martedì 19 maggio 2009

per capire un pò di più le aspettative dei cittadini

Da qualche tempo sono tornato sulle proposte del cosiddetto New Urbanism. Sicuramente la strategia progettuale neo-tradizionalista coglie un problema reale (e comune a molte discipline): il dissidio e la poca comunicazione tra il sapere disciplinare e le aspettative del cittadino.

La lettura di un paper un pò datato ma utile (An Assessment of New Urbanist Elements in “New Suburbanist” Communities of the Twin Cities, Minnesota - qui uno stralcio) è un buon punto di partenza per fare un pò di chiarezza.

A - Elementi comuni New Urbanism dei centri “neo suburbani” realizzati

priorità 1
- alberature stradali
- strisce a verde
- verande sul fronte
- varietà degli stili delle abitazioni
- parcheggi a bordo strada
- un centro di quartiere
- attraversamenti pedonali
- scuole entro un raggio di dieci minuti a piedi

priorità 2
- scuole all’interno del complesso
- marciapiedi ampi
- prati da gioco
elementi assenti
- negozi interni al quartiere
- negozi raggiungibili a piedi
- piste ciclabili
- giardini comuni


(ph. tratta da http://www.flickr.com/photos/90586790@N00/2554264985/)

B - Elementi New Urbanist che attirano i residenti nei centri “neo suburbani”

priorità 1
- stili tradizionali per le abitazioni
- abbondanza di spazi a parco
- scuole raggiungibili a piedi

priorità 2
- dimensione delle case
- sistemi di marciapiede-percorsi pedonali
poco apprezzati
- fermate del trasporto pubblico
- disponibilità di un sistema intranet per condividere gli avvenimenti locali

lunedì 18 maggio 2009

dei diversi modi di intendere le politiche abitative

Qualche settimana fa mi è capitato di dover raffrontare un programma per la casa regionale con un altro modo di intendere l’intervento pubblico nel settore abitativo: quello del Piano Casa del Governo.

Il PQR della Regione Liguria si configura quale strumento di intervento programmatorio di tipo marcatamente sociale. Nel senso che, di fronte alla crisi economica, si mette dalla parte del segmento di società che con (molte) difficoltà riesce attualmente a risolvere un proprio bisogno primario: quello della casa. E cioè, rispetto alla totalità delle famiglie liguri, si dedica espressamente a poco più di 25.500 nuclei familiari. Cioè a quel 5% scarso che ha i maggiori problemi.

Il cosiddetto Piano Casa del Governo, per quello che si sta delineando nel rapporto Stato-Regioni, sarà un provvedimento che invece avrà efficacia soprattutto sul patrimonio residenziale mono e bifamiliare, ovvero si rivolgerà a poco più di 155.000 famiglie liguri che già abitano nella propria casa di proprietà che ha quelle specifiche caratteristiche.
Più che un Piano per offrire una casa a chi non ne ha una, sarà invece un Piano che non solo premierà quei nuclei familiari che hanno già la casa ma premierà –attraverso la possibilità di un aumento straordinario e una tantum della volumetria del 20%- proprio quel 22% scarso di famiglie che hanno case già grandi, cioè le case mono o bifamiliari. Insomma, è un po’ come dire che il Piano Casa farà “piovere sul bagnato”.

Questa pioggia di metri cubi potenziali -analogamente a come ha già dimostrato qui Federico Dalla Puppa per il Veneto- si può stimare che in Liguria, da oggi fino al 2011, potrebbe riguardare circa il 10% degli edifici mono e bifamiliari (tanto per fare un paragone, rispetto all’ultimo dato Istat disponibile -anno 2006-, in Liguria sono stati ultimati in un anno 585 edifici mono e bifamiliari), ovvero poco più di 15.000 abitazioni, con una produzione aggiuntiva valutabile in più di 1,5 milioni di metri cubi e un giro d’affari di oltre 600 milioni di euro. Cifre comunque importanti.

Non è il caso di porsi il problema se è di questo che il settore delle costruzioni ha bisogno. Quello che però è il caso di dire è che il Piano Casa del Governo non risolverà la domanda alla quale invece la Liguria (solo la Liguria?) deve guardare con più attenzione e sensibilità: cioè la domanda di qualità della vita che proviene da chi oggi non ha le condizioni economiche e sociali per permettersi una casa e da chi vive, quindi, in condizioni di disagio abitativo. Cioè la domanda originata dalle famiglie di nuova costituzione (in primo luogo i giovani), da quelle che hanno avuto lo sfratto, da quelle che si sono trasferite da poco nella nostra regione per motivo di lavoro, da chi vive in condizione di disagio perché si trova costretto ad abitare in situazione di sovraffollamento, da chi è in lista di attesa per una casa di ERP, dagli studenti. In questo senso non è che in Liguria non servano case: anzi è vero il contrario.
In Liguria servono invece alloggi a canone moderato; serve una differente politica di intervento pubblico che realizzi in modo diffuso interventi edilizi destinati al social housing, alla domanda del ceto medio e medio-basso, con piani di investimento e rientro finanziario a lungo termine, e con una politica degli affitti in grado di calmierare il mercato.

