giovedì 28 febbraio 2008

USD: tassi di interesse reali negativi

Cross Euro-Dollaro a 1,51. Davvero notevole. Ma perchè?

La debolezza attuale dell’USD, almeno a mio avviso, è diretta conseguenza non solo (e non tanto)della fragilità economica degli USA ma soprattutto del fatto che i tassi di interesse reali del Dollaro (cioè al netto dell’inflazione) sono e resteranno negativi per diversi trimestri.

mercoledì 27 febbraio 2008

auditorium Paganini: l'arte del "levare"

Ho recentemente visitato l'auditorium paganini di Parma disegnato da Renzo Piano.
E' l'occasione per iniziare a fare qualche riflessione.


Dal punto di vista tipologico, nell'ambito delle sale da musica, l’auditorium di Parma è una conferma e una variante della cosiddetta tipologia della boîte à chassures, poco frequente in Italia ma abbastanza consolidata nella tradizione musicale del resto d’Europa e del mondo: dall’ottocentesca Neues Gewandhaus di Lipsia alla Boston Symphony Hall di McKim, Mead and White negli USA.


Dal punto di vista delle modalità di relazione con la preesistente fabbrica dell'Eridania, Piano ha colto l’impatto dei grossi e spessi muri perimetrali longitudinali del fabbricato principale: lunghi circa ottanta metri, vengono presi quali icone del vecchio (e del nuovo) edificio.

L'atteggiamento di Piano è quello di "lasciare" ciò che ha trovato e non di "ricreare" sulla base di ciò che è rimasto.

Il progetto è, in questo senso, veramente "minimo": ai due lunghi muri perimetrali vengono semplicemente giustapposte due pareti trasversali interamente vetrate che determinano un cannocchiale visivo che si stempera nel giardino esterno.
Si tratta proprio di un progetto che riporta le strutture all’essenziale lavorando prevalentemente per sottrazione: togliere è prorio la scommessa, il gioco del progetto.
In questo gioco "a togliere", è evidente che Piano declina operativamente l'idea di leggerezza che, quasi automaticamente, lo porta a trovare un altro elemento del linguaggio poetico: la trasparenza.

domenica 17 febbraio 2008

la chiesa e il bianco: un rapporto impossibile?

Ieri pomeriggio ho assistito alla dedicazione della nuova chiesa del posto in cui abito (o, meglio, in cui dormo).
Al mattino abbiamo scambiato alcune battute con il pittore che ha affrescato l'abside e alcune altre parti dell'interno della chiesa.
Il pensiero alla chiesa Dives Misericordiae di Richard Meier a Tor Tre Teste è d'obbligo. E, sulla scorta di questa lettura, ecco alcune considerazioni.

C’è un abisso tra le nude pareti della chiesa di Meier e, ad esempio, i più di seimila metri quadrati di mosaici che rivestono la cattedrale di Monreale in Sicilia che illustrano (o, meglio, raccontano) le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, gli angeli e i santi, i profeti e gli apostoli, i vescovi e i re, e il Cristo “Pantocrator”, reggitore di tutto, che dall’abside avvolge con la sua luce e il suo sguardo il popolo cristiano. In realtà, di chiunque entra nel Duomo... anche se non è cristiano.


La chiesa del Giubileo è invece nuda, spoglia e taciturna, sia fuori sia dentro. È stata pensata così, in omaggio a quell’assenza di immagini che è il dogma di tanta architettura sacra moderna.
La chiesa di Meier è senza dubbio uno spazio bello, però destinato soprattutto a cultori e turisti, in quanto tendenzialmente desacralizzato fino alla celebrazione liturgica, come se prima e dopo la celebrazione esso fosse uno spazio neutro.
C’è proprio qualcosa che stride tra la nudità delle pareti di Meier e la straripante ricchezza di immagini che distingue due millenni di arte cristiana. Ma è proprio attraverso queste immagini che il cristianesimo ha parlato alle genti e si è trasmesso di generazione in generazione.

