo di una novità ma, in realtà, dell'espressione di una tendenza che arriva da lontano ed è alimentata dalla sostanziale sfiducia negli esiti prodotti dall’applicazione delle norme sui rapporti tra densità edificatorie e spazi pubblici.

In ogni caso, però, l'attuazione del Piano Casa implica un aumento delle densità territoriali. Aumento delle densità che si attende proprio nelle parti urbane meno strutturate, ove le dotazioni urbanizzative sono più incerte.
Di conseguenza, l'attuazione regionale del Piano Casa tende a spostare l'onere dell'attrezzatura di spazi pubblici a servizio delle nuove volumetrie in là nel tempo. E, di fatto, l'onere viene a essere trasferito alla fiscalità generale. Cioè a tutti i cittadini.
Nel caso della legge lombarda, ad esempio, tutto ciò viene anche esplicitato: l’articolo 5, comma 5 del provvedimento, demanda proprio ai Comuni di “verificare l’eventuale ulteriore fabbisogno di aree pubbliche e servizi” indotto dall'attuazione del Piano Casa.

Proprio il caso lombardo, però, potrebbe suggerire un compromesso possibile. Compromesso che accetta la logica dell'impianto del Piano Casa.

La Regione Lombardia ha da tempo introdotto il principio del cosiddetto “standard qualitativo” nell'ambito dei PII che, di fatto, implica la cessione di minori aree pubbliche rispetto a quelle prescritte dagli strumenti urbanistici vigenti a fronte di oneri urbanizzativi per opere pubbliche in qualche misura superiori a quelli normalmente vigenti).
In altri termini, il rapporto pubblico-privato non agisce sull'incremento delle dotazioni urbanizzative attraverso la riserva di aree per standard urbanistici ma viene indirizzato sulla manutenzione delle precarie urbanizzazioni esistenti, ad esempio attraverso prelievi "ad hoc" aggiuntivi agli oneri concessori ordinari oppure, nel caso delle demolizioni e ricostruzioni, anche attraverso la realizzazione diretta da parte del soggetto attuatore di opere di urbanizzazione extraoneri.

(ph. tratta da http://www.flickr.com/photos/progettomondo-mlal/3389031869/)

Piano Casa: e i rapporti con gli SUA in itinere?

Ogni legislazione riferita al cosiddetto Piano Casa si trova di fronte il tema tutt'altro che agevole, uno tra i tanti, del rapporto tra le nuove previsioni in deroga e gli Strumenti Urbanistici Attuativi in itinere oppure soltanto obbligatoriamente previsti.
Nei casi in cui uno strumento Urbanistico Generale prevede obbligatoriamente il rinvio allo Strumento Urbanistico Attuativo per rendere operative le proprie previsioni, ad esempio per incentivare interventi di ristrutturazione urbanistica, il Piano Casa attribuisce indifferentemente le proprie concessioni derogatorie. Di fatto, rendendo più difficile il processo di riqualificazione urbana prefigurato in sede di pianificazione generale.
Inoltre, come si applicheranno norme di questa natura in ambiti disciplinati da piani attuativi vigenti, magari in parte già attuati, che vedranno modificare il proprio assetto planivolumetrico e incrementare il carico urbanistico?
E in ambiti disciplinati da piani attuativi da formare, caratterizzati da edifici già dismessi, per i quali lo Strumento Urbanistico Generale ammette il mutamento di destinazione d’uso?

domenica 28 giugno 2009

Piano Casa: e l'edilizia residenziale sociale?

Sempre in riferimento all'attuazione del Piano Casa, merita ancora qualche considerazione a partire dalla originaria Intesa Governo-Regioni del 31 marzo 2009.

La “valorizzazione” e “qualificazione” del patrimonio edilizio esistente del Piano Casa del Governo Berlusconi trovavano giustificazioni, peraltro generiche, per attribuire le deroghe a qualsiasi regola urbanistica non solo nel miglioramento della “qualità architettonica” e di quella energetica, nonché nella riqualificazione di aree urbane degradate, quanto anche nella ricerca di soluzioni per l’edilizia residenziale pubblica al fine di “soddisfare il fabbisogno delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e che hanno difficoltà ad accedere al libero mercato della abitazione”.

Nei provvedimenti di legge che mi è capitato di leggere, il riferimento al soddisfacimento del fabbisogno abitativo si è proprio perso.

Mi sembra che l'unica eccezione sia il piano casa lombardo, all'interno del quale le finalità di ordine sociale sono previste all’articolo 4 del progetto di legge. Il comma 1 di questo articolo prevede che i proprietari di immobili di ERP hanno diritto a un premio volumetrico non superiore al 40% della volumetria esistente per produrre nuova offerta abitativa sociale.

Dato che nel caso dell’ERP, l'intervento diretto degli enti proprietari rimane comunque condizionato alla allocazione di risorse pubbliche straordinarie, non potrebbe essere l'occasione per promuovere nuove priorità per quanto attiene agli interventi di social housing?



(ph. tratta da http://www.flickr.com/photos/runningforasthma/263047832/)

Piano Casa: e la riqualificazione urbana?

La legislazione regionale in attuazione dell'Intesa Stato-Regioni riferita al cosiddetto "Piano Casa" ha l'opportunità di promuovere la cosiddetta rottamazione degli edifici incongrui o in stato di degrado attraverso la concessione di un premio volumetrico del 35%.

Sul punto, si tratta di comprendere se considerare ordinario l'intervento di demolizione e successiva ricostruzione in sito. E, di conseguenza, soltanto laddove tale condizione non sia oggettivamente possibile, la ricostruzione possa avvenire su altre aree ritenute più idonee.