Rispetto a questo obiettivo, il PQR programma un investimento pubblico di circa 162 milioni di euro, di cui ben 51 a favore dell’Edilizia Residenziale Sociale, 41 milioni per il sostegno all’affitto (FSA) e circa 16 milioni per favorire l’accesso alla casa in proprietà alle nuove famiglie liguri. Finanziamento pubblico in grado di attivare un complesso di investimenti fino al 2011 quantificabili in almeno 300 milioni di euro, attraverso la realizzazione o il recupero di circa 3.000 unità abitative e la riqualificazione di alcune significative porzioni di città.
Cifre altrettanto importanti rispetto al Piano Casa del Governo: solo molto più canalizzate dove c’è bisogno.

sabato 16 maggio 2009

qual è la soglia efficiente di alloggi in affitto rispetto a quelli in proprietà?

Qualche tempo fa mi era stato chiesto quale quota di alloggi in affitto rispetto al complessivo stock edilizio occupato si può traguardare quale obiettivo di una politica abitativa.
Seppur la questione non è particolarmente modaiola, mi sembra che possa meritare un appunto.

La risposta migliore, a parte dire che non esiste un solo numero, mi pare debba essere ricercata nei rapporti tra quota di alloggi in affitto e performance dei sistemi economici, segnatamente per quanto riguarda la disponibilità di offerta di lavoro.

La tesi è che una certa mobilità geografica dei lavoratori può influenzare i meccanismi di aggiustamento del mercato del lavoro, nel senso che una ridotta mobilità geografica può ostacolare i processi di riequilibrio delle disparità regionali esistenti nei tassi di occupazione e disoccupazione.
E la mobilità geografica è ostacolata da tanti fattori. Ma -ed è un dato di fatto- la propensione a cambiare residenza geografica è relativamente più bassa per chi è proprietario della propria abitazione rispetto a chi è semplicemente in affitto a causa dei maggiori costi di transazione insiti nel cambiare un’abitazione di proprietà e per il rischio connesso di perdite in conto capitale.
Non casualmente, nel momento in cui scrivevo la risposta, arrivava la notizia del dato riferito alla mobilità geografica USA: il più basso degli ultimi quarant’anni. Il motivo è evidente: vendere la propria casa quando i prezzi degli immobili sono crollati significa vendere a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di acquisto.

Una volta individuata la tesi, occorre metterci qualche numero, dato che la domanda posta implica l'individuazione di una soglia obiettivo.

Iniziamo a partire da un’evidenza empirica: nel contesto europeo, l’Italia si caratterizza per un grado piuttosto basso di mobilità geografica interna. Secondo i dati Ocse in mio possesso (purtroppo risalgono al 2003) solo lo 0,6% della popolazione di età compresa fra i 15 e i 64 anni risulta aver cambiato regione di residenza nel corso dell’anno, rispetto all’1,4% della Germania, al 2,1% della Francia, al 2,3% del Regno Unito. Più in generale, il grado di mobilità geografica fra le diverse regioni di uno stesso paese risulta mediamente più basso in Europa rispetto agli Stati Uniti (che è poco sopra il 3%).

Per quanto riguarda il legame fra situazione del mercato immobiliare e performance del mercato del lavoro, un report BCE di qualche anno fa trova una interessante correlazione positiva fra tasso di disoccupazione e grado di diffusione delle abitazioni in proprietà per i principali paesi europei. Qui per approfondire.
Emerge un gruppo di Stati un po’ più virtuoso che registra -non casualmente- un’incidenza della proprietà che non supera il 60% dello stock edilizio. L’Italia, ad oggi, è poco sopra l’80%.

La riduzione dell’incidenza delle abitazioni in affitto sul totale, peraltro, è una tendenza che si è registrata anche negli altri paesi europei. Tuttavia, la riduzione è stata più accentuata in Italia che nella media dei paesi europei, e la quota di abitazioni in affitto è -come ormai tutti sanno- tra le più basse in Europa. In Europa, infatti, solo Spagna, Ungheria e Slovenia registrano una quota di patrimonio immobiliare in affitto più bassa che in Italia. A fronte del 18,6% italiano, la quota di patrimonio immobiliare in affitto risulta pari al 60% in Germania, tra il 40 ed il 50% in Austria, Danimarca, Francia, Olanda e Svezia e sopra il 30% in Gran Bretagna.

Conseguentemente, si può ritenere che la quota efficiente di offerta di alloggi in affitto, rispetto al totale delle abitazioni, non dovrebbe essere molto al di sotto del 40%. Rispetto alle condizioni attuali è un numero enorme: significa raddoppiare il comparto in affitto. Peraltro, in Italia tale situazione si è già verificata: negli anni ’70.
Da quel momento, una precisa politica pubblica -non sempre, infatti, le cose succedono per caso- ha spinto molto sul versante della proprietà. Tra le altre cose, ha significato eliminare la base di consenso dell’ex PCI. Un conto, infatti, è rivolgersi a un operaio o a un impiegato che vive in affitto: quella famiglia rimane sempre una famiglia operaia o impiegatizia. Tutt’altro conto è, invece, rivolgersi alla stessa famiglia che diventa proprietaria della propria casa: diventa una famiglia proprietaria. E muta completamente la sua identità sociale.

(ph - http://www.flickr.com/photos/lorensand/528467309/)

venerdì 15 maggio 2009

risposte del test

Ecco la colonna vincente del test che discuteremo lunedì sera:

1 - B
2 - B
3 - C
4 - A
5 - B
6 - A
7 - C
8 - A
9 - B
10 - C
11 - C
12 - B
13 - B
14 - B
15 - C
16 - B
17 - A
18 - B
19 - C
20 - C
21 - A
22 - B
23 - B
24 - B
25 - A
26 - A
27 - C
28 - C
29 - B
30 - B
31 - C
32 - A
33 - B
34 - C
35 - B
36 - C
37 - B
38 - A
39 - A
40 - B