La parete bianca, in uno spazio sacro, agisce come uno specchio vuoto, oppure come uno schermo bianco per i fantasmi e le passioni dell’anima. Le storie, le immagini che vi si proiettano sono ad arbitrio di chi vi entra in contatto le storie della propria singolarissima vita.
Certo, qualcosa di simile avviene anche di fronte all’immagine sacra, eppure in modalità tutt’affatto diverse. L’immagine sacra accoglie e assorbe il moto, l'irraggiamento della nostra anima; vi si sostituisce e viene incontro all’anima come l’Altro salutare, come mondo sacro e ricco di senso che spezza la nostra solitudine.
Immersa, invece, nel bianco senza icone, l’anima non esce veramente da sé, se non nella eventuale forma di una quiete da saturazione estatica. Forse, però, ci troviamo ai limiti dell'irreligione.
Quelle pareti che sembrano veicolo di trascendenza, perché così illusoriamente prossime all’indicibilità di Dio, sono invece impenetrabili alla trascendenza proprio perché vuote e prive di forme. Al Dio delle grandi fedi ci si approssima solo percorrendo le tracce, i segni, i saperi che ci sono stati da lui rivelati e donati, e senza i quali la fede si smarrisce.

Ad aprire il luogo alla fiducia del credente sono i segni visibili dell’uso sacro, catechetico e rituale. Decisiva, per la fruibilità sacra di uno spazio, non è la struttura muraria ma, viceversa, lo sono l’arredo decorativo e iconografico e il corredo funzionale: vasi sacri, vesti e ogni altro oggetto dedicato al rito.

sabato 16 febbraio 2008

politiche abitative e il contributo dell'urbanistica

Alcune riflessioni sul tema del contributo che la pianificazione può dare all’incremento del patrimonio di edilizia sociale.

La forma della dotazione territoriale: alloggi vs. aree
La fornitura del servizio casa può essere assicurata attraverso modalità diverse da quelle tradizionali della riserva di aree da cedere al pubblico e su cui quest’ultimo è chiamato a realizzare gli interventi edilizi.
Ciò che può essere superato è considerare la quota di edilizia sociale da assicurare alla stessa stregua degli standard urbanistici. La conseguenza di tale assunzione implicherebbe la riproposizione della dotazione territoriale relativa all’edilizia residenziale sociale quale ulteriore riserva di aree.
Sulla scorta del disposto di cui all’articolo 1, comma 258 della legge 244/07 (Legge Finanziaria 2008) risulta infatti ammissibile definire specifici ambiti territoriali la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita non solo di aree, quanto anche di immobili da destinare all’edilizia residenziale sociale.
La quota di edilizia sociale potrebbe essere più utilmente considerata, viceversa, quale standard di servizio che, pur non comportando necessariamente la sua preventiva localizzazione su uno specifico territorio comunale, andrebbe comunque calcolato nel caso in cui in parti del territorio siano soggette a trasformazione urbanistico-edilizia.
In altri termini, considerare la dotazione territoriale quale standard di servizio implica che gli interventi edilizi ammissibili in alcune parti del territorio debbano necessariamente “inglobare” anche una quota di edilizia residenziale sociale: ciò che rileva assumendo la definizione di dotazione territoriale quale standard di servizio è, infatti, l’assicurazione del servizio pubblico attraverso la dotazione effettiva di alloggi per famiglie altamente disagiate e non la semplice cessione di aree.

Il rapporto tra la dotazione territoriale di casa e gli altri standard
E’ del tutto evidente che assumere la dotazione territoriale di casa unicamente quale ulteriore riserva di aree significa andare incontro a problemi di coerenza urbanistica. A cominciare dal rapporto con gli altri standard urbanistici che dovrebbero essere a servizio della residenza.
Assumere la dotazione territoriale quale standard di servizio implica tecnicamente che quota parte dell’edificabilità ammissibile per una determinata trasformazione urbanistico-edilizia è da riservare all’edilizia residenziale sociale.
Se i contrappesi urbanistici riferiti all’edilizia residenziale sociale non sono quindi aggiuntivi ai pesi edilizi ma, viceversa, ne rappresentano una quota parte e, di conseguenza, contribuiscono a tutti gli effetti alla determinazione della massima densità territoriale insediabile, si elimina alla radice il rischio di incorrere in quell’aggravamento della qualità urbana che viene paventato.