Quest'ultima situazione, sia nei casi di edifici incongrui per ragioni paesistiche sia ancor più nei casi di edifici obsoleti che si trovano all'interno di tessuti saturi o quasi (che non sono proprio un'eccezione), dovrebbe essere invece la norma. Infatti, con la demolizione si possono liberare importanti risorse in termini di suolo libero, in punti delle città e del territorio che ne sono scarsi. Suoli resi liberi che potranno essere utilizzati quali importanti momenti di riqualificazione urbanistica, sia con nuove funzone di servizio private sia con nuove opere di urbanizzazione a servizio di parti urbane che le richiamano.

L'ipotesi di procedere alla demolizione e successiva ricostruzione in sito riesce al più a promuovere la riqualificazione architettonica. Rinuncia, invece, alla riqualificazione più urgente che, viceversa, è quella urbanistica. Tralascio le differenti ricadute in termini di ricadute complessive.

(ph. tratta da http://www.flickr.com/photos/monkeyiron/367271228/)

Piano Casa: e la qualità archiettonica?

Anche dalle mie parti, coma in altre Regioni, si sta predisponendo il provvedimento di attuazione del “Piano casa” che ha origine dall’intesa del 31 Marzo 2009 raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni ed Enti Locali promossa dal Governo.
Da quella data, alcune Regioni hanno provveduto a legiferare (è il caso della Regione Toscana) oppure hanno avviato l'iter di formazione della legge (ad esempio, la Regione Lombardia). Di conseguenza, si possono fare alcune considerazioni pur nell'incertezza della formulazione finale del provvedimento anche ponendosi in relazione con l'operato di altri.

In primo luogo, è opportuno richiamare le finalità e i contenuti dell’intesa Stato-Regioni per verificare se il progetto di legge regionale li riprenda in modo più o meno coerente.
Si tratta, come è noto, di un intervento che si propone il “rilancio dell’economia” allo scopo di “rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie” introducendo “incisive misure di semplificazioni procedurali dell’attività edilizia”.
In vista di queste finalità, l’intesa Stato-Regione-Enti Locali si è attestata sui contenuti seguenti: a) interventi di ampliamento della volumetria esistente, entro limiti definiti, ai fini di migliorare “la qualità architettonica e/o energetica degli edifici”;
b) consentire interventi straordinari di “demolizione e ricostruzione di edifici residenziali con ampliamento sino al 35%”: anche qui con finalità “di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica e dell’uso di fonti energetiche rinnovabili“;
c) introdurre forme semplificate di procedure.

La declinazione operativa della qualità architettonica sembra essere limitata, da un lato, all'adeguamento degli edifici esistenti alle norme antisismiche in vigore dal 30 giugno 2009, e dall'altro, all'utilizzo di materiali locali, in primo luogo delle lastre di ardesia quale materiale di copertura. Peraltro, tali aspetti qualitativi costituiscono specifici requisiti per ottenere ulteriori premialità volumetriche.

Si rileva che la “valorizzazione” e “qualificazione” del patrimonio edilizio esistente sembrano aver perso per strada anche quelle finalità di miglioramento complessivo che –per quanto generiche– secondo l’accordo Stato-Regione-Enti Locali giustificavano gli interventi di deroga a qualsiasi regola urbanistica. In altri termini, le eccedenze volumetriche base che sarebbero concesse dalla legge non sono legate al perseguimento di alcun requisito qualitativo che, viceversa, era posto alla base dell'Intesa di cui sopra.

Quasi vent'anni di applicazione della disciplina paesistica di livello puntuale potrebbero suggerire una possibile declinazione operativa del generale assunto alla "qualità architettonica". Oppure, si deve pensare che la ricerca di qualità architettonica sia obiettivo per nulla oggettivabile, quasi che non ci sia una ricerca disciplinare "a monte".

(ph. tratta da http://www.flickr.com/photos/contramowly/536985629/)

Guardando un pò in giro, si comprende come la ricerca della qualità architettonica sia soprattutto incentrata sulla riqualificazione energetica. Forse è un pò ingiusto per l'attività del progettare, però è già qualcosa.

Ad esempio, la Regione Toscana ha interpretato che la "qualità architettonica" debba passare attraverso l'utilizzo di tecniche costruttive di edilizia sostenibile che, segnatamente attraverso l'impiego di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, sappiano garantire prestazioni energetiche almeno il 20% migliori rispetto a quelle fissate attualmente per legge (cfr. articolo 3, comma 4). Al contempo, per gli interventi di demolizione e successiva ricostruzione con ampliamento volumetrico, tali prestazioni energetiche devono essere migliorative del 50% di quelle attualmente prescritte per quanto attiene la climatizzazione invernale (cfr. articolo 4, comma 7, lett. a) mentre, relativamente al raffrescamento estivo, il fabbisogno dell'edificio nuovo dovrà essere inferiore a 30 Kwh/mq x anno (cfr. articolo 4, comma 7, lett. b).

Anche la Regione Lombardia ha ritenuto di ricercare una rinnovata "qualità architettonica" nel miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti. All'articolo 3, comma 2 del PDL, si fissa che l'ampliamento volumetrico base è condizionato alla diminuzione del 10% del fabbisogno annuo di energia primaria per la climatizzazione invernale dell'edificio esistente. Anche in questo caso, per la demolizione e successiva ricostruzione la diminuzione del fabbisogno energetico è posto almeno pari al 30% (cfr. articolo 3, comma 3). Inoltre, nel caso di interventi che per almeno il 25% della superficie del lotto siano interessati da un'elevazione dell'equipaggiamento arboreo, scatta un'ulteriore premialità (cfr. articolo 3, comma 6).