lunedì 17 gennaio 2011

Serge Latouche e il Principe Carlo

La relazione più attesa del Laboratorio sul paesaggio di San Biagio della Cima è stata quella di Serge Latouche. Un intervento, per la verità, non particolarmente brillante... sarà che è stato in italiano e non in francese. Un pò di salti logici qua e là, un pò di parole d'ordine. La parte del ragionamento che mi è parsa più compiuta è stata quella riferita all'idea di città che si accompagna con l'ipotesi della decrescita.

La città decrescente, secondo Latouche, è quella che riduce la propria impronta ecologica. E quindi? una città compatta ma non un città verticale. Una città strutturata in "villaggi urbani", cioè una città fatta di villaggi, una città policentrica o meglio, una città fatta di quartieri autosufficienti sia dal punto di vista funzionale sia da quello energetico. 
Direi che questa descrizione sommaria della "città decrescente" non mi è nuova.

Le teorie urbane, già dagli anni settanta, si sono focalizzate sull'idea di comunità, cioè su quello spazio chiaramente definito all'interno del quale la distanza tra il bisogno (o il desiderio) e la sua soddisfazione è minima. 
Da quello che conosco, le ricerche sulle comunità americane tra il XIX e il XX secolo di Oswald Mathias Ungers e sua moglie che furono pubblicate nel 1972 nel libro Kommunen in der Neuen Welt, costituiscono un importante precedente e, soprattutto, accoppiano chiaramente l'idea di comunità a un programma urbano ben delineato.


A partire dagli esempi dei concerti di Woodstock e Altmont, nel corso dei quali alcuni luoghi rurali venivano istantaneamente urbanizzati da gruppi di persone che si riconoscevano in ideali comuni, Ungers ipotizza la Berlino Ovest degli anni Sessanta, cioè una città completamente isolata dal resto del territorio e composta da sobborghi fortemente autonomi l'uno dall'altro e abitata da persone completamente affrancate da un uso allargato del territorio. Allora era anche facile pensare così: era un'isola nell'ex DDR.

Negli anni Settanta questa intuizione fu ancor più sviluppata fino ad arrivare alla Berlino come Arcipelago Verde: una federazione di comunità urbane limitate e fortemente caratterizzate socialmente e formalmente, immerse in una foresta. Da qui ne discende, ad esempio, la struttura cellulare urbana.


È questa l'idea di città che sarà a fondamento delle due ultime concezioni urbane della città contemporanea: la Bigness di Koolhaas e la Ville dans le Ville di Leon Krier
Entrambe queste teorie propongono la strutturazione della città in parti concentrate e si contrappongono al continuum senza soluzioni di continuità. Da questo assunto comune, poi, si aprono a ipotesi del tutto differenti.
Serge Latouche sembra proprio molto vicino al Leon Krier che viene descritto qui. Anzi, sembra proprio il Principe di Galles... E questo non mi sembra un male.

L'unico dubbio è questo: chissà cosa ne penserà la CGIL locale che al Laboratorio in onore di Biamonti era schierata quasi al completo. Forse che allorché si parla di idee, in realtà, si pesca un pò tutti dallo stesso bidone? Alla faccia delle fazioni che quotidianamente si dividono sul nulla.

sabato 15 gennaio 2011

si va da Biamonti

Recentemente abbiamo affrontato un progetto (di questo ne parliamo un'altra volta) che ci ha fatto conoscere più da vicino la figura e l'opera di Francesco Biamonti.
Anche per questo, oggi, siamo al Laboratorio Internazionale sul Paesaggio (qui) a San Biagio della Cima.
E non solo per il legame nei confronti di Massimo Salsi, il Sindaco di San Biagio della Cima; anche perché l'incontro è di livello.