La dotazione territoriale e il fattore tempo
E’ del tutto evidente che assumere la dotazione territoriale relativa all’edilizia residenziale sociale quale standard di servizio elimina alla radice il problema della durata del vincolo locativo.
Se la quota di edificabilità che è da vincolare quale ERS è oggetto di cessione alla mano pubblica, tale cessione –almeno in regime ordinario- non può che essere definitiva. E quindi non soggetta a un periodo di locazione a termine oltre il quale gli immobili divengono liberamente commercializzabili.

La dotazione territoriale e i livelli minimi
Un ulteriore rischio che viene generalmente paventato è rappresentato dall’assimilazione della dotazione territoriale relativa all’edilizia sociale a uno standard uniforme. Standard che consiste nell’applicare una giusta misura in modo indifferenziato per tutto il territorio nazionale. Quindi, anche in ambiti ove le tensioni abitative indotte dalle dinamiche del mercato immobiliare sono profondamente diverse.
Assumere la logica della dotazione territoriale per l’edilizia sociale quale standard di servizio significa incidere in maniera sensibile sull’incremento di valore fondiario suscettibile di verificarsi a seguito della singola trasformazione urbanistico-edilizia. E l’incremento di valore fondiario è direttamente dipendente dal valore di mercato degli immobili nello specifico ambito ove si localizza la trasformazione stessa.
Solo in determinati ambiti territoriali ove i valori di mercato degli immobili raggiungono soglie apprezzabili si raggiungono le condizioni idonee per poter parlare di riserve di edificabilità vincolata all’ERS. Non casualmente, però, tali ambiti sono anche quelli ove gli elevati valori di mercato escludono, di fatto, particolari categorie sociale dall’accesso alla casa.
Di conseguenza, la dotazione territoriale relativa all’edilizia residenziale sociale non è da ancorare a predeterminati livelli minimi da assicurare omogeneamente ma, invece, è da prevedere nei luoghi ove il mercato immobiliare è suscettibile di determinare degli effetti discorsivi che impediscono il pieno soddisfacimento del diritto di cittadinanza legato alla casa.

casa e pianificazione: la legge ligure

1) Una necessaria premessa: un nuovo protagonismo per gli Enti Locali
La nuova lr 38/07 e s.m.i. assume quale orizzonte di riferimento il fatto che le responsabilità delle politiche abitative chiamano in causa in modo diretto sia la Regione e sia il sistema delle Autonomie locali liguri, a partire dalle competenze sull’ERP a esse trasferite in modo definitivo con la riforma del titolo V della Costituzione.
Il ridisegno dell’intervento pubblico nel settore abitativo in Liguria passa quindi attraverso una diversa articolazione delle competenze istituzionali, attribuendo un ruolo centrale ai Comuni non solo in riferimento alle tradizionali funzioni amministrative riferite all’ERP ma come soggetti di governo attivo delle politiche abitative a livello territoriale.
Questa più forte responsabilizzazione dei Comuni è suscettibile di tradursi in un superiore impegno –anche rispetto al recente passato- a utilizzare gli strumenti urbanistici e l’insieme delle leve di cui dispone il settore del governo del territorio, per favorire processi di investimento pubblico e, soprattutto, privato sugli obiettivi di politica abitativa e segnatamente all’incremento del patrimonio abitativo destinato all’Edilizia Residenziale Sociale, a cominciare dalla tradizionale Edilizia Residenziale Pubblica (ERP).

2) Politiche abitative e pianificazione: i “nuovi” compiti del piano
A seguito dell’avvenuta approvazione della lr 38/07 e s.m.i., l’obiettivo che deve porsi la revisione obbligatoria del piano comunale è plurimo.
In primo luogo vi è l’esigenza di adempiere in forma aggiornata alla missione che, tra le altre, la legge affida alla pianificazione urbanistica fin dal 1962 (legge 18 aprile 1962 n.167): rendere concretamente possibile l’accesso alla casa anche alle categorie meno aggressive, cioè a tutti i cittadini.
La declinazione operativa di tale obiettivo implica, in primo luogo, il problema del finanziamento della nuova ERP. A tal fine è indispensabile che ogni trasformazione urbanistico-edilizia di una certa dimensione sia prevista una quota, anche modesta, di edilizia pubblica e siano disposti eventualmente gli incentivi utili per sollecitare la realizzazione di ulteriori quote di edilizia residenziale sociale.
Alla pianificazione comunale viene quindi assegnato il compito non solo di accertare il fabbisogno di ERS e di edilizia primaria ma, ovviamente, di provvedere realmente al suo soddisfacimento.
Tale soddisfacimento verrà a essere assicurato, in primo luogo, attraverso la cessione obbligatoria al Comune di quote di edificabilità da parte dei soggetti attuatori che realizzano interventi di trasformazione urbanistico-edilizia, segnatamente all’interno dei distretti di trasformazione così come disciplinati dalla lr 36/97 e s.m.i.
Una sfera previsionale di questo tipo è da considerare tipica di uno Strumento Urbanistico Generale sia esso un Prg o un Puc, quale strumento non di semplice pianificazione urbanistica ma di governo del territorio, finalizzato a individuare le regole di uno sviluppo sostenibile, ossia volto ad assicurare uguali potenzialità di crescita del benessere dei cittadini e a salvaguardare i diritti delle generazioni presenti e future a fruire delle risorse del territorio.

In secondo luogo, c’è l’esigenza di superare la logica segregativa che fino a ieri ha condotto a realizzare l’edilizia pubblica, insieme alla convenzionata, in territori separati dalla città “normale” (i villaggi PEEP); si vuole raggiungere invece una completa integrazione di tutte le componenti del corpo urbano, inserendo le case “economiche” nel tessuto continuo della città, tra le altre residenze e soprattutto tra le altre funzioni e a stretto contatto con la più ampia gamma di servizi.

3) L’innovazione profonda dalla lr 38/07: la casa quale nuova dotazione territoriale
Le norme di modifica alla lr 36/97 e s.m.i. (la legge urbanistica regionale in Liguria) previste dal Titolo V della lr 38/07 e s.m.i. mirano ad assicurare che la trasformazione del territorio avvenga nel contemperamento delle diverse esigenze che a tale trasformazione sono connesse e, nello specifico, all’esigenza di far accedere al godimento dell’abitazione anche soggetti e categorie economico-sociali che non potrebbero farlo sulla base della normale contrattazione di mercato, ovvero perché non ammessi alle provvidenze per l’ERP.
La ricercata intersezione tra politiche abitative e governo del territorio ha quindi richiamato l’introduzione di una nuova tipologia di dotazioni territoriali, relativa agli interventi di ERP e aggiuntiva rispetto alle infrastrutture e servizi pubblici o di uso pubblico (standard urbanistici) già previsti dalla legislazione vigente.

Più in particolare, l’abitazione sociale, in questa idea, non è solo una risposta di solidarietà e di coesione sociale, ma diviene anche un’esigenza da perseguire per far funzionare meglio le città, per migliorarne la qualità urbanistica e sociale.
Questo per una semplice considerazione: se l’ERP è da considerare come un sevizio di interesse pubblico (come le scuole, il verde e le altre attrezzature urbane e di quartiere) e se è tale perché destinata al soddisfacimento della domanda abitativa proveniente dai ceti deboli, appare evidente come sia utile o inevitabile trattarla come dotazione territoriale da cedere gratuitamente al Comune o ad Enti esplicitamente vocati al compito di rispondere alla domanda di abitazione sociale.
L’obiettivo è quindi quello di impedire che la rendita fondiaria si appropri integralmente dell’incremento dei valori immobiliari operando, invece, perché la distribuzione di questi valori avvenga sull’intero organismo urbano in funzione di una maggiore equità sociale, di trasformazioni urbane sostenibili e stimolando la proprietà privata a partecipare alla costruzione della città pubblica, piuttosto che contrapporsi ad essa.
In tal senso, anziché determinare tali condizioni di accesso mediante la riserva di apposite aree edificabili, sottratte alla dinamica della rendita fondiaria urbana, come era nella tradizionale formulazione del PEEP, il piano comunale è chiamato a introdurre una riserva di interventi, mediante l’assegnazione di una quota, non inferiore a quote percentuali autonomamente stabilite dal piano stesso, della superficie utile maturata con le trasformazioni urbanistiche più significative.
La norma non introduce un quid novi rispetto a quanto espressamente previsto dalla legislazione vigente in materia di “edilizia economica e popolare” ma semplicemente applica a una precisa (anche se generale) fattispecie quella facoltà di convenzionamento che la legge riconosce con ampiezza agli Enti locali per far fronte al fabbisogno di residenza di tutte le fasce sociali.

In prima applicazione, nelle more delle varianti ai PRG o ai PUC vigenti di ogni comune costiero e di quelli definiti come ad alta problematicità abitativa, la quota di edificabilità che dovrà essere ceduta dal soggetto attuatore per essere destinata a ERP è fissata nel 10% dell’edificabilità complessiva.

4) Le innovazioni per la pianificazione
4.1) La definizione di residenza primaria
Una delle novità introdotte dalla lr 38/2007 e s.m.i. riguarda l’enucleazione all’interno della categoria logico-giuridica della “residenza” della specifica tipologia d’uso identificata quale “residenza primaria”, cioè l’alloggio comunemente e giuridicamente definito come “prima casa” e che come tale usufruisce delle agevolazioni fiscali previste per tale tipologia.
La tipologia d’uso della residenza primaria si differenzia dagli altri modi d’uso che caratterizzano la più ampia categoria della residenza; senza la pretesa dell’esaustività, le altre forme d’uso possibili risultano quindi essere:
· gli alloggi utilizzati per esempio a fini lavorativi o di studio e di cura;
· gli alloggi per il tempo libero e vacanze, cioè quelli occupati saltuariamente per vacanze, fine settimana o comunque per periodi limitati di tempo a fini turistico ricreativi;
· gli alloggi comunque utilizzati dal proprietario per esigenze di natura personale, purché diverse da quelle del tempo libero di cui al punto precedente;
· gli alloggi affittati a non residenti, purché diversi da quelli utilizzati per il tempo libero e vacanze;
· gli alloggi non utilizzati perché sfitti.

4.2) Il dimensionamento del piano
I Comuni, a norma della nuova lr 38/07 e s.m.i., devono procedere all’adeguamento dei propri piani determinando il dimensionamento residenziale totale.
Il calcolo del dimensionamento complessivo di residenza del piano, a differenza della prassi corrente, sarà comprensivo essenzialmente di due quote distinte:
· la quota relativa al fabbisogno di residenza primaria correlata con le effettive necessità abitative e socioeconomiche della popolazione, comprensiva del segmento relativo all’ERP e alle altre categorie di ERS ovvero dell’edilizia in proprietà a prezzi convenzionati;
· la quota parte relativa alla residenza non primaria, tra cui quella per il tempo libero e vacanze, ritenuta compatibile con le esigenze di tutela paesaggistico-ambientale del territorio comunale e tenuto conto degli eventuali limiti fissati dalla pianificazione di coordinamento provinciale.

4.3) La determinazione dell’entità della dotazione territoriale
Sono trascorsi 40 anni da quando la legge 167 impose ai comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti la formazione di un “Piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi di carattere economico o popolare nonché alle opere ai servizi complementari, urbani o sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico”. L’estensione delle zone da includere nei piani è determinata, diceva la legge, “in relazione alle esigenze dell’edilizia economica e popolare per un decennio e non può essere inferiore al 40% e superiore al 70% di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel periodo considerato”.
Il legislatore regionale, con la lr 38/2007 e s.m.i. ha abbandonato ogni contingentamento predefinito dell’offerta abitativa sociale lasciando invece alle determinazioni delle autonomie locali in materia di governo del territorio sia la definizione del fabbisogno abitativo sia la conseguente modalità del suo soddisfacimento.
L'articolo 26, comma 2 della più volte ricordata lr 38/2007 e s.m.i. specifica e integra il nuovo principio secondo il quale gli interventi edilizi devono cedere una quota minima di capacità edificatoria per l'edilizia residenziale sociale e, in particolare, per l’ERP.
Tale quota minima, però, non viene univocamente fissata dalla legge in modo che costituisca un livello minimo da assicurare su tutto il territorio regionale ma, viceversa, al singolo piano comunale viene assegnato il compito di accertare il fabbisogno di edilizia sociale e di provvedere conseguentemente al suo soddisfacimento.
A livello regionale, attraverso il Programma Quadriennale per l’edilizia Residenziale (PQR), vengono unicamente definiti i criteri generali, analogamente a quanto già avviene per gli oneri concessori, per la determinazione dell’entità della nuova dotazione territoriale. Quest’ultima è suscettibile di essere determinata in funzione di due differenti elementi:
· il fabbisogno accertato di edilizia residenziale sociale che è suscettibile di essere distribuito tra l’insieme delle trasformazioni urbanistico-edilizie;
· l’incremento di valore fondiario stimato a seguito della singola trasformazione urbanistico-edilizia che è direttamente dipendente dal valore di mercato degli immobili nello specifico ambito ove si localizza la trasformazione stessa.

giovedì 14 febbraio 2008

spazi collettivi nel co-housing

La natura degli spazi collettivi e semi-collettivi è limitabile ad alcuni specifiche destinazioni funzionali, al fine di evitare eccessiva sovrapposizione di funzioni private e collettive; si possono così individuare come suscettibili di una fruizione collettiva gli spazi destinati a:
- lavanderia;
- zona pranzo;
- spazio per le attività ricreative, destinato in particolare ai bambini;
- spazi esterni (terrazzi, logge) da cui avviene l’ingresso alle singole unità abitative;
- camera da letto, da destinare ad ospitare ospiti per periodi limitati.

La logica che guida la fruizione degli spazi condivisi dovrebbe essere quella della cessione/acquisizione tra differenti unità abitative: non costituiscono dunque spazio collettivo in senso proprio, ma appartengono a una unità abitativa, i cui occupanti decidono di mettere tali spazi in comune agli altri alloggi.

il dimensionamento nel co-housing

Il numero dei nuclei familiari costituisce un fattore che determina in modo evidente il livello di interazione sociale tra i membri della comunità.
a) Le esperienze dimostrano che gruppi fino a 15 famiglie presentano il più alto livello di aleatorietà: le ridotte dimensioni sono potenzialmente ottimali per l’istituzione di legami sociali stabili e profondi, ma anche rischiose per l’insorgere di frizioni legate proprio all’eccessivo livello di intimità.
b) Gruppi da 18 a 35 nuclei consentono una maggiore libertà nella scelta delle relazioni sociali, ma le dimensioni ancora contenute permettono la conoscenza reciproca di tutti i residenti.
c) Gruppi oltre 35 famiglie, grazie alla “massa critica” mossa, permettono di avere a disposizione un maggior numero di servizi e spazi condivisi, ma le grandi dimensioni comportano una percentuale di residenti che mostrano scarsa affezione alle attività della comunità.
La suddivisione di ampie comunità in cluster di dimensioni più ridotte (dell’ordine di 10-15 nuclei famigliari) potrebbe riproporre problemi legati a una socialità eccessivamente controllata e ridotta nelle dimensioni.

domenica 10 febbraio 2008

tettonica vs. falsificazione

Ho in programma un paio di giorni a Roma e mi piacerebbe andare a vedere la chiesa Dives Misericordiae a Tor tre teste di Richard Meier.

Una prima riflessione la suggerisce molto efficacemente Antonino Saggio: il rapporto che l'edificio instaura con la sua tettonica è valutato come perdente se valutato in base al rapporto costi-benefici.

Innanzitutto: cosa è la tettonica? E' lo studio della sintassi della costruzione. Del modo, cioè, attraverso cui un progettista, organizza i singoli pezzi di una struttura architettonica secondo una logica costruttiva.
Sulla base di un ragionamento impostato solo sulla tettonica, conseguentemente, interessano poco sia i valori simbolici sia spaziali dell'edificio. Esattamente così come a uno studioso della sintassi di un'opera letteraria interessano poco e nulla i valori metaforici o il contenuto dell'opera.

La grande sfida affrontata da Meier ha avuto quale oggetto la costruzione delle tre vele.
L’altezza delle vele ( 26 metri la maggiore) e la loro curvatura ha richamato la messa a punto soluzioni tecnico-strutturali assolutamente innovative. Innanzitutto, le tre vele autoportanti sono state suddivise in grandi pannelli prefabbricati a doppia curvatura, i “conci”, ciascuno del peso di 12 tonnellate. Successivamente, per montare e assemblare i conci, è stata realizzata una “macchina” speciale alta 38 metri. Questa grande macchina sollevava il concio e lo portava in posizione, all’altezza voluta e in sicurezza. Nessuna gru esistente al mondo avrebbe potuto fare altrettanto.


Dal sito della Parrocchia, così si legge: "Nella costruzione della vela realizzata con 256 elementi prefabbricati, detti conci, sono stati impiegati:
· 2.600 tonnellate di inerti ricavati dalla macinazione del marmo bianco di Carrara
· 600 tonnellate di cemento bianco TX Millenium (additivato con biossido di titanio) prodotto dalla cementerai Italcementi di Rezzato (Bs)
· 550 tonnellate di malte speciali per la realizzazione dei giunti struttuarli fra gli elementi prefabbricati e l’iniezione delle guaine dei cavi e delle barre postese
· 8 chilometri di cavi di acciaio di postensione
· 7,5 chilometri di barre di acciaio di ostensione
· 300 tavole progettuali necessarie per la complessitа struttuarle e per la grande varietа della geometria dei conci e dei loro dettagli costruttivi.
· 12.000 ore di studi e ricerche per la messa a punto del cemento TX Millenium
· 23.000 ore di progettazione per passare dalle fase progettuale alla fase realizzativi.
"

Un grande sforzo tecnico-costruttivo, senza dubbio. Ma veramente necessario? Oppure, l'accettazione della scissione tra Forma e Costruzione avrebbe portato allo stesso risultato ma spendendo anche cinque volte meno?
Sul punto, Antonino Saggio rileva che l'architettura di oggi è in primo luogo"comunicativa" e, di conseguenza, è in parte necessariamente "falsa" nel senso che nasconde la sua tettonicità.
Le tre vele di Meier a Tor Tre Teste hanno naturalmente un destino in primo luogo scenografico: erano tre lastre incurvate che si potevano realizzare facilmente in acciaio o in cemento armato per essere poi rivestite in pannelli (magari anche con una finitura marmorea).
Invocare tettonicità perdute è fonte di ancora più forti pericoli: 36 miliardi, quando una normale chiesa è sui 6.
Ma le idee geniali non servono a far spendere di meno e a guadagnare in efficienza e tempo?

sabato 9 febbraio 2008

oltre gli aeroplanini di carta

E' la seconda volta che capito sul sito dell'artista danese Peter Callesen e non posso più resistere dal fermarlo anche qui.

Gli A4 papercut sono fantastici. Eccone un paio con temi più legati al mondo dell'architettura.